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CALCESTRUZZO: storia di una tecnologia sempre più performante

Storia di una tecnologia sempre più performante

Un’aspirazione all’eternità o alla performanza?

“L'apprendimento e l'innovazione vanno mano nella mano. L'arroganza del successo è di pensare che ciò che hai fatto ieri sarà sufficiente per domani”.
William Pollard

calcestruzzo (34).jpgEffetto del successo è una partecipazione del traguardo raggiunto, vissuto con tale dirompenza e coinvolgimento da lasciar supporre che il tempo si fermi e che sia “per sempre”.

Il calcestruzzo sembrava ambire a condizioni di eternità, per quanto attiene al sistema tecnologico ed alle applicazioni. Fin dall’inizio si è inserito nella scena del costruire come una scoperta epocale, destinata a voltare pagina dal punto di empo, si è posto, per l’intrinseca eccezionalità, come un traguardo stabile e duraturo destinato a sfidare molti secoli. E anche se ancora oggi nella percezione dei modi di costruire incarna un obiettivo stabile nel tempo, continua a dimostrare di essere costantemente aperto all’innovazione, sempre più mirata al progetto delle prestazioni.

Le infinite libertà formali che la “nuova pietra artificiale” dispensa e che nessun altra tecnologia ha potuto mai offrire, liberano dai vincoli anche la struttura. La possibilità di assumere le forme desiderate, con getto in casseforme opportunamente predisposte, garantisce membrature perfettamente solidali tra loro, in modo da realizzare un complesso organico in cui tensioni e sforzi si trasmettono con continuità da un elemento all'altro della struttura.

Eppure la prospettiva di stabilità era più presunta che reale, nella misura in cui, pur essendo generalmente condivisa, non corrispondeva alla tensione che alimentava la ricerca, in un crescendo sempre più sostenuto che continua a rincorrere traguardi di maggiore performanza.

Infatti, dal 1800 ad oggi questo enunciato tecnologico accoglie gradualmente l’innovazione in maniera a volte un po’ “nascosta”, ma sempre eccezionale dal punto di vista del progetto delle prestazioni. Non mancano esempi e sperimentazioni della prima ora a cominciare dalla barca in ferro-cemento del francese Joseph Lambot che, nel 1848, inaugura il connubio calcestruzzo-acciaio, al ponte del Risorgimento di Roma del 1910, testimonianza della genialità dell’ingegnere belga François Hennebique per la sezione trasversale a cassone, con pareti sottili, così moderna eppure così appropriata al nuovo materiale.

Ogni volta che scopriamo nuove tecniche spesso ci atteniamo stupidamente alle vecchie forme. Un nuovo materiale, come il cemento, crea da sé le sue forme. 
Una struttura è architettonicamente valida quando è corretta.” 

Le parole di Pierluigi Nervi suonano quasi come un riconoscimento all’innovazione con cui si impone il ponte del Risorgimento nella storia del costruire. E, nel contempo, appaiono come la sintesi della filosofia di Nervi, in cui le sottili relazioni tra ingegneria e forma architettonica trovano convergenza in numerose opere che materializzano nuovi e grandiosi schemi strutturali ed eccezionali architetture.

Tra le tante, la copertura del Lanificio Gatti con solai a fungo a nervature isostatiche, eseguiti con casseforme mobili in ferrocemento, e il guscio della copertura del Palazzetto dello Sport, realizzato con una soletta continua dello spessore di 9 cm, nervata all’intradosso, di luce 78 metri.

E mentre le prime innovazioni consolidano una nuova dimensione strutturale, la ricerca avanza, più o meno silenziosamente, nella direzione dell’incremento prestazionale. Si succedono nella prima metà del Novecento gli studi sui primi additivi fluidificanti, in quanto riduttori di acqua, e nella seconda metà del Novecento gli studi sulle aggiunte minerali, che agiscono migliorando la lavorabilità allo stato fresco e la resistenza meccanica allo stato indurito.

I primi fluidificanti a base di ligninsolfonato, residuo ottenuto dall’estrazione della cellulosa dal legno, scompaiono a metà degli anni Settanta del Novecento, quando sono soppiantati dai superfluidificanti, polimeri idrosolubili a base di gruppi solfonici che sono quattro volte più efficaci. È proprio in questi anni che il calcestruzzo conosce un livello di progettazione nanostrutturata per l’azione di questi nuovi additivi chimici, che consentono di ridurre l’acqua e di elevare le prestazioni meccaniche. Senza dire che il calcestruzzo è già intrinsecamente nanostrutturato alla scala molecolare per i legami che ordinano la struttura chimica.

Le aggiunte minerali e le miscele reoplastiche

Sono soprattutto i superfluidificanti policarbossilici, all’inizio degli anni Novanta, a legittimare l’uso degli additivi nei calcestruzzi. Appartenenti ad una famiglia molto vasta di nuovi polimeri, tutti caratterizzati dalla completa assenza dei gruppi solfonici, questi composti, di efficacia così elevata da richiedere dosaggi quantitativamente modesti, si basano sull’innesco e sul controllo di azioni sia chimiche che fisiche. Infatti, l’azione chimica, che si fonda sulla repulsione elettrostatica tra cariche dello stesso segno che avvolgono i granuli di cemento, è integrata da quella fisica, denominata impedimento sterico, che è determinata da catene neutre molto allungate per impedire ai granuli di cemento di attrarsi e flocculare. L’eccezionalità del traguardo raggiunto è nell’aver ridotto in misura estrema l’azione chimica e di essere riusciti ad integrarla con un’azione fisica, assolutamente innocua. Sono, quindi, frutto di un preciso progetto mirato all’ottimizzazione delle prestazioni da raggiungere.

Ma è proprio con l’introduzione dei filler calcarei o pozzolanici che il calcestruzzo insegue livelli prestazionali sempre più elevati a cominciare dalla seconda metà del Novecento, inaugurando un approccio mirato all’ottimizzazione del meccanismo su si fonda la durabilità del cosiddetto calcis structio dei romani. 

Infatti, l’aggiunta della cenere volante e del fumo di silice, particelle micrometriche come quelle del cemento, consente alla miscela di guadagnare una rilevante scorrevolezza, a tutto vantaggio della lavorabilità del getto. Inoltre, allo stato indurito, permettono di raggiungere resistenze meccaniche superiori grazie alla tradizionale reazione pozzolanica, riveduta e corretta, e quindi molto più spinta per effetto della microdimensione, che, stabilizzando la calce derivante dall’idratazione del cemento, compie un passo importante nella direzione della durabilità. Infine, l’aggiunta della cenere volante e del fumo di silice, consentendo di reimpiegare rifiuti provenienti dall’industria dà luogo ai calcestruzzi cosiddetti ecologici, in una logica di sostenibilità che precorre i tempi.

Sulla base di queste premesse si assiste ad un precedente storico importante.

Nel 1975 il prof. Mario Collepardi dell’Università di Ancona mette a punto un calcestruzzo “reoplastico”, caratterizzato da un’elevata fluidità e non segregabile, grazie ad un accurato studio del mix design e all’impiego dei superfluidificanti a base di naftalensolfonato. Questa miscela inizia ad offrire il duplice vantaggio di essere pompato per lunghe distanze senza segregare e di realizzare getti di sezioni armate complesse, riducendo al minimo le operazioni di vibrazione.

Pertanto, con queste caratteristiche reologiche, può considerarsi un’anticipazione delle, ad opera di una firma italiana che ha colto le potenzialità di un cambiamento in divenire.

Le miscele autocompattanti

Nel corso degli anni Ottanta la ricerca tecnologica, ad opera del giapponese Okamura dell’Università di Tokyo, mette a punto il calcestruzzo autocompattante, così fluido, omogeneo e stabile da riempire autonomamente un cassero senza vibrazione o pi stonatura, per effetto della sola forza gravitazionale. La piena autonomia nella fase di riempimento del getto è dovuta all’azione meccanica introdotta dai filler e all’azione chimico-fisica dei nuovi superfluidificanti, nuovi polimeri privi dei gruppi solfonici. Queste due peculiarità contribuiscono in modo diverso a limitare molto il rapporto acqua/cemento, con garanzia di omogeneità allo stato fresco e di elevate prestazioni meccaniche allo stato indurito. Inoltre, le dimensioni micrometriche delle particelle dei filler, aumentano la compattezza allo stato di quiete e agevolano lo scorrimento in condizioni dinamiche, cioè durante il getto. Dirette conseguenze sono la riduzione del bleeding e la possibilità di ottenere un buon faccia vista. Le aggiunte pozzolaniche, cenere volante e fumo di silice, in particolare, essendo reattive, stabilizzano la calce e incrementano la formazione di una seconda famiglia di composti idraulici di reazione, consentendo quindi di aggiungere, agli inconfutabili guadagni di lavorabilità in fase di posa in opera, i presupposti perché sia garantita la durabilità del calcestruzzo, rispetto alle potenziali azioni di degrado indotte dall’ambiente. Si tratta di sottoprodotti industriali che, nel contribuire al reimpiego di rifiuti generalmente di difficile smaltimento, consentono il conferimento dell’autocompattabilità ai calcestruzzi. La cenere volante deriva dalla combustione del carbone nelle centrali termoelettriche, mentre la microsilice dalla lavorazione in forni di tipo elettrico del silicio e delle leghe metalliche a base di silicio. La disponibilità di grandi quantità di cenere volante in Italia ha contribuito più alla codificazione dei self compacting concrete che alla diffusione su vasta scala, malgrado i vantaggi in fase di posa in opera e l’elevata performanza. “La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie”. Queste profetiche parole di John Maynard Keynes interpretano appieno la realtà di un paese ingiustificatamente conservatore.

L’agevole scorrimento in fase di posa in opera offre ai self compacting concrete la possibilità di realizzare sezioni con armature molto fitte. Come per il Word Trade Center di San Marino, in cui il progettista Norman Foster richiede una resistenza meccanica di 90 MPa, per realizzare pilastri molto snelli e con rilevanti interassi strutturali. Molte le realizzazioni che hanno fatto seguito in tutto il mondo nel materializzare un principio di industrializzazione che segnava solo un inizio.

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Articolo tratto dagli atti del CONCRETE 2016 "ARCHITETTURA e TECNICA"  - Termoli

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