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Abusi edilizi su aree vincolate: basta coi sequestri preventivi "facili"

Cassazione: per il sequestro preventivo va dimostrato che la disponibilità del bene da parte dell’indagato possa ulteriormente deteriorare l'ecosistema protetto

La sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra i requisiti della concretezza e attualità del pericolo, e per legittimare il sequestro preventivo occorre dimostrare che l'effettiva disponibilità del bene, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente deteriorare l'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico.

E' il principio di diritto emanato dalla Corte di Cassazione (penale) nella recente sentenza 15254/2018, con la quale è stata annullata l'ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Napoli aveva rigettato la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo del giudice per le indagini preliminari, emesso in relazione ai reati di cui agli articoli 44, comma 1, lettera b), del dpr 380/2001, 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio e 349 del codice penale, ed avente ad oggetto un immobile.

Secondo il ricorrente, il giudice del riesame avrebbe dovuto annullarla ex articolo 324 del codice di procedura penale, perché motivata con una formula di stile ("l'opera può determinare un ulteriore aggravamento delle conseguenze dei reati indicati"), senza peraltro tenere conto che l'opera era stata ultimata e rifinita.

Di fatto, la sentenza assume particolare rilevanza e si fonda sull'art.321, comma 1 del codice di procedura penale e dall'indirizzo giurisprudenziale della Corte di legittimità in materia di applicazione di misure cautelari per reati edilizi o urbanistici, secondo cui: 

  1. il giudice del riesame deve accertare se esista un reale pregiudizio degli interessi attinenti al territorio o una ulteriore lesione del bene giuridico protetto ovvero se la persistente disponibilità del bene costituisca un elemento neutro sotto il profilo dell'offensività (ex multis, Sezioni Unite, sentenza 29 gennaio 2003, n. 12878);
  2. il "periculum in mora richiesto dal primo comma dell'articolo 321 del codice di procedura penale deve presentare i requisiti della concretezza e attualità, da valutare in riferimento alla situazione esistente non soltanto al momento dell'adozione della misura cautelare reale ma anche durante la sua vigenza, di modo che possa ritenersi quanto meno probabile che il bene assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o all'agevolazione della commissione di altri reati (Sezione II, sentenza 17 settembre 2014, n. 47686).

E' stato più volte ribadito, peraltro, che il periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza ed entità delle opere ultimate, "dovendo l'autorità giudiziaria fornire motivata ragione del vincolo reale apposto, quanto alla sussistenza degli indici di reato e delle esigenze cautelari, ossia del pericolo, concreto ed attuale, che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato posta in sequestro possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso".

L'ordinanza del Tribunale del riesame quindi è stata annullata per "deficit motivazionale", poiché va meglio accertato "in concreto che l'uso dell'immobile, abusivamente realizzato in zona vincolata, determini un aggravamento delle conseguenze del reato".

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