Impermeabilizzazione
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L’IGLAE e il Codice di Pratica delle Impermeabilizzazioni, come sono nati e perché

Come è nata l’IGLAE e perché, 26 anni fa, è stato deciso di scrivere e pubblicare il Codice di Pratica.

Un po’ di storia delle impermeabilizzazioni dagli anni 70

Questo articolo, che da molti anni volevo scrivere, non vuole esser semplicemente una presentazione di cosa è l’IGLAE e di che cosa tratta il Codice di Pratica, ma vuole ripercorrere, anche se in modo sintetico, gli ultimi 50 anni di “storia delle impermeabilizzazioni”, che è anche un po’ la mia storia professionale e personale, quindi il contesto in cui è nata l’IGLAE e perché, 26 anni fa, è stato deciso di scrivere e pubblicare il Codice di Pratica.

Erano gli anni 60 si era in pieno boom economico, con tassi d’incremento del reddito che superavano costantemente il 5% ogni anno, in molti potevano permettersi finalmente di comprare la Fiat 500, il televisore ed altri elettrodomestici.
Dopo la distruzione del patrimonio edilizio italiano, causato dalla 2^ guerra mondiale, il “mattone tirava” molto, qualche volta tirava un po’ troppo, vedendo infatti gli esempi architettonici di quegli anni, di cui, ancora oggi, stiamo pagando le conseguenze, soprattutto dal punto di vista estetico e paesaggistico … forse allora sarebbe stato bene “tirare qualche mattone”… in testa a certi progettisti ed impresari senza scrupoli!

Vi era comunque tra gli operatori del settore edile un grande entusiasmo e una grande voglia di “fare”.
Alla fine degli anni 60, esattamente nel novembre 1969, un gruppo di Imprenditori italiani, titolari di Imprese Edili, specializzate in opera d’impermeabilizzazione e verniciatura, fonda l’IGLAE (Istituto per la Garanzia dei Lavori Affini all’Edilizia), per dare, in qualche modo, voce più autorevole, all’interno della propria Associazione, alle Imprese Edili specializzate nei lavori complementari.
Tra questi Imprenditori, ricordo a titolo di esempio, Pietro Conti dell’Asfalti Conti (Presidente storico dell’IGLAE dalla sua costituzione al 2005 ed ancora oggi assolutamente presente e attivo all’interno dell’Istituto), Carlo Magnoni della S.C.I., Ugo Tortella dell’Acieroid Italia, Rodolfo Stella della Covecon, Angelo Alajmo dell’Alajmo, ed tanti altri. 

Tra gli scopi principali, che si proponeva l’IGLAE, vi erano in particolare: “la qualificazione tecnica e produttiva delle imprese Associate, promuovere l’adozione e/o l’emissione di normative, codici di pratica relativi ai lavori complementari, per consentire il rilascio di garanzie sui lavori eseguiti con l'impegno delle imprese aderenti ad  adottare le predette norme; inoltre emettere sistemi di qualificazione dei materiali e dei prodotti utilizzabili nel campo dei lavori complementari ed affini all’edilizia, ecc”.
Si parlava quindi di qualità e certificazione con oltre vent’anni di anticipo sull’emissione della famosa “ISO 2000” tutto merito di quei “allora quasi giovani” Imprenditori, pieni d’entusiasmo ed iniziativa.

Io che a quei tempi ero davvero giovanissimo entrai nel modo delle impermeabilizzazioni nel marzo del 1976; a dire il vero successe assolutamente “per sbaglio”, visto che fino a quel momento facevo l’Architetto progettista e tutto sommato ero partito molto bene, infatti lavoravo dal 1969, da quando ero studente del secondo anno d’architettura al Politecnico di Milano, come collaboratore, presso lo studio del famoso Arch. Gio Ponti.
Lo studio, purtroppo, a causa dell’età avanzata del Titolare stava riducendo di personale ed io “dovevo” trovare un altro lavoro velocemente, per cui lessi un annuncio sul Corriere della Sera che diceva “Impresa specializzata leader nel suo settore, cerca laureato settore edile per ufficio tecnico commerciale”.

Presi appuntamento e mi recai al primo colloquio, mai avrei pensato di trovarmi davanti ad un impresa specializzata in “impermeabilizzazioni”!!!, la “Vicenzi Asfalti”; … ma che cosa erano le impermeabilizzazioni?, l’unica vaga esperienza con questa “cosa strana” l’avevo avuta mentre disegnavo, nel 1970, nello studio Ponti, la sezione della copertura della cattedrale di Taranto.
Ricordo ancora che un giorno venne a controllare il disegno il “geometra anziano” dello studio, il quale gentilmente e professionalmente mi fece notare che avevo dimenticato lo strato impermeabile sotto pavimento; “…ma  la tenuta all’acqua piovana non è data dalle piastrelle e dalle loro stuccature?...” ingenuamente chiesi … ed ebbi una risposta davvero tecnica: ”come è fatta non sono fatti nostri, tu traccia una bella linea tratteggiata, poi, come eseguirla, sarà un problema dell’impresa quando farà il lavoro…!".

Purtroppo ancora oggi per certi professionisti la conoscenza delle impermeabilizzazioni si limita a quanto imparai  io stesso durante il mio primo approccio all’argomento e forse qualcuno crede addirittura ancora che l’impermeabilità di una copertura venga data dalla pavimentazione in piastrelle stuccate che la riveste (mi è capitato durante un’ATP); Subito comunque pensai “di questo mestiere non ci capisco e non ci capirò mai nulla, … ora accetto il lavoro e con calma mi guarderò intorno…poi nel giro di qualche mese cercherò lavoro in uno studio professionale di progettazione e tornerò a fare quello che so fare …”.

Morale della favola, in poche settimane mi accorsi di quanto quel lavoro fosse interessante e complesso e quante potenzialità di miglioramento potesse avere e me ne innamorai. Sono ormai quaranta anni che vivo di questa attività, a cui dedico, con grande passione, come molti possono testimoniare, anima e corpo; spero proprio nel frattempo, di aver capito che nelle impermeabilizzazioni ci sia qualche cosa di più oltre al fatto che la riga, che rappresenta lo strato impermeabile sul disegno, debba essere tracciata tratteggiata!
Fui assunto quindi alla Vicenzi Asfalti (belli quei tempi quando eri tu a decidere se volevi essere assunto da qualcuno e non viceversa !!!)  e fu la mia fortuna (per mia Moglie che non ha mai gradito il mio cambio professionale “la mia sfortuna”); d’altronde perdere me come “architetto” non credo sia stato un grande danno per l’architettura italiana, anche perché a parte la fantasia e il saper disegnare, io nella testa sono stato sempre un ingegnere (per me la funzionalità deve sempre prevalere sull’estetica).

La Vicenzi allora era la più grande impresa italiana e forse europea, nel campo delle impermeabilizzazioni; Nel 1978  aveva oltre 500 dipendenti assunti tra impiegati ed operai! Situazione difficile da riscontrare oggi anche tra le maggiori imprese generali.
Per me fu una vera esperienza formativa, per mesi mi mandarono a “vedere” i cantieri, a parlare con gli assistenti e i capisquadra e a capire che cosa fosse questo strano lavoro.

Un momento di transizione

Quegli anni, per le impermeabilizzazioni rappresentarono davvero un periodo particolare, di transizione tra due tecnologie impermeabilizzative: la tecnologia tradizionale che si usava dall’anteguerra e che prevedeva l’utilizzo di sistemi multistrato (spalmate di bitume ossidato fuso, intervallate a strati di cartonfeltro o velo vetro  bitumato), asfalti colati  (bitume distillato, rocce asfaltiche, inerti di varia granulometria del tutto similare a quello ancora oggi usato sui marciapiedi), emulsioni bituminose armate o meno, ecc. e la tecnologia moderna, che prevedeva l’utilizzo delle membrane prefabbricate in bitume polimero e/o sintetiche che, dopo la crisi petrolifera del 1973, si diffondevano sempre più sul mercato anche se ancora non rappresentavano il prodotto di riferimento delle impermeabilizzazioni.

Cosa era successo dopo il 1973? Almeno a quanto affermava il mio primo “maestro Ing. Gino  Vicenzi” “..il bitume non è più quello di una volta, durante i vari processi di distillazione, ormai gli portano via tutto il buono, le impermeabilizzazioni non si possono più fare con questo bitume così secco, … coccodrilla tutto, … forse è meglio usare le “guaine” che producono ora e che sono modificate coi polimeri …”

Aveva ragione! in effetti nel giro di pochi anni (dal 1975 al 1980) le vecchie metodologie impermeabilizzative “tradizionali” furono praticamente sostituite, nella loro totalità, da quelle “moderne” realizzate con membrane in bitume modificato con polimeri, anche se dietro tutto questo covava un fuoco che avrebbe totalmente cambiato l’organizzazione delle imprese applicatrici.

Con le vecchie tecniche d’impermeabilizzazione, il costo della mano d’opera era prevalente rispetto a quella del prodotto, erano indispensabili attrezzature costose e sofisticate che necessitavano di continui investimenti (bonze per l’asfalto colato, caldaie di fusione del bitume, da 3000-5000 litri, con pompa di sollevamento a ciclo continuo, per portare il bitume ossidato fuso in quota direttamente sulla copertura, mezzi di trasporto, officine interne ai magazzini, per la manutenzione delle attrezzature, ecc.), inoltre un gran numero di operai (specializzati, qualificati e manovali), di assistenti di cantiere, e di conseguenza capicantiere, tecnici in grado di progettare stratigrafie e particolari esecutivi, impiegati amministrativi, segretarie, ecc; In pratica una vera e propria organizzazione di tipo “militare” dai soldati ai generali.
Effettivamente già da sempre esistevano gli “artigiani”, ma questi si limitavano normalmente a realizzare piccoli lavori di copertura, dove era possibile utilizzare le caldaie da 200 litri che si trovavano in commercio e che potevano essere facilmente trasportate e sollevate in copertura.
Il grosso del lavoro d’impermeabilizzazione e soprattutto il cantiere importante era solo per le “grandi imprese d’Impermeabilizzazioni” (quali ad es. Vicenzi Asfalti, Soave, Covecon, Baessato, ecc.) che, oltre all’attrezzatura necessaria, avevano minimo un centinaio di dipendenti assunti.

L'affermazione dei nuovi sistemi impermeabili

Con la disponibilità sul mercato delle membrane prefabbricate in bitume polimero e sintetiche (soprattutto PVC-P), che necessitavano di minima attrezzatura ed investimenti (si diceva: … “basta un bruciatore, un cazzuolino, una bombola ed un motofurgone ed ecco costituita un’impresa d’impermeabilizzazioni … “) si erano invertiti i rapporti d’incidenza della mano d’opera rispetto ai materiali, cioè questi ultimi rappresentavano spesso il 65-70% dell’importo totale.
A cavallo del 1980, gli operai più capaci delle grandi imprese d’applicazione colsero l’occasione al balzo e acquistando l’attrezzatura minima necessaria, formarono imprese artigiane di poche persone, in grado di eseguire anche lavori di una certa dimensione ed importo.

Specialmente all’inizio gli operai che ebbero il coraggio di licenziarsi da un posto di lavoro sicuro per trasformarsi in artigiani erano i capisquadra, quindi sicuramente i migliori, quelli con maggior esperienza, poi il successo delle loro scelte invogliò anche gli ultimi arrivati (operai qualificati e manovali), privi d’esperienza a trasformarsi in artigiani per lavorare “in proprio”, per poi magari, tornare a lavorare in subappalto, per le stesse imprese, da cui si erano appena licenziati.
Per alcuni anni, dopo il 1980 le grandi imprese d’impermeabilizzazione cercarono di resistere e contrastare, almeno con la qualità del proprio lavoro e le garanzie rilasciate, questa concorrenza artigiana molto aggressiva, che andava diffondendosi sempre di più, proponendo costi bassissimi, sul mercato delle impermeabilizzazioni.

Le maggiori spese generali, dovute all’organizzazione delle grandi Imprese, un po’ alla volta le costrinsero a ridimensionarsi, dal punto di vista del personale e dell’attrezzatura, oppure a chiudere definitivamente, come purtroppo successe nei primi anni 80, a molte imprese d’impermeabilizzazione storiche, attive fin dagli anni 20 e 30.
Chi rimase ed accettò di ridimensionarsi, dovette scegliere, come prodotto primario per i loro lavori, le “moderne” membrane prefabbricate, abbandonando definitivamente le altre “vecchie” tipologie d’impermeabilizzazione che conoscevano da decenni e di cui erano assolutamente esperti.

Specialmente negli anni 80, vi era davvero poca esperienza riguardo al comportamento, nel tempo, delle membrane impermeabili prefabbricate, riguardo la corretta posa, l’attrezzatura e la progettazione dei particolari esecutivi; forse noi italiani eravamo troppo orgogliosi per tenere conto delle esperienze che si erano già fatte in Francia con questi nuovi sistemi impermeabili.
Le ex grandi imprese di applicazione, anche se ormai dimensionate, avevano comunque una preparazione e capacità progettuale, che le aiutava nelle scelte del prodotto e della sua applicazione, adatte ad ogni tipologia costruttiva; qualche aiuto lo davano gli agenti dei produttori delle membrane, ma anche loro, salvo eccezioni, spesso non venivano presi come riferimento.

In un modo ancora senza “internet”, dove le informazioni viaggiavano soprattutto in cartaceo, furono sicuramente più utili ai professionisti del settore, le fiere specializzate in edilizia, come il SAIE a Bologna (già dal 1967) e l’EXPOITA a Milano (biennale dal 1977 al 1985, dove era stata sempre presente, con un suo stand, l’IGLAE), che contribuirono a diffondere la conoscenza dei nuovi prodotti ed attrezzature e divennero, per le imprese d’impermeabilizzazione, un importante luogo di scambio di opinioni ed esperienze.

Le società d’assicurazione, nel frattempo, trovarono il cliente ideale, nelle tante imprese artigiane e non, prive di referenza storica riguardo la loro attività professionale e quindi poco affidabili rilasciare garanzie decennali sui lavori eseguiti.
Fiorirono pertanto i certificati di polizza decennali, riguardanti la fornitura in opera di sistemi impermeabili, talvolta purtroppo proposti dagli stessi produttori di membrane (se ne pentirono amaramente subito dopo!).
La soluzione proposta era più o meno questa: “tu comperi il mio prodotto e io ti do contemporaneamente un certificato di polizza a copertura del lavoro eseguito con quel prodotto … tranquillo nel costo del prodotto è già compreso il premio dell’assicurazione ...”
Ci si può immaginare cosa successe in pochissimi anni, l’applicazione e la qualità dei prodotti utilizzati ne risentì enormemente; il ragionamento era: ” … intanto ho la polizza …!”
Un vero disastro!!!, le Assicurazioni pagarono per danni, in quegli anni, cifre esorbitanti, rispetto ai premi ricevuti e quindi cominciarono ad annullare le polizze o nel migliore dei casi ad aumentare in modo inaccettabile i premi assicurativi, anche alle imprese più capaci, sicuramente innocenti riguardo il disastro provocato dagli incompetenti.

Nel frattempo io, insieme ad alcuni colleghi, alla fine del 1981, decisi di lasciare la Vicenzi Asfalti, ormai troppo grande per sopravvivere in questo nuovo mondo d’impermeabilizzatori e aprii una mia impresa (CO.GE.IMP.) nella quale lavorai fino al 1995, prima di entrare nella produzione.
Ovviamente, quale giovane imprenditore di settore, mi iscrissi quasi subito all’IGLAE, diventandone socio attivo, avendo così l’opportunità di conoscere tanti personaggi storici dell’impermeabilizzazione da cui imparare.

L'IGLAE, la regola d'arte, le Polizze Assicurative: nasce il Codice di Pratica


Il problema delle assicurazioni però doveva essere ancora risolto, pertanto nel 1989 con Pietro Conti, Carlo Galeazzi, Francesco Presutto e forse qualche altro, incontrammo un rappresentante delle Assicurazioni Generali, esperto di polizze per l’edilizia, il quale giustamente ci disse ”… siamo disponibili ad assicurare le coperture impermeabili eseguite a “regola d’arte …, dato che in Italia non vi sono normative di riferimento riguardo l’applicazione di questi sistemi impermeabili …"l’IGLAE si faccia promotore di questa norma scrivendo un Codice di Pratica (argomento che oltretutto, come si è visto inizialmente, faceva parte degli scopi iniziali dell’IGLAE)” per definire finalmente quale è la corretta “regola d’arte”.

La proposta era chiara ed assolutamente corretta, pertanto come IGLAE entrammo, nella commissione UNI “coperture continue” e proponemmo la preparazione di un “Codice di Pratica” che indicasse le caratteristiche minimali riguardanti i prodotti da utilizzare nei sistemi impermeabili, le corrette metodologie di posa degli stessi e i particolari esecutivi più ricorrenti.
Venne quindi nominata nel 1990 una sottocommissione UNI che doveva preparare questo Codice; ne facevano parte Giuseppe Barbesino, in rappresentanza dei Produttori di membrane in bitume polimero, Pier Maria Sartori direttore dell’ICITE (CNR), quale consulente tecnico e Antonio Broccolino con Carlo Galeazzi, quali rappresentati IGLAE in UNI e non in forma stabile altri rappresentanti di Produttori di membrane sintetiche.
Lavorare insieme a questi tre tecnici è stata per me una grande e positiva esperienza, riguardo le Norme e soprattutto la loro interpretazione ed applicazione; purtroppo Barbesino, Sartori e Galeazzi, che insieme a me furono i redattori della 1^ edizione, per conto d’IGLAE, non ci sono più da quasi due decenni, ma li ricordo sempre con grande affetto e simpatia per quello che mi hanno dato umanamente e professionalmente. 

Lavorammo insieme per oltre 2 anni alla stesura del Codice di Pratica delle coperture continue, che venne ovviamente scritto, per quanto riguarda la forma, come se fosse una Norma Uni (d’altronde doveva diventare un Norma), poi nel 1992 lo presentammo in commissione UNI, dove durante la votazione che seguì un’animata discussione, purtroppo non venne raggiunta l’unanimità, in quanto il fatto di indicare delle prestazioni minimali dei prodotti non era a tutti gradito.
Visto che il lavoro era pronto ed era riuscito bene, anche su sollecitazione di moltissimi membri della stessa Commissione UNI, decidemmo quindi di pubblicare ugualmente il Codice di Pratica, nella prima edizione nel 1993, quale documento tecnico dell’IGLAE (Istituto per la Garanzia dei lavori affini all’edilizia).
Da allora il Codice di Pratica delle coperture continue è diventato a tutti gli effetti e lo è ancora oggi, dopo 23 anni dalla sua pubblicazione (1^ edizione del 1993, con 2 ristampe, 2^ edizione 2006 e 3^ edizione 2016), un importante documento tecnico di riferimento, riguardante le regole basi per la corretta scelta (caratteristiche minimali) dei prodotti e materiali  costituenti i sistemi di copertura impermeabilizzati e la loro messa in opera. 

copertina codice-iglae

In questa 3^ edizione 2016 si è cercato di ridurre l’aspetto normativo del Codice di Pratica, per renderlo più facilmente leggibile e consultabile, quindi sono state aggiunte circa 80 pagine riguardanti argomenti davvero pratici per i professionisti del settore e assolutamente chiari anche per tecnici non specializzati nelle impermeabilizzazioni. Infatti vengono riportate le motivazioni delle scelte progettuali possibili (mescole, armature, sovrapposizione di elementi e strati, direzione di elementi e strati, metodologie di posa degli stessi, caratteristiche minimali dell’elemento di tenuta in funzione della sua destinazione d’uso, rifacimenti di coperture esistenti, il corretto stoccaggio dei materiali in cantiere, ecc.), con l’aggiunta, quando possibile, di sintetiche tabelle di facile consultazione.
Nei vari argomenti trattati, sono sempre state indicate, quando presenti, le normative UNI e/o i decreti Legislativi di riferimento.

Per i Periti, su loro specifica richiesta, sono state inserite delle chiare tabelle riguardanti le anomalie più ricorrenti che possono interessare le membrane impermeabili prefabbricate, l’aspetto dell’anomalia, la sua causa e quanto possibile la soluzione per eliminarla.
Un’appendice è stata dedicata al calcolo d’estrazione da vento, con specifico riferimento alla Norma Uni 11442, con esempi di calcolo, per la determinazione, a seconda del vincolo di contrasto scelto, dei fissaggi meccanici o del peso dello zavorramento.
In un’altra appendice è stata affrontata la problematica della corretta misurazione ai fini della contabilizzazione economica di un sistema di copertura (riferimento Norma UNI 10697), le condizioni generali della fornitura riguardo gli oneri spettanti alle Parti, le garanzie che devono essere rilasciate dall’Applicatore e le loro limitazioni, le manutenzioni assolutamente necessarie, riguardo il mantenimento della copertura (riferimento Norma UNI 11540) e la validità delle garanzie date.

L’aspetto grafico della nuova edizione 2016 è cambiato, per rendere più semplice la lettura e la consultazione; sono stati resi attuali praticamente tutti i disegni presenti nelle vecchie edizioni, riguardanti i particolari esecutivi e le corrette metodologie di posa in opera degli elementi e strati, costituenti il sistema di copertura. 

È importante essere a conoscenza che nella Norma UNI 11540, da poco pubblicata, è stata inserita. per la prima volta, la definizione di “regola dell’arte” che viene indicata come segue: Insieme delle tecniche considerate corrette dagli specialisti del settore per l'esecuzione di determinate lavorazioni del sistema di copertura. Le leggi dello stato quale riferimento primario e le norme prodotte da enti di normazione, quando disponibili, costituiscono un quadro di riferimento per valutare la rispondenza di un’opera alle regole dell’arte. In assenza completa o parziale di riferimenti normativi, le linee guida promosse da associazioni industriali o professionali (quindi, per le coperture impermeabili, il “Codice di pratica di IGLAE” e il documento tecnico “Sistemi d’impermeabilizzazione - Guida alla progettazione" di ASSIMP Italia”), costituiscono interpretazione referenziale e riconosciuta delle regole dell’arte. Le guide emesse da singoli produttori costituiscono regole dell’arte per l’applicazione dei materiali prodotti dal produttore stesso. 

Il Codice di Pratica è pertanto destinato ai professionisti del settore impermeabilizzazione, perché tengano conto delle indicazioni progettuali ed esecutive indicate al fine di progettare e realizzare  sistemi impermeabili a “regola d’arte”, ai progettisti in genere, per aiutarli nel loro lavoro, alle società di verifica a fini assicurativi e ai tecnici delle società di assicurazione per valutare la reale rischiosità dei sistemi impermeabili, ai periti assicurativi o di parte o nominati dal Tribunale o dalle stesse parti per poter comprendere le reali responsabilità in caso di contenzioso, ecc.

arch. antonio broccolino

Nota dell’Autore del presente articolo:
È doveroso precisare, in questo articolo, che i due documenti tecnici: “Codice di Pratica IGLAE” e “Sistemi d’impermeabilizzazione - Guida alla progettazione di ASSIMP Italia” che ,come precedentemente indicato, possono considerarsi, secondo quanto riportato nella Norma UNI 11540, “quali interpretazione referenziale e riconosciuta delle regole dell’arte“, non sono assolutamente in contrasto tra loro, ma indicano due visioni diverse degli stessi argomenti, sono assolutamente complementari e si basano sugli stessi principi progettuali.

Il “Codice di Pratica” è un manuale di progettazione che fornisce le basi per progettare a “regola d’arte” e che da anche informazioni essenziali per la gestione del lavoro, la sua garanzia e manutenzione, mentre la “Guida alla progettazione” di ASSIMP Italia illustra e dettaglia una vasta serie di esempi progettuali, con la descrizione delle soluzioni tecniche ed  i criteri realizzativi ed esecutivi degli elementi e strati presenti nei vari sistemi Impermeabili.

A titolo puramente informativo, anche a dimostrazione di quanto sopra, l’autore di questo articolo Antonio Broccolino, che è il redattore del “Codice di Pratica” per conto di IGLAE, ha dato un contributo specialistico alla stesura della “Guida alla progettazione di Assimp Italia di cui gli autori sono Sergio Croce e Matteo Fiori, che a loro volta hanno dato un contributo specialistico alla stesura del “Codice di Pratica”. 

Il Codice di Pratica può essere acquistato:

  • via internet sempre presso l’Editore Dario Flaccovio dal 1 ottobre 2016 sul seguente  link
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