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INGEGNERI: gli scenari economici e internazionali impongono agli ordini nuovi assetti organizzativi

Presentata a Caserta, nel corso del Congresso Nazionale degli Ordini degli Ingegneri, la ricerca del Centro Studi del CNI “Analisi del sistema ordinistico nella prospettiva internazionale: ipotesi di lavoro e confronti”. I nuovi scenari economici e professionali impongono la revisione dei modelli organizzativi degli ingegneri e un nuovo ruolo per gli Ordini. Tra le priorità contribuire al miglioramento della programmazione e dello sfruttamento dei fondi europei.

Ronsivalle: “Accumuliamo forti ritardi nell’uso dei fondi comunitari. Nel nostro paese manca un effettivo coinvolgimento del sistema professionale nelle procedure di programmazione e nel partenariato. Ma anche il sistema ordinistico, di fronte alle pressanti richieste di supporto da parte degli iscritti, dovrà andare incontro ad una rivoluzione organizzativa


Un esercito di professionisti in cerca di nuovi spazi ed opportunità. Secondo i dati sul lavoro autonomo in Europa, tra il 2008 e il 2012, il loro numero è aumentato da 4,6 a 5,2 milioni.
Circa un quinto opera in Italia. Il nostro paese, infatti, fa registrare oltre un milione di occupati nelle libere professioni, primato assoluto a livello continentale. Questo determina, in una fase di persistente crisi economica, la necessità di sfruttare al massimo il sistema dei fondi europei e di varcare i confini nazionali alla ricerca di nuove opportunità. Al tempo stesso, questa realtà pone nuove questioni legate alla struttura degli studi professionali e al ruolo di
supporto che possono svolgere gli Ordini.
Sono questi gli elementi principali della ricerca “Analisi del sistema ordinistico nella prospettiva internazionale: ipotesi di lavoro e confronti” elaborata dal Centro Studi del CNI e presentata oggi al Congresso Nazionale degli Ordini degli Ingegneri, in programma a Caserta.
L’importanza del ruolo delle professioni non sfugge alla Commissione Europea che nel 2013 ha sottolineato la loro importanza nell’operazione di rilancio delle PMI. Il gruppo di lavoro “Rafforzare le attività delle libere professioni” ha permesso alla Commissione di fissare delle linee d’azione specifiche, indirizzate a creare un clima imprenditoriale più favorevole alle libere professioni e, quindi, costruire la base per l’ulteriore sviluppo delle politiche e delle misure di attuazione finalizzate a questo obiettivo. In questo senso è determinante la programmazione e lo sfruttamento dei fondi comunitari. Nel nostro paese, presso il Consiglio dei Ministri, il 17 dicembre 2012 si è avuta la discussione del documento “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei Fondi comunitari 2014-2020”.
Nonostante ciò, i deficit di spesa e di attuazione dei programmi operativi regionali evidenziano che le strategie adottate in Italia per gestire i fondi europei siano deboli ed inefficaci. Per quanto riguarda i fondi strutturali, i dati complessivi evidenziano un ritardo netto accumulato dal nostro paese. Al 15 aprile 2014, la percentuale di risorse spese ammontava per l’Italia al 54,3% contro, ad esempio, l’83,5% del Portogallo ed il 79,3% della Grecia. Se è vero, poi, che il sistema di finanziamento è costruito per i grandi enti di ricerca e legrandi imprese, le piccole e medie imprese della Germania hanno dimostrato una capacità più che doppia, rispetto a quelle italiane, di accedere ai fondi. Appare necessario, quindi, un radicale mutamento della governance nazionale dei fondi europei, con un nuovo indirizzo più inclusivo per le PMI ed i centri di ricerca.
“In molti Paesi d'Europa – ha commentato Luigi Ronsivalle, Presidente del Centro Studi del CNI - all'accresciuto interesse per il sistema delle libere professioni e al ruolo sempre più importante dei servizi professionali nella difesa dell'occupazione e nell'innovazione ha corrisposto l'adozione di misure che prevedono modelli societari adeguati per l'esercizio della libera professione e una maggiore attenzione nel creare un clima imprenditoriale più favorevole a queste ultime”.
“Nel nostro Paese - ha continuato Ronsivalle - non pare vi siano ancora le condizioni per un effettivo coinvolgimento del sistema professionale sia nelle procedure di programmazione, sia nel partenariato. Né pare vi sia una reale volontà dei decisori di coinvolgere le professioni come beneficiari o destinatari delle varie iniziative. Sta di fatto che l'Italia ha accumulato forti ritardi nell'utilizzo dei fondi strutturali europei”.
Passando agli aspetti più specifici che riguardano gli ingegneri, la ricerca del Centro Studi del CNI propone un’indagine - realizzata online tra il 7 e il 23 luglio 2014, cui hanno partecipato 13.271 iscritti – finalizzata alla valutazione dell’assetto organizzativo della categoria e alle sue dinamiche di sviluppo. In generale, si registra un processo di radicale rinnovamento delle modalità organizzative e dell’approccio al mercato da parte degli ingegneri. Anche se continua a prevalere lo studio individuale (58%), circa il 13% degli ingegneri svolge la propria attività professionale in forma associata (studio associato, 6,9%) o societaria (società di ingegneria 4,6%; società tra professionisti, 1,3%). Sono tali modalità a garantire le migliori performance in termini di fatturato medio: 50mila euro per lo studio individuale, contro i 173mila euro degli studi associati e i 385mila euro delle società di ingegneria. Di tutti gli strumenti associativi, quello nel quale gli ingegneri ripongono minore fiducia sono le società tra professionisti, giudicate negativamente dal 48,6% degli intervistati. Sempre più spesso, gli ingegneri si trovano a dover competere con maggiore frequenza con strutture associate o societarie, di provenienza nazionale ed estera. Per questo adottano sempre più spesso strategiedi network, anche se a livello informale. L’87,4% degli studi individuali e l’89% degli studi condivisi opera “in rete” non strutturata con altri professionisti e imprese.

Su questo aspetto è intervenuto ancora Luigi Ronsivalle. “La categoria professionale degli ingegneri – ha affermato - è impegnata in un processo di rinnovamento delle proprie modalità organizzative, tuttavia rimane largamente prevalente quella dello studio individuale in un ambito territoriale di riferimento che è in massima parte costituito da quello provinciale.
Questo tipo di organizzazione non favorisce l'accesso ai bandi e ai finanziamenti proposti dall'Europa”.
“La situazione che emerge dall'indagine – ha proseguito - sembra contenere elementi di contraddittorietà laddove, a fronte di una dichiarata propensione associativa e alla tendenza a costituire network variamente strutturati e formalizzati, si ha di fatto una frammentarietà. La ragione di tutto ciò va ricercata nella inadeguatezza e farraginosità delle norme che regolano i rapporti societari dei professionisti. Significativo, a tale proposito, è il giudizio negativo che emerge sulle STP. Un altro ostacolo alla organizzazione di tipo societario nelle professioni è rappresentato dalle difficoltà finanziarie che esse incontrano facendo preferire forme più agili e snelle di esercizio dell'attività professionale, come quelle dello studio individuale”.
In questo contesto, com’era facile prevedere, fortissimo è l’interesse degli ingegneri per la partecipazione alle iniziative connesse all’utilizzo dei fondi europei (71,2%), anche se solo una minoranza di essi ha avuto modo di esservi coinvolto (28,8%). A frenare la partecipazione dei professionisti a queste iniziative è soprattutto un deficit informativo (54,7%) che chiama direttamente in causa l’incapacità delle Regioni di coinvolgere il sistema ordinistico nelle
attività di programmazione, progettazione e attuazione degli interventi. Solo il 10% degli Ordini provinciali è stato o è coinvolto nei processi di programmazione dei fondi europei nell’ambito dell’ultima tornata di finanziamenti per il periodo 2014-2020.
L’indagine effettuata dal Centro Studi CNI conferma, poi, che, secondo gli ingegneri,l’innovazione dei processi di organizzazione e di approccio al mercato chiama in causa direttamente il sistema ordinistico. La maggioranza degli iscritti chiede agli Ordini di organizzarsi per fornire servizi di supporto allo sviluppo dell’attività professionale, all’accesso ai fondi europei, all’inserimento nel mercato del lavoro, incontrando la piena disponibilità dei Presidenti degli Ordini che, spesso, hanno già avviato iniziative concrete in tal senso. In particolare, il 66,9% degli iscritti ritiene auspicabile che gli Ordini avviino servizi per favorire l’accesso e la partecipazione ai programmi e ai finanziamenti europei. Tra i servizi percepiti come aventi maggiore utilità è quello di assistenza per l’individuazione delle sovvenzioni e delle gare d’appalto (55,2%). Va detto che il 65% dei Presidenti degli Ordini territoriali ha dichiarato di aver predisposto servizi per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, in linea con le richieste avanzate dagli iscritti. Questo processo coinvolge anche il ruolo del Consiglio nazionale, cui gli Ordini provinciali chiedono supporto per l’implementazione dei nuovi servizi. Ad essere percepita come utile, è soprattutto la messa a disposizione di servizi di rete, piattaforme informatiche, convenzioni quadro. Oltre all’assunzione da parte del Consiglio nazionale di un ruolo di rappresentanza a tutti i livelli per interagire con le istituzioni e le amministrazioni.
“La forte richiesta che gli iscritti rivolgono agli Ordini professionali di impegnarsi per l'implementazione di servizi di supporto allo sviluppo dell'attività professionale – ha commentato ancora Ronsivalle – è quella che potrà avere le conseguenze più rilevanti. Si tratta di una sollecitazione che, se raccolta, comporterà una vera rivoluzione nel mondo ordinistico che dovrà, non solo ripensare radicalmente alla propria organizzazione, ma rivedere il suo stesso modo di essere. Personalmente mi auguro che la sfida venga raccolta”.
La ricerca del Centro Studi del CNI, infine, mette in evidenza un elemento senza dubbio positivo. L’Italia, con gli interventi riformatori del 2011-2012, può contare su un quadro normativo all’avanguardia nel panorama europeo e mondiale. Abrogazione delle tariffe professionali, obbligo della formazione continua, obbligo dell’assicurazione professionale, obbligo della definizione di un preventivo di massima, libertà per la pubblicità informativa, terzietà degli organismi disciplinari, costituiscono i principi fondanti dell’esercizio della professione in Italia, che pochissimi altri Paesi possono vantare. In questo senso, rappresenta un modello per gli altri paesi europei.

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