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Calcestruzzo: un fungo lo renderà autoriparante ?

Una ricerca negli USA per un nuovo sistema di autoriparazione del calcestruzzo

Il tema dei cosiddetti calcestruzzi Self Healing, o autoriparanti, continua a tenere banco nel settore dei materiali cementizi. Il problema della durabilità del calcestruzzo nel tempo, e dei costi di manutenzione straordinaria delle opere è quanto mai presente, e non solo tra i tecnici, e questo ha portato molte aziende, tra cui anche i più grandi gruppi di produzione del cemento e additivi ad studiare le possibili soluzioni.

CALCESTRUZZO_AUTORIPARANTE.jpgAd oggi sul mercato i prodotti più diffusi sono i cosiddetti cristallizzanti, ovvero prodotti composti da materiali inorganici veicolati da una miscela di cemento e sabbia, che, a motivo della loro natura altamente idrofila, reagiscono con l’acqua e con i prodotti di idratazione del cemento per formare cristalli di idrosilicati di calcio, che vanno ad aumentare la densità della relativa fase, ed altri precipitati in grado di depositarsi nelle porosità e nelle micro fessure esistenti richiudendole. Un azione quindi preventiva e, successivamente correttiva, ossia autoriparante: in caso di formazione di una fessura questi prodotti reagiscono con l'acqua che permea nel calcestruzzo creando un prodotto che richiude la fessura stessa.

A New York si studia una soluzione a base di un fungo

A comunicare la ricerca è stato Congrui Jin, che insegna ingegneria meccanica alla Binghamton University e alla State University di New York. Dal 2013 Jin ha cercato di capire come le crepe del calcestruzzo potessero autoripararsi senza l’intervento umano. «L’idea – spiega –  mi era stata originariamente ispirata dalla straordinaria capacità del corpo umano di guarirsi da tagli, lividi e ossa rotte. Una persona prende i nutrienti che il corpo utilizza per produrre nuovi sostituti per guarire i tessuti danneggiati. Allo stesso modo, possiamo fornire i prodotti necessari al calcestruzzo per riempire le crepe quando si verificano danni? I miei colleghi della Binghamton University,  Guangwen Zhou,  David Davies,  Ning Zhang  della Rutgers University e io abbiamo trovato  un insolito candidato per aiutare il calcestruzzo ad autoripararsi: un fungo chiamato  Trichoderma reesei».

Inizialmente il team di ricercatori ha esaminato una ventina di diverse specie di funghi per trovarne uno in grado di resistere alle dure condizioni del calcestruzzo. «Alcuni li abbiamo isolati dalle radici di piante che crescevano in terreni poveri di nutrienti, tra cui le  New Jersey Pine Barrens e le Montagne Rocciose canadesi nell’Alberta», spiega ancora la Jin,

E’ così che hanno scoperto che quando l’idrossido di calcio del calcestruzzo viene disciolto dall’acqua, il pH del fungo aumenta da un valore originale neutro di 6,5 fino ad un 13,0 molto alcalino.

«Tra tutti i funghi che abbiamo testato . evidenzia la Jin – solo  T. reesei è  riuscito a sopravvivere in questo ambiente. Nonostante il drastico aumento del pH, le sue spore sono germogliate in un micelio filiforme e sono cresciute ugualmente bene sia con che senza cemento». Ne è venuto fuori lo studio “Interactions of fungi with concrete: Significant importance for bio-based self-healing concrete” pubblicato su Construction and Building Materials nel quale i ricercatori statunitensi propongono di includere spore fungine, insieme ai nutrienti, durante il processo di miscelazione iniziale per costruire una nuova struttura in cemento, per fare in modo che «Quando si verifica l’inevitabile fessurazione e l’acqua si fa strada, le spore fungine dormienti germinano. Man mano che crescono, agiranno come catalizzatore all’interno delle condizioni del calcio del calcestruzzo per favorire la precipitazione dei cristalli di carbonato di calcio. Questi depositi minerali possono riempire le crepe. Quando le crepe sono completamente calafatate e non è più possibile immettere acqua, i funghi formeranno nuovamente delle spore. Se si formano nuovamente delle crepe e le condizioni ambientali diventano favorevoli, le spore potrebbero risvegliarsi e ripetere il processo. Il team di ricercatori statunitensi evidenzia che «T. reesei  è eco-compatibile e non patogeno, non presenta rischi noti per la salute umana. Nonostante la sua presenza diffusa nei suoli tropicali, non ci sono segnalazioni di effetti avversi in piante o animali acquatici o terrestri. In effetti,  T. reesei  ha una lunga storia di  uso sicuro nella produzione su scala industriale  di enzimi carboidrasi, come la cellulasi, che svolge un ruolo importante nei processi di fermentazione durante la vinificazione».

Naturalmente, i ricercatori dovranno condurre una valutazione approfondita per studiare gli eventuali effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente e sulla salute umana prima dell’utilizzo del fungo  come agente riparatore delle strutture in calcestruzzo.

Congrui Jin conclude: «Ancora non comprendiamo appieno questa tecnica di riparazione biologica molto giovane ma promettente. Per il fungo il calcestruzzo è un ambiente difficile: valori di pH molto alti, dimensioni dei pori relativamente piccole, grave deficit di umidità, temperature elevate in estate e basse in inverno, disponibilità limitata di nutrienti e possibile esposizione ai raggi ultravioletti dalla luce solare. Tutti questi fattori influenzano drammaticamente le attività metaboliche dei funghi e li rendono vulnerabili alla morte.

La nostra ricerca è ancora nella fase iniziale e c’è ancora molta strada da fare per rendere l’autoriparazione del calcestruzzo concreta ed economica».