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Corte Costituzionale e diligenza professionale

La sentenza della Corte Costituzionale che ha deciso in merito ad una disposizione di Legge Regionale in materia urbanistico-edilizia può influire sulla portata del dovere di diligenza dell’Ingegnere incaricato dal committente di realizzare un manufatto edilizio?

Può certamente influire.
Eccone un esempio.

La Corte, con la recente sentenza n. 309 del 21 novembre 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione contenuta nella Legge Regionale della Lombardia n. 12/2005, secondo cui un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetta la sagoma dell’edificio demolito va incluso tra gli interventi di ricostruzione.
La suddetta disposizione regionale, secondo la Corte, viola l’art. 117 della Costituzione perché contrasta con il principio sancito dall’art. 3 comma 1, lettera d) del DPR 380/2001.
In pratica: ora anche in Lombardia, un intervento di demolizione e ricostruzione con modifica di sagoma dell’edifico rispetto a quella preesistente, configura una nuova costruzione e non una ristrutturazione.
È noto che la diversa configurazione dell’intervento edilizio – ristrutturazione o nuova costruzione – incide sensibilmente sulla misura degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione a carico del committente.
La sentenza in esame è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il giorno 30 novembre 2011 e pertanto la disposizione regionale ha cessato di avere efficacia dal giorno 1° dicembre 2011.
Qualora a tale data fosse già stato concluso un intervento di ristrutturazione edilizia con modifica di sagoma, in assenza di un ricorso pendente avanti al Giudice Amministrativo e sempre che fossero già scaduti i termini per impugnare, a cura di terzi eventualmente interessati, il titolo in forza del quale l’intervento edilizio è stato eseguito, si deve ritenere che la sentenza della Corte Costituzionale non abbia alcun effetto.
In tale ipotesi, al Professionista incaricato per la realizzazione dell’intervento edilizio di ristrutturazione già concluso non incombono oneri particolari nei confronti del proprio committente.
Tali oneri invece si ritiene debbano incombere a carico del Professionista incaricato, qualora l’intervento di ristrutturazione fosse stato assentito dal Comune ma non ancora iniziato, o essendo già stato assentito fosse iniziato e non concluso.
Il Comune, in queste diverse due ipotesi, proprio a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, potrebbe annullare d’ufficio il titolo in forza del quale l’intervento edilizio è iniziato, o addirittura sanzionare l’intervento in corso con provvedimento di ripristino o pecuniario.
È evidente il pregiudizio che deriverebbe al committente qualora il Comune ritenesse di agire mediante le due suddette procedure sanzionatorie.
Poniamo l’ipotesi frequente che il committente non fosse una persona giuridica ma un privato, mediamente ignaro della normativa urbanistico edilizia vigente e delle decisioni della Magistratura, che si è affidato ad un Professionista incaricandolo di realizzare l’intervento di ristrutturazione con modifica di sagoma, ora non più ritenuto tale in Lombardia seguito della decisione della Corte Costituzionale.
In questo o caso è più che opportuno, peraltro anche qualora il committente fosse una persona giuridica, che il Professionista provveda non solo ad informarlo riguardo alla sopravvenuta inefficacia della norma regionale previgente, ma a prendere tempestivo contatto con il Comune per verificare se ed in che modo intenderà procedere riguardo alla pratica edilizia e/o all’edificazione in corso.
In mancanza di ciò, specie qualora il Comune ritenesse di procedere mediante provvedimenti sanzionatori di ripristino o di natura pecuniaria, il committente potrebbe contestare al Professionista la mancata osservanza del generale dovere di diligenza professionale che incombe a carico di quest’ultimo, per non averlo informato dei rischi conseguenti alla sopravvenuta inefficacia della norma regionale; tanto più considerando che sia in qualità di progettista che di direttore dei lavori il medesimo Professionista sarebbe anch’esso destinatario dei provvedimenti sanzionatori del Comune.
La responsabilità del Professionista potrebbe infatti essere fondatamente prefigurata considerando le varie pronunce della Suprema Corte che ha stabilito i seguenti principi di diritto:

  • il progettista è responsabile per il mancato adeguamento del progetto ai rilievi formulati da un organo che ne condizionano l’approvazione (Cass. 21.3.1997 n. 2540);
  • il progettista è responsabile della mancata conformità del progetto alle norme giuridiche che disciplinano le modalità di edificazione di un dato territorio (Cass. 16.21996 n. 1208);
  • l’esecuzione di un progetto da parte di un ingegnere o di un architetto costituisce un’obbligazione, non già di mezzi, ma di risultato (Cass. 24.4.1996 n. 3879;
  • l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria è di risultato perché ha per oggetto la sua realizzabilità; perciò se il committente comunica al professionista i rilievi formulati da un organo, consultivo o di controllo, che ne condizionano l’approvazione, il professionista è obbligato ad adeguare corrispondentemente il progetto, altrimenti il committente legittimamente rifiuta (art. 1460 c.c.) di corrispondergli il compenso (Cass. 21.3.1997 n. 2540).

Questi principi conseguono all’applicazione dell’art. 1176 comma 2 c.c., secondo cui “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Nella fattispecie conseguente alla segnalata sentenza della Corte Costituzionale, la diligenza del Professionista Ingegnere deve essere tale da indurlo sia a prendere contatto con il Comune per richiedere chiarimenti e indicazioni riguardo alle decisioni da assumere, sia ad informare il proprio committente.