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L’introduzione del BIM e del Project Management nelle PA: Avvertenze e Istruzioni per l’Uso

L’introduzione del Building Information Modeling e del Project Management nelle PA: Avvertenze e Istruzioni per l’Uso per le Stazioni Appaltanti e le Amministrazioni Concedenti

Angelo Ciribini

La Digitalizzazione della Domanda Pubblica è un obiettivo che la Commissione Europea ha sancito con il supporto all’azione dello EU BIM Task Group, ben riflesso nel Manuale recentemente pubblicato.

Lo spirito generale è, infatti, quello di dare vita a una nuova generazione di committenti pubblici digitalizzati che, pur nelle distinzioni nazionali, condividano una impronta comune fondamentale, per rafforzare il mercato comunitario e per esportarne il modello altrove.

Analoga è stata la preoccupazione del CCLM (Centro Interuniversitario di Construction Law and Management) sin dalla sua costituzione, promossa dal Politecnico di Milano, dall’Università degli Studi di Brescia e dall’Università degli Studi di Milano, come ben rilevato, nel Regno Unito, sia dal Centre of Construction Law and Dispute Resolution del King's College London sia dal Centre for Digital Built Britain della University of Cambridge.

Il DM 560/2017 sta, a questo proposito, embrionalmente, ma progressivamente, originando un nuovo mercato di consulenza rivolto alle stazioni appaltanti e alle amministrazioni concedenti, che, peraltro, potrà, qualora fosse emanato, essere ulteriormente influenzato dal DPCM relativo alla qualificazione della Domanda Pubblica e dal rafforzamento delle politiche aggregative delle amministrazioni pubbliche, già, peraltro, in atto.

L’adozione della modellazione e della gestione dei dati e delle informazioni, a questo fine, potrebbe favorire, sin dalla sua introduzione, l’accorpamento e la sinergia.
Il tutto avviene in una contingenza in cui il Codice dei Contratti Pubblici, ancora privo di una serie di decreti attuativi, è intrinsecamente accusato da taluni di ingenerare ritardi e inefficienze.
Ciò pone con estrema urgenza la necessità di disporre per le amministrazioni pubbliche di «Linee Guida per l’Implementazione e per l’Attuazione della Modellazione e della Gestione Informativa», vitali per impostare una seria politica di digitalizzazione delle stazioni appaltanti e delle amministrazioni concedenti, al fine di evitare che l’Information Modeling si risolva in una sovrastruttura sostanzialmente pleonastica, con le ovvie, negative, ricadute, sulla disseminazione digitale nell’Offerta Privata.

Vediamo in dettaglio come questa offerta consulenziale possa configurarsi e in che misura essa abbia necessità di essere «regolamentata», vale a dire di essere chiarita nella sua natura, al fine di non ingenerare confusione nella Domanda Pubblica, che costituisce, potenzialmente, il key driver per la digitalizzazione del settore, ma che, a eccezione di alcune amministrazioni, versa in uno stato di grave difficoltà, evidente nelle scarse competenze storicamente disponibili in materia di Programme, Portfolio & Project Management.

In realtà, la necessità di ottemperare alle obbligazioni del decreto ministeriale da parte delle stazioni appaltanti e delle amministrazioni concedenti si articola su tre livelli, ma questi ultimi intersecano altri obiettivi correlati, non sempre cogenti, come l’introduzione di un sistema di gestione per la qualità conforme alla norma UNI EN ISO 9001, la implementazione dei criteri per divenire organismo di ispezione accreditato conformemente alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17020, allo scopo di verificare i progetti ai fini della validazione, la qualificazione e la certificazione dei RUP ai sensi della norma UNI 11648, nonché la certificazione personale e aziendale finalizzata alla modellazione informativa.

Sostanzialmente, la cogenza del decreto ministeriale riguarda la definizione di un piano di formazione, solitamente preceduto da attività informative che oggi iniziano a essere offerte, spesso gratuitamente.

Naturalmente, le azioni formative vere e proprie sono solitamente messe in atto in connessione con la fornitura dei software e degli hardware, sulla base di tre azioni distinte:

i) l’analisi e la mappatura dei processi;
ii) l’illustrazione dei metodi e la loro interiorizzazione;
iii) la selezione degli strumenti e la loro implementazione.

Il che risponde pure al secondo livello di obbligatorietà che per la amministrazione pubblica, inerisce alla definizione di un programma degli investimenti strumentali e al terzo livello cogente, dedicato alla redazione di un atto organizzativo.
Quest’ultimo livello, il più importante e problematico, ha evidentemente una stretta correlazione con l’eventuale introduzione del sistema di gestione per la qualità e di quello relativo alle attività ispettive, ma, soprattutto, verte sulla qualificazione e sulla certificazione professionale dei RUP come Project Manager.

Occorre, anzitutto, chiarire che l’analisi dei processi analogici in essere presso una stazione appaltante o una amministrazione concedente non può, in alcun modo, risolversi frettolosamente in un rilievo delle prassi correnti a cui cercare di addomesticare le nuove logiche digitali.
Sarebbe, in effetti, non utile suscitare presso la struttura tecnica dell’amministrazione pubblica la sensazione di poter risolvere gli adempimenti dell’obbligo in maniera rassicurante, come se si trattasse di una indolore cosmesi.
Ciò, in primo luogo, perché la amministrazione pubblica si trova oggi a ripensarsi entro una strategia più vasta di digitalizzazione, come indica il CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale): basti pensare che AgID ha dedicato interessanti iniziative all’Intelligenza Artificiale e che, più in generale, il rapporto col cittadino su basi digitali avrà profonde ripercussioni in futuro.

Secondariamente, la digitalizzazione dei processi legati ai contratti pubblici (incluso il tema dell’e-Procurement oltre che quello della dematerializzazione), così come la tematica attinente al rilascio dei titoli abilitativi nell’edilizia privata, incide in profondità sui procedimenti e sugli endo-procedimenti (a far data dall’accertamento dei titoli di proprietà sino all’anagrafica patrimoniale e al conseguente Facility Management) e sulle mentalità dei dirigenti apicali e del personale tecnico-amministrativo in genere, innescando un inevitabile, graduale, ricambio generazionale rivolto alla diffusione della cultura digitale.

In terzo luogo, la formazione, la qualificazione e la certificazione dei RUP quali Project Manager non è affare esclusivamente individuale, richiedendo, come già il D.Lgs. 50/2016 e s.m.i. prevedeva, la possibile istituzione di una unità organizzativa di supporto, eventualmente integrabile con competenze esterne.

È, tuttavia, la opportunità di riprogettare l’organizzazione stessa in funzione dei criteri di Gestione dei Progetti (intesi quali Procedimenti) che spiega eloquentemente, tanto più se in rapporto alla 9001 e/o alla 17020, quanto fondamentale sia la rivisitazione della amministrazione pubblica e della sua struttura tecnica nell’ottica digitale.
In altre parole, come dimostrano alcuni insuccessi da parte di servizi esterni di supporto al RUP erogati all’interno di amministrazioni pubbliche funzionali, incongrue col Management of Projects, il rischio è quello di avviare iniziative nominali persino controproducenti.

Al contempo, molto delicata è la scelta degli strumenti che abilitino i metodi, dato che lo strumentario per eccellenza del committente non attiene ai classici dispositivi di produzione della modellazione informativa, bensì agli strumenti finalizzati alla sua istruttoria e alla sua verifica: altra cosa sarebbe se l’amministrazione pubblica erogasse internamente servizi di progettazione e, addirittura, allorché realizzasse direttamente lavori di manutenzione.
Si tratta di un principio spesso ignorato dai tecnici delle stazioni appaltanti e delle amministrazioni concedenti che identificano superficialmente il «BIM» col BIM Authoring.

A questo proposito, una delle maggiori insidie che si profilano è costituita dalla banalizzazione del Capitolato Informativo, sostanzialmente stereotipato e «analogico», quasi sempre privo dei Requisiti Informativi espressi in modalità computazionale, nonché non coordinato con il Piano di Gestione del Procedimento e con il Documento di Indirizzo Preliminare, oltre che da una incapacità di selezionare, di imporre e di utilizzare l’Ambiente di Condivisione dei Dati, a livello aziendale e a livello procedimentale.

Conseguentemente a tale impostazione, il rapido passaggio da una impostazione metodologica alla prima sperimentazione pilota rappresenta una delle azioni più rischiose, avviando prematuramente una procedura di cui non si detiene il pieno controllo, coll’avvento di un probabile contenzioso, come quello, il primo in Italia, in cui è stato coinvolto, con esito positivo per la parte difesa, lo scrivente.

In quest’ottica, serve poter disporre di quadri contrattuali e di criteri aggiudicativi accuratamente strutturati, cosicché la procedura competitiva avvenga favorendo l’approccio collaborativo e si svolga secondo criteri numerici di affidamento comparativi (e non per disordinate e fantasiose richieste di narrazioni incommensurabili contenute nelle offerte tecniche) che permettano una deterrenza sui ribassi rispetto all’importo posto a base di gara e un impegno effettivo del contraente nel corso dell’esecuzione del contratto.

La soluzione ottimale consisterebbe, dunque, nella riprogettazione organizzativa della struttura tecnica, contestualizzata entro la rivisitazione digitale della intera amministrazione pubblica, coll’introduzione, o coll’aggiornamento, dei sistemi di gestione (per i procedimenti, per la qualità, per l’ispezione, per la digitalizzazione), a cui fare seguire la definizione di specifici protocolli amministrativi e di quadri contrattuali coerenti con le procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni nella logica di integrazione.

La riconfigurazione organizzativa, procedimentale e contrattualistica permetterebbe così di mappare affidabilmente i flussi informativi e i modelli di strutturazione dei dati, indispensabili per approntare gli Ambienti di Condivisione dei Dati e i Capitolati Informativi, per una Domanda Pubblica che deve intendere acquisire cespiti fisici conformi corredati da apparati informativi affidabili.
Solo alla conclusione di tale iter di maturazione digitale sarà consigliabile cimentarsi con le prime procedure competitive a evidenza pubblica.

Le controindicazioni che si rinvengono in caso contrario sono evidentemente legate a un uso inefficace delle risorse pubbliche per le attività di acquisizione dei servizi formativi e degli apparati strumentali, alla generazione di cattive pratiche imitabili inconsapevolmente da altri, al conseguimento di risultati non commisurati alle attese (irrigidendo inconsapevolmente i processi negoziali) e, infine, alla involontaria coltivazione di contenziosi inediti.
Per coloro che ritengono che la digitalizzazione sia occasione di una epocale trasformazione del settore e del mercato, sarebbe quella descritta una condizione frustrante.

Dato che, come osservabile dagli sporadici interventi di esponenti delle amministrazioni pubbliche, specialmente a livello locale e regionale, si intuisce una forte apprensione per l’incomprensione del tema, per la sua onerosità, per la sua tempistica attuativa, per le risorse disponibili e per quelle stimate, a fronte di una Domanda Pubblica considerevolmente permeata di cultura analogica, spesso anche quando cerca estemporaneamente di cimentarsi nell’ambito digitale, è, perciò, cruciale che fonti istituzionali, oppure dotate di sufficiente rappresentatività, si adoperino per mettere a disposizione delle amministrazioni pubbliche una serie di indicazioni che le orientino nella comprensione del tema e nell’affidamento dei servizi consulenziali in merito.

È, ovviamente, auspicabile, altresì, che, in attesa della istituzione della commissione di monitoraggio prevista dal decreto ministeriale, si formino comunità di pratica per condividere le aspettative e le esperienze tra amministrazioni pubbliche.

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