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Influenza degli elementi di rivestimento sulla carbonatazione del calcestruzzo

Valutazione comparativa – condotta mediante sperimentazioni di laboratorio – fra le diverse soluzioni che un’indagine preliminare ha rivelato essere le più diffuse su una certa parte del territorio (la città di Napoli), non trascurando i dovuti approfondimenti sulle specifiche caratteristiche dei materiali.

L’evoluzione della carbonatazione calcestruzzo e gli effetti connessi alla variazione del pH sono probabilmente fra gli aspetti di maggiore interesse nello studio del degrado di questo materiale. È possibile individuare che tipo di influenza hanno gli strati di rivestimento su tale fenomeno, e – in caso affermativo – quali sono le soluzioni tecniche che garantiscono il miglior risultato in termini di protezione?

Il lavoro in oggetto propone una valutazione comparativa – condotta mediante sperimentazioni di laboratorio – fra le diverse soluzioni che un’indagine preliminare ha rivelato essere le più diffuse su una certa parte del territorio (la città di Napoli), non trascurando i dovuti approfondimenti sulle specifiche caratteristiche dei materiali.

INTRODUZIONE

La valutazione della durata dei componenti edilizi rappresenta da ormai alcuni decenni un argomento di significativo interesse per la comunità scientifica internazionale, ma è diventato di notevole rilevanza anche per il settore della produzione edilizia, anche a seguito di un quadro normativo che chiama alcuni degli stakeholders del processo edilizio a proporre stime sul ciclo di vita: basti pensare al piano di manutenzione dell’opera e delle sue parti introdotto dalla legge 109/94, al piano di manutenzione delle strutture introdotto dalle N.T.C. 2008, al Life Cycle Costing introdotto dal D. Lgs. 50/2016, ma anche da analisi Life Cycle Assessment che hanno negli ultimi anni assunto un ruolo molto importante, evidentemente sotto la spinta che deriva dai temi della sostenibilità e dell’economia circolare, che campeggiano a pieno titolo nei focus del Piano Nazionale di Industria 4.0.

La necessità di procedere alla determinazione della durata dei componenti edilizi necessita di un attento studio delle variabili che influiscono sul loro comportamento nel tempo. Lo sviluppo e la continua immissione sul mercato di materiali e di tecnologie esecutive di nuova concezione, determinano, in particolare, l’esigenza di apprezzarne le aspettative di durata nel tempo. Gli studi effettuati in questo settore di ricerca hanno finora affrontato la questione in maniera compiuta relativamente ad un vasto panorama di componenti edilizi e di sistemi, primi fra i quali quelli strutturali, ed in particolare il calcestruzzo.

L’evoluzione del fenomeno della carbonatazione e gli effetti connessi alla variazione del pH sono probabilmente fra gli aspetti di maggiore interesse nello studio del degrado di questo materiale.

Dall’analisi dello stato dell’arte, con specifica attenzione a tale fenomeno, emerge che è opportuno, in particolare, approfondire gli studi relativi alla durabilità degli elementi strutturali in calcestruzzo armato sottoposti a interventi di consolidamento con tecnologie e materiali innovativi, quali ad esempio l’incamiciatura con calcestruzzo autocompattante (conosciuto anche con l’acronimo inglese SCC), stante la carenza di studi scientifici mirati a questo particolare aspetto.

Nel panorama degli studi e delle sperimentazioni condotte, poi, molte volte sono state proposte trattazioni del comportamento del tempo di calcestruzzi protetti da strati di pittura, ma tale soluzione non è certamente quella che si riscontra nella maggior parte degli edifici (soprattutto quelli realizzati nel periodo fra il dopoguerra e gli anni ’70), che invece presentano uno strato di intonaco fra l’elemento strutturale e quello di finitura.

È possibile individuare se esiste un contributo degli strati di rivestimento alla durabilità del calcestruzzo, e – in caso affermativo – quali sono le soluzioni tecniche che garantiscono il miglior risultato?

L’approccio che si è adottato per fornire risposta alle problematiche evidenziate è stato quello di proporre una valutazione comparativa – condotta mediante sperimentazioni di laboratorio – fra le diverse soluzioni che una indagine preliminare ha rivelato essere le più diffuse su una certa parte del territorio (la città di Napoli), non trascurando i dovuti approfondimenti sulle specifiche caratteristiche dei materiali.

La fase di realizzazione delle prove di laboratorio, preceduta dalla definizione dei modelli di simulazione e dalle caratteristiche dei provini, nonché dalla definizione delle sollecitazioni a cui sottoporli, è consistito in cicli di carbonatazione accelerata, completati dalle necessarie prove per la lettura e per l’analisi dei risultati ottenuti.

STATO DELL’ARTE

Il progressivo invecchiamento delle strutture in calcestruzzo armato rappresenta, in questi anni, un fenomeno di particolare interesse, soprattutto se si considera che fino ad oggi tale tipologia di strutture è stata realizzata senza particolari accorgimenti per garantirne la durata. Le conseguenze dal punto di vista economico e della sicurezza non sono certo trascurabili: risulta fondamentale quindi concentrare l’attenzione e gli sforzi delle ricerche sul campo della prevenzione del deterioramento delle strutture. 

Come noto, il degrado del calcestruzzo armato può progredire fino ad arrivare a provocare una situazione di pericolo per la stabilità della struttura, innanzitutto per effetto della corrosione delle armature. Questa a sua volta è soprattutto conseguenza dell’insufficiente protezione che ha il calcestruzzo (e che a sua volta offre alle armature) nei confronti degli agenti responsabili dei diversi fenomeni di degrado, in particolar modo della carbonatazione.

Se da un lato, quindi, il patrimonio edilizio in c.a. esistente è sempre più frequentemente interessato da situazioni di forte degrado, tali da richiedere importanti interventi di consolidamento, spesso con cerchiatura a mezzo di SCC al fine di migliorarne le prestazioni meccaniche, dall’altro assume notevole interesse la comprensione del contributo fornito dai rivestimenti alla protezione delle armature, in quanto esistono (e forse esisteranno ancora per un tempo non trascurabile) molti edifici per i quali fra la superficie esterna del calcestruzzo e gli agenti sollecitanti, sono proprio questo tipo di rivestimenti l’unico ostacolo che può contrastare l’avanzamento della carbonatazione.

In entrambi i casi è possibile affrontare la questione del degrado degli elementi in calcestruzzo armato e delle interazioni fra questi ultimi e gli elementi protettivi che a diverso titolo operano un’azione di confinamento dei manufatti stessi, quantificando i benefici prodotti.

Alcuni studi (cfr. infra) hanno evidenziato l’efficacia delle vernici a base acrilica e silossanica, in cui la componente acrilica ha la funzione aggregante, ricollegando particelle minerali ancora slegate, mentre quella silossanica, a contatto con l’ossigeno atmosferico e in ambiente alcalino, si trasforma in composti siliconici costituenti uno strato secco impermeabile ma di elevata traspirabilità. Il loro impiego, comunque, sia per la degradabilità propria delle verniciature, sia per le difficoltà di un controllo prolungato, va inteso come operazione finale di un sistema di prevenzione basato su interventi diretti sui componenti fondamentali del calcestruzzo armato, ed in ogni caso occorre tenere in debito conto che l’interazione più frequente non è fra pittura e calcestruzzo, esistendo per la gran parte dei caso la “mediazione” degli intonaci.

Attività di ricerca antecedenti alla UNI EN 13295  

Significative sperimentazioni antecedenti al 2005 (anno di pubblicazione della norma UNI EN 13295:2005 [3] (“Prodotti e sistemi per la protezione e la riparazione delle strutture in calcestruzzo – Metodi di prova – Determinazione della resistenza alla carbonatazione”) si possono ritrovare tra i numerosi lavori da considerare di grande interesse [4][5][6]: in ognuno di essi è stata utilizzata la stessa metodologia nella realizzazione dei campioni e nell’esecuzione della prova di carbonatazione accelerata.

La penetrazione all’anidride carbonica è stata misurata a intervalli regolari utilizzando le metodologie descritte nella norma UNI 9944:1992 [7] dal titolo “Corrosione e protezione dell’armatura del calcestruzzo. Determinazione della profondità di carbonatazione e del profilo di penetrazione degli ioni cloruro nel calcestruzzo”.

Attività di ricerca recenti

Lo stato dell’arte di seguito riportato si riferisce ad attività di ricerca che prevedono la valutazione, per successivo confronto, del contributo alla durabilità del calcestruzzo da parte degli elementi di rivestimento.

La conoscenza di tali esperienze è di fondamentale importanza per due motivi:

1. per poter indirizzare l’attività di ricerca partendo da una base costituita proprio dalle metodologie e dai risultati di tali sperimentazioni;

2. per avere informazioni metodologiche e riferimenti normativi necessari per una corretta definizione del programma sperimentale.

L’influenza dei rivestimenti sulla durabilità del calcestruzzo è stata affrontata da diversi autori fra  quali un importante modello sperimentale è presentato in “A Simple Chamber for Accelerated Carbonation Testing of Concrete” [1].

Lo studio ha analizzato i fattori che sono ritenuti maggiormente influenti sulla qualità di rivestimenti che riducono il tasso di carbonatazione del calcestruzzo, in particolare, protezioni contenenti additivi a base di polimeri acrilici. Esso ha fornito, inoltre, utili informazioni per la realizzazione di una camera di prova accelerata necessaria per la valutazione della profondità di carbonatazione del campione esaminato.

Sulla base dei risultati ottenuti, si sono sviluppati, tra gli altri, alcuni studi su provini di calcestruzzo, protetti non solo con finiture acriliche ma anche con rivestimenti cementizi di finitura [2].

A maturazione avvenuta, dei tre provini in calcestruzzo realizzati, uno è stato trattato con la finitura acrilica; il secondo provino è stato trattato con il rivestimento cementizio, mentre il terzo provino non è stato sottoposto ad alcun trattamento protettivo.

Con riferimento al metodo di prova normalizzato, ai sensi della UNI EN 13295:2005 [3], i tre provini sono stati introdotti in una camera di carbonatazione accelerata ed esposti per 90 giorni ad una atmosfera contenente l’1% di CO2, una temperatura di 25°C ed umidità relativa del 65%.

A 28 giorni di esposizione in camera climatica, non sono state rilevate profondità di carbonatazione apprezzabili sui tre provini analizzati. Dopo 90 giorni di esposizione alla CO2, dalle superfici laterali dei provini in questione sono state rimosse lastre dello spessore di 2-3 cm.

Ciascuna superficie di rottura fresca è stata trattata con una soluzione indicatrice a base di fenolftaleina all’1% in alcool e per ciascuna faccia sono stati registrati i valori individuali della profondità di carbonatazione.

Anche l’analisi dello stato dell’arte del periodo più recente ha messo in luce la necessità di eseguire test su campioni che riproducano l’effettiva stratificazione dei materiali in opera, e che prendano altresì in considerazione quegli interventi – di più recente concezione – che determinano una nuova situazione di confinamento degli elementi strutturali in calcestruzzo, con la realizzazione di “gusci” che sempre più spesso si tende ad eseguire in SCC, proprio per le qualità intrinseche di questo materiale.

MATERIALI E METODI

La ricerca si è concentrata sull’analisi degli edifici con struttura portante in calcestruzzo armato, indipendentemente dalla tipologia di tamponatura presente, con lo specifico obiettivo di studiare il comportamento nel tempo degli elementi strutturali (travi e pilastri), appartenenti all’involucro esterno dell’edificio, e sottoposti ad interventi di consolidamento mediante incamiciatura con calcestruzzo autocompattante.

In tale contesto, è chiaro che alla realizzazione di tali interventi conseguono le opere di completamento con la realizzazione del rivestimento e della finitura. Si è giunti, pertanto, all’individuazione di una stratigrafia ricorrente da analizzare a seguito degli interventi su citati. 

Per quanto sopra esposto, gli elementi costituenti la stratigrafia sono costituiti dal nucleo (calcestruzzo ordinario originario), dallo strato di rinforzo (calcestruzzo autocompattante), dallo strato di rivestimento (intonaco) e dallo strato di finitura (pittura) (fig.1).

stratigrafia-nucleo-pilastro-scoganmillo.JPG

Figura 1 - Schema della stratigrafia oggetto di studio

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