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Impianti antincendio di spegnimento a gas: pro, contro e attenzioni

Un vecchio proverbio dice: del senno di poi sono piene le fosse. 

Purtroppo qualche settimana fa sono avvenuti 2 incidenti mortali (quelli di cui ho avuto notizia, speriamo non ce ne siano stati altri) il primo in provincia di Treviso un uomo è morto mentre stava facendo un intervento all’interno di un silos di mais e il secondo 2 uomini sono morti all’Archivio di Stato di Arezzo. Incidenti molto distanti anche tipologicamente fra loro, ma con una matrice comune: un’atmosfera che non ha permesso loro di respirare.

Quello di cui vorrei parlare è del “senno di prima”: se l’avessi saputo molto probabilmente sarei ancora vivo.

Scrivo pertanto amaramente queste righe, soprattutto con un sentimento di pietà per questi defunti e di vicinanza ai familiari che hanno perso i loro cari. E lo dedico in generale, sempre con amarezza, anche a tutti quelli che purtroppo sono incappati nel senno di poi, perché in moltissimi casi senza di loro non saremmo vivi. Tengo a precisare inoltre che sia sulla vicenda di Treviso che su quella di Arezzo la mia informazione è solo dalle notizie giornalistiche.

Gli impianti di spegimento a gas

Perché parlare degli impianti di spegnimento a gas? Perché oltre ai pregi, nascondono insidie molto gravi a cui può andare incontro chi li gestisce se non formato e soprattutto informato adeguatamente.

Bisogna però, a mio avviso, fare un excursus su questi impianti per afferrare appieno il senso della mia affermazione precedente.

Le tipologie di impianto

Gli impianti di spegnimento a gas sono di vario tipo a seconda della tipologia di gas impiegato che discende anche dalla tipologia di fuoco a cui si potrebbe andare incontro. Per dare una classificazione di massima i gas impiegati si suddividono in tre categorie: composti chimici alogenati, gas inerti (o quasi), altri gas non alogenati (tipico CO2).

I gas alogenati non vengono più impiegati nell’UE in quanto gas serra; quindi al momento sono rimaste le due altre tipologie con l’avvertenza che la preferenza nelle applicazioni civili va ai gas inerti in quanto meno impattanti sulla salute dell’uomo e con assenza o quasi di residui dannosi se soggetti alle fiamme.

Non è stata una scelta indolore, perché l’utilizzo di gas inerti ha comportato l’utilizzo di un numero bombole superiori a parità di installazione. Dove ad esempio si impiegavano 3 bombole da 120 litri a 42 bar di Halon 1301 oggi per la stessa installazione servirebbero 18 bombole da 140 litri a 200 bar di Argon. Questo, perché mentre l’Halon 1301 in parte agiva chimicamente e in parte per saturazione, l’Argon agisce solo per saturazione (trascurando altre azioni di minore importanza).

In sostanza, in un volume protetto, ad esempio un archivio o una sala server, qualora dovesse succedere che due sensori antincendio vadano in allarme, viene dato un segnale ottico acustico di avvertimento in modo che il personale presente esca dal volume stesso entro 5 o 3 minuti (a seconda della casistica). Oppure esca e prema un pulsante di annullamento scarica se avesse constatato trattarsi di falso allarme. Passato il tempo di evacuazione senza inibizione manuale, in un minuto (per il gas inerte) il contenuto delle bombole viene scaricato nell’ambiente.

La scarica può essere anche provocata manualmente; qualora qualcuno constatasse l’incendio può sempre uscire, accertarsi che dentro non ci sia più nessuno, e azionare il pulsante di scarica manuale senza aspettare il tempo di ritardo. 

In sintesi questo è il funzionamento della maggior parte degli impianti. Ne esisterebbero altri, ma per ovvie ragioni di spazio li ometto. Questi impianti sono normati per la parte meccanica e chimica nella UNI EN 15004-1, mentre nella parte di comando (elettrica ed elettronica) nella UNI EN 12094-1. Tutte e due queste norme ne hanno altre a corollario a seconda della tipologia di agente estinguente. Inoltre in rete sui siti dei produttori si trovano manuali e fogli di calcolo più o meno precisi e ben fatti.

Purtroppo ad oggi esistono poche e sparse indicazioni sul rischio sismico, tenendo a mente che è indispensabile che questi impianti, per un evento di portata anche grave, non diano problemi di guasto e soprattutto continuino a funzionare anche dopo un terremoto, perché un incendio potrebbe benissimo essere conseguente al sisma.

Rispetto ai sistemi di spegnimento ad acqua quelli a gas hanno il grosso vantaggio di essere più efficaci (un sistema ad acqua sprinkler controlla l’incendio, ma difficilmente lo spegne) e soprattutto di non danneggiare il contenuto dell’ambiente. Ma allora dove sta il problema? 

Premetto: lungi da me l’intento di demonizzare questi impianti, anzi sono soluzioni molto buone e spesso le uniche praticabili allo stato dell’arte, ma come tutte le cose tecnologiche bisogna vederle anche sotto l’aspetto della pericolosità. Sottolineo, ma penso che a un tecnico sia chiaro (non si sa mai, sigh) che pericoloso non significa anche rischioso; se conosco il pericolo gestisco correttamente il rischio altrimenti posso sperare solo nella buona sorte.

Il funzionamento

Questi impianti funzionano principalmente a saturazione, cioè, il fuoco (combustione) avviene perché c’è stato un innesco che ha provocato una vaporizzazione del combustibile e questo ha trovato un comburente (ossigeno), perciò, se tolgo uno dei due il fuoco si estingue. Siccome il combustibile non lo posso togliere, allora tolgo il comburente cioè l’ossigeno. Nell’atmosfera di un archivio scarico del gas (ad esempio Argon, Azoto o altra miscela tipo Argon + anidride carbinica) che addizionandosi con l’esistente (circa, 78 % azoto, 21 % di ossigeno e 1% di argon) diminuisce la concentrazione di ossigeno portandola al di sotto almeno di circa il 17% e provocando l’estinzione dell’incendio per difetto di comburente. Quest’ultima percentuale è un limite, quindi per sicurezza si scende al disotto (12% nei luoghi dove ci possono essere persone, 8% e meno dove non ci possono essere persone). Teniamo conto che con il 12% si respira molto male (si addiziona al gas, in alcune soluzioni commerciali, anidride carbonica per stimolare un’accelerazione della respirazione e quindi migliorare l’apporto di ossigeno) e al disotto si può morire di brutto.

Quindi ci vorrebbe più attenzione nel rispettare le percentuali. Ma non è così facile, perché il progettista quasi sempre non sa cosa verrà messo dentro la stanza, né può essere chiaroveggente; lui progetta a volume lordo, ma se ad esempio chi gestisce mette dentro inizialmente scaffali con faldoni di carta, poi li sostituisce con un archivio armadiato compatto, almeno nell’immediato della scarica, il volume netto diminuisce e quindi il gas scaricato è ben esuberante, con la conseguenza che la percentuale di ossigeno cala drasticamente. E allora che si fa sia in caso d’incendio che in caso di scarica accidentale? Semplicissimo NON SI ENTRA. Così vorrebbero anche le normative, perlomeno, per dieci minuti, ma se non si è addestrati opportunamente e dotati di specifici dispositivi di protezione individuale (DPI) si chiamano i Vigili del Fuoco che sanno cosa fare (si chiamano per una chiave dimenticata, a maggior ragione è lecito in questi casi). Siccome non la voglio fare lunga, invito tutti i tecnici ad approfondire gli aspetti sui luoghi a sospetto inquinamento o confinati rimandando agli articoli pubblicati da Ingenio.

L’insistenza su questo aspetto non è mai troppa, perché molte volte nemmeno si sospetta di essere in presenza di luoghi di questo tipo. A maggior ragione è lecito il sospetto se dove è avvenuta la scarica del gas la possibilità di aerare nell’immediato è scarsa (aspetto da valutare bene); ad esempio in locali seminterrati o interrati, è d’uopo pensarlo come un ambiente confinato o inquinato. Così è anche per i locali dove sono alloggiate le bombole. Siccome si mettono nei posti dove non si devono vedere (per gli impianti è quasi sempre così!), si utilizzano sottoscala o locali dove ci si muove a malapena. Una perdita anche piccola può causare la saturazione dell’ambiente. Questo vale non solo per gli impianti di spegnimento a gas, ma per tutti i luoghi in cui ci sono bombole con gas inodore e incolore (ad esempio le bombole degli impianti ad acqua nebulizzata). Per cui in genere io consiglio ai manutentori di formare bene il personale (se non sono lo sono già) sugli ambienti confinati o inquinati. Ad esempio, dotare chi interviene di un apparecchio gas-alarm potrebbe voler dire salvargli la vita con qualche centinaio di euro di spesa. Tenendo conto, inoltre, che tale strumento non essendo di utilizzo quotidiano, possono bastarne 1 o 2 per tutta la ditta. 

Per cercare di non parlare solo in modo astratto farò un caso pratico che è anche occasione per parlare di altre questioni.

UN CASO PRATICO: l’archivio di una scuola 

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