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Un Piano Marshall per l’adeguamento delle costruzioni esistenti in zona sismica

È indubbio che la Sentenza 190/2018 della Sesta Sez. Penale della Corte di Cassazione ponga grandi interrogativi su cosa fare da parte di tutti gli operatori del settore (progettisti, amministratori, legislatori, studiosi del settore, etc.). 

Questa sentenza di fatto stabilisce che se in base ad una valutazione di vulnerabilità sismica un edificio esistente pubblico, ma in linea teorica anche uno privato, risulta non idoneo anche di pochissimo (nel caso della sentenza l’indice di vulnerabilità dell’edificio in questione era stato valutato pari a 0.985), fino ad adeguamento, se previsto dalla norma, non può essere utilizzato senza un eventuale declassamento del suo uso.

Questo è conseguenza di due fatti concomitanti:

- la nostra norma tecnica è coercitiva (vi è l’obbligo del rispetto della stessa da parte del progettista)

- Come tale, essa va rispettata in toto, alla pari di qualsiasi altra legge dello stato.

Sulla base di queste prerogative la sentenza sopra citata è ineccepibile: “qualora dalla norma sia previsto l’adeguamento, essa va applicata senza eccezioni”. 

L’interrogativo posto nella lettera del Prof. Bruno Calderoni del 12/01/2018, pubblicata su Ingenio, è quindi legittima: “stando così le cose, dobbiamo andare tutti sotto una tenda?”. I giudici direbbero sicuramente si, non ci sono alternative, la legge va rispettata. L’amministratore e il politico direbbero no, è impossibile, non si può bloccare un paese. Chi dei due ha ragione? Il buon senso direbbe entrambi e nessuno dei due; dilemma insolubile. Per capire cosa fare bisogna analizzare il problema alla radice. 

Prima di tutto bisogna comprendere a pieno la situazione attuale italiana. Problema di dimensioni ciclopiche. Se si procede a grandi linee, si può comunque asserire che la situazione è in genere disastrosa. A causa di errori grossolani di classificazione sismica succedutisi in tutto il secolo scorso, gran parte dell’edificato è sismicamente molto vulnerabile poiché costruito senza alcun criterio antisismico.

Soprattutto in seguito al boom economico del dopoguerra, il nostro territorio è stato disseminato di una miriade di edifici in genere inadeguati e vulnerabili al sisma. 

La seconda questione su cui interrogarci è: “per l’esistente, l’attuale norma tecnica sulle costruzioni si può assurgere a legge?”.

A mio parere, non ci sono dubbi, la risposta è no. Il motivo è estremamente semplice. L’attuale norma tecnica è frutto dello stato delle conoscenze del momento nel settore delle costruzioni.

Come tale è quindi in continua evoluzione, per cui non può essere assunta come un dogma o un principio legislativo. C’è quindi un errore di base che si sta commettendo da tempo, per di più se si pensa che nella valutazione della vulnerabilità sismica dell’esistente entra in gioco un numero elevatissimo di parametri (input sismico, caratteristiche dei materiali, dettagli costruttivi, interazione tra le componenti strutturali, modelli assunti nel calcolo, etc.) per cui i risultati che si ottengono ricadono in un range di variabilità in genere molto ampio. I valori ottenuti da un progettista non sono quindi da considerarsi come assoluti ma solo indicativi di una situazione. Per questo il valore dell’indice di vulnerabilità 0.985 (la terza cifra è sicuramente priva di significato, ma forse anche la seconda..), oggetto della sentenza della Cassazione sta creando così tanto clamore. È infatti evidente che il legislatore è entrato “a gamba tesa” nella questione sicurezza sismica imponendo la sua interpretazione su tutte le altre.

Il problema è comunque ancora più complesso se si va ad analizzare l’attuale impostazione della norma. Come noto, questa sia per quanto riguarda l’input sismico che la valutazione della struttura, è basata sul metodo probabilistico. In particolare l’input sismico si fonda sull’ipotesi Poissoniana della distribuzione statistica degli eventi, oltre che sul metodo per la determinazione della risposta nel singolo punto, basato sull’uso di opportune funzioni di trasferimento dedotte su base empirica. Come evidenziato da tempo in letteratura e recentemente ribadito ad esempio nell’articolo presentato alle Giornate ANIDIS 2017, il metodo in generale non funziona bene e sottostima in genere gli effetti dei sismi reali quando di forte intensità.

Gli ultimi eventi nel centro Italia ne sono una chiara dimostrazione, gli spettri corrispondenti ai sismi registrati sono risultati di gran lunga superiori a quelli proposti dalla norma anche considerando il “periodo di ritorno” massimo attualmente previsto di 2475 anni. Oltre al fatto che la valutazione della pericolosità sismica del territorio è in genere sottostimata, le norme prevedono che l’entità di un sisma con il quale si effettuano le verifiche dipenda dall’importanza della struttura in esame; per una struttura ordinaria la pericolosità è associata ad un “periodo di ritorno” del sisma di 475 anni, per una struttura strategica rilevante può invece arrivare a 2475 anni. Come è facile comprendere si tratta di valori convenzionali, privi di ogni senso fisico, basati su probabilità di superamento arbitrarie. È inoltre evidente che se arriva un terremoto reale questo non distingue un edificio ordinario da uno strategico ma li sottopone allo stesso accelerogramma. 

Allora che fare? Come comportarsi in modo razionale nei confronti del terremoto? La prima questione è quella di valutare correttamente la pericolosità sismica. 

Essendo ormai consolidato che non si può prevedere con precisione quando arriverà un terremoto (non ci sono precursori a breve termine attendibili), non resta altro che progettare una struttura sulla base del massimo evento prevedibile per il sito.

Questo si può fare ad esempio utilizzando un approccio neo deterministico basato su una serie di scenari possibili sulla base di dati sismologici, storici, e geologici noti, in modo da ottenere per il generico sito il massimo sisma credibile a cui saranno sottoposte tutte le strutture colpite dall’evento. In questo modo si mantiene comunque un’incertezza sui valori delle magnitudo assegnate ma si eliminano i fattori legati alla vita di riferimento e alla probabilità si superamento, attualmente arbitrari. 

La seconda questione è quella di stabilire quali dovranno essere le performances delle diverse strutture. Sotto l’azione del massimo sisma credibile, per un ospedale ad esempio si può richiedere il soddisfacimento dello stato limite di operatività, ad una scuola lo stato limite di danno limitato, ad un edificio ordinario lo stato limite di collasso o di riparabilità etc. etc. 

Come si può notare l’approccio più razionale, descritto nell’articolo, è lontano da quello attuale per cui le cose da fare sono ancora molte a livello normativo.

In questo momento vedrei come importanti quattro aspetti:

1) Rivedere l’assetto normativo riguardante soprattutto le strutture esistenti, separandolo in modo chiaro da quello delle strutture di nuova costruzione. Per le prime bisogna chiaramente rendere la norma temporaneamente non coercitiva, in modo da bypassare tutti gli inconvenienti fino ad ora elencati ed in particolare la necessità di abbandonare temporaneamente tutti gli edifici non idonei. Attualmente, questo importante aspetto è recepito dalla norma, anche quella appena emanata, ma in modo non del tutto chiaro. Il problema è che chi applica la giustizia (vedasi sentenza) non recepisce la norma allo stesso modo di chi di chi l’ha pensata, per cui va fatta chiarezza. Per le nuove costruzioni, vista la situazione italiana, è bene che la norma rimanga invece coercitiva.

2) Rivedere gli aspetti normativi più importanti per avere una corretta valutazione della reale pericolosità sismica ed una scelta appropriata degli stati limite accettabili. In particolare non è possibile continuare a sottostimare la pericolosità e bisogna esattamente dire quale sia il livello minimo accettabile per tutti gli edifici esistenti, anche per quelli di comune abitazione. Una possibile soluzione in questo senso può essere ottenuta facendo riferimento all’aspetto deterministico del sisma e al concetto di massimo sisma credibile. A questo proposito è auspicabile una revisione della norma con una frequenza più elevata di quella attuale, in modo da recepire rapidamente le novità più importanti che via via emergono nel settore.

3) Dopo avere fatto chiarezza da un punto di vista normativo, rendere obbligatorie in tempi brevi le verifiche sull’esistente in modo da avere al più presto una chiara visione della situazione reale.

4) Prevedere subito dopo, un piano Marshall per l’adeguamento sismico. Questo deve essere un piano che in un numero limitato di anni sia in grado di ridurre il rischio sismico reale per gli edifici più vulnerabili situati nelle zone ad alta pericolosità. Gli interventi dovranno essere realizzati sulla base di una priorità determinata utilizzando i dati di vulnerabilità ottenuti come al punto 3.

È evidente che non si può più continuare a sottovalutare la situazione attuale, per cui chi meno fa meglio sta, nel senso che chi rinvia o non effettua le analisi non corre il rischio di dovere intervenire e/o sospendere le attività svolte negli edifici. Le responsabilità di quello che è accaduto fino ad oggi sul costruito non possono ricadere su chi ignaro vive all’interno di edifici ad alto rischio. Bisogna porre fine al più presto a questo problema nazionale, altrimenti continueremo a piangere i nostri cari ad ogni evento di forte intensità. I terremoti del Friuli 1976, Irpinia 1980, Umbria 1997, Molise 2002, L’Aquila 2009, Emilia 2012, Amatrice 2016 son un monito e una testimonianza di quanto è accaduto e potrebbe ancora accadere. È una questione di etica, per cui tutti quelli che si devono occupare e si occupano del settore devono farsi carico del problema secondo il proprio ruolo e responsabilità. Solo in questo modo possono infatti ritenersi non corresponsabili di eventuali futuri disastri, dato che con le tecniche e le conoscenze attuali dal sisma ci si può agevolmente difendere, e con costi sempre più limitati.

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