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Bioenergie e criteri di sostenibilità: quali prospettive?

Tra le fonti rinnovabili conosciute le bioenergie rappresentano il comparto con le più grandi potenzialità di sviluppo

Tra le fonti rinnovabili conosciute le bioenergie rappresentano il comparto con le più grandi potenzialità di sviluppo, grazie all’infinita disponibilità di materia prima utilizzabile e alle molteplici tecnologie a disposizione che permetterebbero anche la massimizzazione della produzione di energia termica ed elettrica in contemporanea.
I prodotti vergini e residui che possono essere utilizzati per la produzione di energia derivano da numerosi comparti tra cui: quello agricolo (coltivazioni dedicate, residui colturali), agroforestale (scarti della manutenzione boschiva), zootecnico, industriale (scarti dell’industria del legno, della carta, dell’agroalimentare, ecc.) e dalla gestione della frazione organica dei rifiuti solidi urbani.
Questo settore però si presenta molto articolato e complesso, spesso caratterizzato da regole per la gestione della biomassa incomplete e a volte poco chiare, dalla scarsa conoscenza delle sue potenzialità e da un sistema incentivante in via di attuazione che, dalle bozze circolate in questi ultimi mesi, non sembra essere del tutto favorevole allo sviluppo futuro del comparto. Ad arricchire la complessità del quadro di riferimento in materia di bioenergie, è intervenuta la direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso delle fonti rinnovabili, introducendo, tra le numerose disposizioni in materia di FER, i criteri di sostenibilità per i bioliquidi e i biocarburanti. Tali prodotti sono combustibili liquidi derivanti da oli vegetali grezzi ottenuti dalla spremitura di piante oleaginose (colza, palma, girasole, mais, ecc.) utilizzabili in centrali per la produzione di energia e trasformati nel noto biodiesel se sottoposti a un processo di raffinazione.
I criteri di sostenibilità introdotti vincolano del tutto il comparto della produzione di bioliquidi e biocarburanti, i quali, sono ritenuti sostenibili se le materie prime utilizzate per loro produzione non vengono coltivate in terreni con elevata biodiversità e se, durante tutto il loro ciclo di produzione (dalla coltivazione del seme alla produzione di energia), viene garantita una riduzione delle emissioni di gas serra. L’energia prodotta con bioliquidi che non rispettano tali requisiti non potrà concorrere al raggiungimento degli obiettivi previsti per il 2020 (17% di FER sul totale dei consumi nazionali italiani e 10% nel settore dei trasporti) e, conseguenza altrettanto importante, non potrà beneficiare degli incentivi previsti dal regime di sostegno vigente.
Affinché avvenga una verifica del rispetto dei criteri di sostenibilità, la Commissione europea ha imposto ad ogni Stato Membro l’adozione di un sistema nazionale di certificazione, attraverso il quale gli operatori coinvolti in tutta la filiera di produzione dei bioliquidi possano certificare la loro partita di bioliquido e attestare il rispetto delle disposizioni inerenti la sostenibilità.
Ciò avviene a livello nazionale per ogni Stato Membro, ma le direttive europee, al fine di verificare il rispetto dei criteri, offrono anche la possibilità agli operatori, che non aderiscono al sistema nazionale, di poter adottare dei sistemi volontari approvati dalla Commissione o Accordi bilaterali tra l’Unione Europea e Paesi terzi.
Dalla pubblicazione della direttiva 2009/28/CE si è susseguito un percorso normativo di recepimento piuttosto lungo e complesso, giustificato anche dal fatto che i settori coinvolti in questa nuova disciplina (biocarburanti e bioliquidi) presentano un quadro normativo differente seppur siano imparentati dalla stessa materia di origine. La direttiva è stata inizialmente recepita dal decreto n.28/2011, in materia di FER, il quale cita che i bioliquidi e i biocarburanti dovranno ritenersi sostenibili a partire dal 1° gennaio 2012. Ma il decreto che definisce il sistema nazionale di certificazione della sostenibilità a cui gli operatori dovranno adempiere,viene pubblicato il 23 gennaio 2012 ovvero circa un mese dopola data imposta dal decreto n.28/2011 e circa tre anni dopo l’introduzione dei criteri nella direttiva comunitaria.
Il decreto 23 gennaio 2012 stabilisce le modalità di funzionamento del sistema nazionale di certificazione, le procedure di adesione e di verifica degli obblighi. Pertanto, ogni operatore della catena produttiva del bioliquido, sotto la supervisione di un ente di certificazione abilitato a tale attività, dovrà presentare all’operatore della fase successiva un documento di autocertificazione che dimostri l’avvenuto rispetto dei criteri di sostenibilità.
La difficoltà da parte degli operatori nell’attuare tale sistema nasce principalmente dall’effettivo ritardo con cui è stato emanato il provvedimento, in quanto i Ministeri coinvolti avrebbero dovuto pubblicarlo tre mesi dopo l’entrata in vigore del decreto n.28/2011. Così, oltre all’imposizione di misure onerose e non prive di difficoltà nella loro attuazione,gli operatori si sono visti ridurre di molto il tempo a disposizione per dotarsi delle procedure adeguate richieste dalla norma e a cui viene concesso un periodo transitorio di soli sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto per adeguarsi al sistema di certificazione.
E non è tutto: il decreto cosi come è stato redatto presenta molti concetti poco chiari, tant’è che i Ministeri, sollecitati dalle numerose richieste di chiarimento avanzate dalle associazioni di categoria – tra cui APER - hanno formulato delle FAQ, e un decreto correttivo pubblicato in Gazzetta lo scorso 19 giugno 2012.