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Crescono i fallimenti nel settore edile: rappresentano quasi il 30% del totale nazionale

«Eliminare la tassa sulle abitazioni» e «diminuire costi e tempi della burocrazia»

Un appello puntualmente disatteso, che Apindustria Verona rilancia all'indomani dell'ultimo rapporto Cribis D&B (società di ricerca del gruppo Crif) sui fallimenti in Italia.

Nonostante il generale calo del primo semestre, 808 chiusure in meno rispetto allo stesso periodo 2014, su circa 7.200 imprese fuoriuscite dal mercato, poco più di 1.800 appartengono al settore edile.

Una ventina quelle del Veronese, dove da inizio anno le dichiarazioni di fallimento sono invece cresciute di oltre il 20%. «La massiccia imposizione fiscale ha portato al crollo del valore delle abitazioni di circa il 30%, frenando ogni possibilità di sviluppo», spiegano Mario Borin e Luciano Veronesi, direttore e vicedirettore Api Verona. In attesa che il mercato interno si divincoli dalla tassa sulla casa, la carta della ripresa si gioca su quello estero. «Le Pmi che preformano meglio hanno una quota di export pari o superiore all'80%», confermano i vertici di Api Verona.

E «investono sul prodotto e le necessità della clientela, sulla capacità del personale e sulle consulenze sempre più a misura di impresa». Andare all'estero, tuttavia, implica un approccio a lingue, culture, leggi, regolamentazioni differenti e supporti finanziari eterogenei, in cui le aziende «devono essere accompagnate da uno Stato che invece è assente». L'esito positivo è spesso lasciato «alla tenacia del singolo imprenditore o di un sistema, come le associazioni, che garantisce tale opportunità».

Sofferenti, nei primi mesi dell'anno, anche i comparti del legno, grafico e termomeccanico. «Il lapideo si è ristrutturato e operando al 70-90% con l'estero sta tornando su buoni livelli», secondo l'osservatorio Api Verona. Così come i produttori di macchinari e automotive. Nell'abbigliamento-calzaturiero sono entrate in crisi le piccole società commerciali, ma anche quelle «che non hanno saputo riorganizzare». Nell'ambito delle procedure concorsuali, poi, «i concordati preventivi omologati al 20%, 10% o 5% hanno messo in difficoltà tante altre aziende i cui crediti, non assistiti da privilegio, si sono rivelati carta straccia». F.S.