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Dalla parte del Calcestruzzo: un materiale moderno o la preistoria delle costruzioni ?

Quando le scelte tecniche nascono dalla propaganda politica

Data di pubblicazione articolo: 15/10/2018

"Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato.", Manzoni, I promessi Sposi

jeddah_tower_building_progress_02jeddah_tower_building_project_01Dei primi 50 grattacieli del mondo, ovvero gli edifici esistenti che superano i 346,3 metri, ben 35 sono stati costruiti negli ultimi 10 anni.

Di questi, nessuno è stato realizzato in solo acciaio, mentre 15 lo sono stati in solo calcestruzzo, e il resto in strutture miste o composite.

La Kingdom tower, o Jeddah Tower, il grattacielo che raggiungerà i 1000 metri di altezza, viene costruito interamente in calcestruzzo.

Restando in Italia, a City Life a Milano ci sono 3 grattacieli, le Torri Isozaki, Hadid e Libeskind, ovvero il dritto, lo storto e il curvo, uno di 209 m, uno di 177 m e l’altro di 174 m, uno completato. Tutte queste sono realizzate con calcestruzzo.

Con che calcestruzzo sono stati realizzati ? con un Rck 30 ? con un S4 ?

La costruzione di questi edifici, in cui il più alto raggiunge ad oggi gli 828 m, il Burj Khalifa a Dubai, completato nel 2010, ha rappresentato una sfida eccezionale per la ricerca scientifica sui materiali e le scelte progettuali.

La sfida delle prestazioni, dei ponti sempre più lunghi, degli edifici sempre più alti, delle strutture sempre più performanti, delle architetture sempre più aveniristiche ha fatta da motore per una ricerca senza sosta che ha portato a calcestruzzi biodinamici, resistenti come l'acciaio, autoriparanti, durevoli come la pietra, bianchi come il marmo (e autopulenti), drenanti o impermeabili a seconda delle esigenze, sicuramente al passa delle prestazione richiesta dalle costruzioni del futuro.

Il ruolo di queste sfide è stato imoortante: ricordo una pubblicazione del decennio scorso del Prof. Mario Alberto Chiorino, Emerito del Politecnico di Torino, già Presidente Onorario di ACI Italy Chapter e Honorary Membership del American Concrete Institute, in cui proprio sulla base degli studi sugli edifici alti aveva analizzato il fenomeno del CREEP fornendo informazioni importantissime per chi si occupa della progettazione e di si occupa di tecnologie e chimica del cemento. Studio inserito in un volume che FIB ha dedicato al tema della costruzione degli edifici alti un suo bollettino 3 anni, "Tall buildings: Structural design of concrete buildings up to 300m tall - State-of-the-art report" riportando considerazioni, studi e ricerche, un’anteprima tecnica di quello che faranno da base per lo sviluppo dei nuovi eurocodici.

E la prima considerazione che mi viene da esprimere è che a dispetto da quanto è stato pubblicato da molti media successivamente al crollo del viadotto polcevera, opera avveniristica di Morandi di oltre cinquant’anni fa, il calcestruzzo e i materiali cementizi non solo è un materiale affidabile e con prestazioni in grado di rispondere alle più severe prescrizioni progettuali, ma è anche quanto mai vivo dal punto di vista della ricerca e dell’evoluzione tecnica.

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"È uno de’ vantaggi di questo mondo, quello di poter odiare ed esser odiati, senza conoscersi.", Manzoni, I promessi Sposi

Dove è allora il problema ? perchè una parte del viadotto Polcevera è crollato ? perchè non si vuole prendere in considerazione la soluzione di ricostruire solo la parte crollata e rinforzare le parti esistenti ? perchè si è voluto attaccare in modo così forte il calcestruzzo ?

Ovviamente a più domande non esiste una unica risposta ed io, personalmente, non ho in mano tutte queste risposte. Mi limiterò ad alcune riflessioni personali

L'importanza della Manutenzione delle opere

Sul crollo del ponte posso però sottolineare un aspetto tecnico che è molto probabilmente uno dei mancati protagonisti della storia più recente di questa opera: l’importanza della manutenzione. Troppa fiducia ai controlli visivi ? poca attenzione alle attività di manutenzione ?

In questi due mesi quasi tutti i media hanno fatto riferimento come esempio virtuoso sia della gestione che dei materiali (l'acciaio) a due ponti americani più vecchi del ponte Morandi: il ponte di Brooklyn, completato nel 1883, e il Golden Gate di San Francisco, ultimato nel 1037.

Quello che non si è detto è che entrambe i ponti hanno una società dedicata alla manutenzione del ponte che opera costantemente giorno dopo giorno. Un tema importante, quello della manutenzione, e la città di NewYork spende circa 400 milioni di dollari l’anno per i suoi ponti. 

Il calcestruzzo ha bisogno anch’esso di manutenzione, forse meno dell’acciaio, ma ne ha bisogno. Per ridurre il bisogno di manutenzione è possibile impegnare oggi calcestruzzi a maggiore durabilità, praticamente impermeabili, con composizioni meno sensibili all’aggressione chimica, addirittura auto riparanti, e nei casi di strutture esistenti è possibile proteggerlo, con rivestimenti in grado di evitare la penetrazione di agenti corrosivi, degradanti.

Si tratta quindi di un problema affrontabile, si tratta di un problema che può essere considerato in fase di progetto nelle prescrizioni, quindi gestibile. Gestibile sicuramente da parte di chi ha progettato e costruito i grandi ed alti grattacieli, che ha pensato al problema del degrado, del creep, del fuoco, del vento, e di ogni azione oggi conosciuta e per dare una risposta efficace ha studiato come impiegare al meglio ogni materiale, ogni tecnologia, compreso il calcestruzzo.

Attaccare quindi il calcestruzzo come materiale non affidabile per infrastrutture e o strutture prestazionalmente complesse è un errore che solo una mente ignorante (da un punto di vista tecnico) può concepire. 

"All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle.", Manzoni, I Promessi Sposi

Ma come tutti i materiali, come suddetto ha una sua evoluzione tecnica che riguarda sia lo sviluppo di nuovi materiali sia la conoscenza dei suoi componenti. E questo mi porta ad alcuni considerazioni.

Un ponte può essere un patrimonio dell'archittetura è un'opera d'arte da proteggere e conservare ?

La prima delle mie considerazione riguarda le costruzioni del passato e l’atteggiamento che dovrebbe essere tenuto rispetto ad esse. Fino agli anni 80 i computer non erano diffusi tra i professionisti al punto tale da poter utilizzare strumenti digitali a supporto della progettazione, nel passato non si conoscevano tante cose, come i meccanismi che regolano il fluage del calcestruzzo, l’aggressione degli agenti atmosferici ... ai tempi di Moranti lo studio della precompressione era ai suoi albori ... L’atteggiamento quindi verso le opere progettate in quegli anni, così come in quelli immediatamente successivi, deve essere per forza critico, e caratterizzato dalla capacità di saper distinguere.

Vi sono opere di Morandi, di Nervi, di Musmeci, che non solo per la loro funzionalità ma per il loro ruolo nella storia della tecnica e dell’architettura devono essere valutate al pari di una tela di Morandi (pittore), di una statua di Michelangelo, di una cupola del Brunelleschi.

Se chi ci ha preceduto avesse valutato la conservazione di certi monumenti solo sul piano dell’efficienza dei conti economici e della funzionalità senza investire nella sua manutenzione oggi non avremmo più il patrimonio storico di edifici ed opere che il mondo ci invidia.

Ad oggi, tra le opere moderne in Italia, il solo ponte di Musmeci di Potenza è riconosciuto dall'UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità ma vi sono opere come il Palazzetto dello Sport di Roma di Nervi o il Ponte sul Tagliamento di Silvano Zorzi per citarne solo alcune, che dovrebbero ricevere lo stesso onore e salvaguardia. Opere quindi da sottoporre a piani di manutenzione specifici.

Si dovrebbe creare un albo delle opere dell'architettura moderna da conservare come bene dell'umanità, come patrimonio della nostra cultura.

Demolire le opere non significative e insicure, sostituire quando serve, in alcuni casi anche no

La seconda considerazione è che, proprio per la forteevoluzione della tecnica delle costruzioni di questi anni, sia giunto il momento di pensare alla demolizione delle opere che non avendo alcuna dignità architettonica e storica, sia conveniente da un punto di vista della sicurezza e dei costi di manutenzione demolire e sostituire.

E in tal senso pensare anche a una “decrescita felice” delle infrastrutture. Vi sono aree in cui vi è stato un proliferare di opere viarie sulla spinta della gestione populistica del Paese e, in particolare, dei comuni, che comportano un surplus di costi di manutenzione non giustificato. Quando si decide di costruire una strada, un ponte, semplicemente per accorciare di poche centinaia di metri un percorso e soprattutto per favorire lo sviluppo di nuove aree residenziali o industriali, non si pensa che quella via, quel ponte, quel sottopasso dovranno essere nel tempo manutenuti e i soldi - che sono sempre meno - li mette ognuno di noi. A Riccione, con l’allargamento dell’autostrada sono stati demoliti du ponti paralleli a meno di 100 metri uno dall’altro, che partono dallo stesso posto e portano nello stesso posto. Se ne poteva ricostruire uno, ma la politica ha preteso che Società Autostrade li ripristinasse entrambe …

Occorre quindi ripensare - anche alla luce delle nuove modalità di trasporto - il sistema viario del Paese, con una logica che tenga conto dei costi di manutenzione.

La Filiera del Calcestruzzo si è evoluta ?

La terza riflessione riguarda la filiera del calcestruzzi. Se in questi anni l’evoluzione tecnologica è così cresciuta, al punto da arrivare a poter costruire grattacieli e ponti avveniristici, lo stesso non è accaduto per quanto riguarda l'intera filiera produttiva. E mentre i produttori di cemento si dotavano di impianti sempre più sostenibili e quelli di additivi di prodotti sempre più prestanti, per quanto riguarda la produzione del calcestruzzo non abbiamo osservato a un fenomeno dello stesso tipo: negli ultimi venti/trent’anni la maggior parte degli impianti è rimasta la stessa, esistono ancora impianti con finte automazioni, molti non hanno neppure un laboratorio con un tecnico dedicato alla progettazione e controllo delle ricette, i corsi per tecnologi vanno deserti, i nuovi materiali sono impegnati solo sulla spinta commerciale dei fornitori, il mescolatore è un elemento sconosciuto, il calcestruzzo è rimasto lo stesso del 1990.

Peraltro chi prescrive il calcestruzzo e le imprese che lo ordinano hanno continuato a pensare che non vi fosse una evoluzione tecnologica su questi materiali, hanno continuato a prescrivere e ordinare una resistenza meccanica e, nei casi migliori, una classe di esposizione, delegando il controllo a una figura assente nei cantieri, di Direttore Lavori, e non curandosi di un’attività importante, quella della qualifica dei fornitori.

Abbiamo avuto una scuola eccezionale in Italia: quella di ITALFERR e della realizzazione della TAV. Eppure si dedica spesso più tempo alla scelta di un cellulare che a quella di un materiale da costruzione.

E il mercato del calcestruzzo italiano è la fotografia di questa noncuranza: abbiamo ancora una miriade di impiantini con produzioni medie di 12/13.000 metri cubi annui che ovviamente non sono sufficienti per fare ricerca, controlli, qualità. Servirebbe una scossa. Ma il nostro Paese spesso vede nelle scosse dei fantasmi che non esistono, e contribuisce allo sfacelo di interi settori e mercati con multe su cartelli inesistenti.

“La ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell'una o dell'altro.”, Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi

Perchè non si vuole salvare il Ponte Morandi ?

Vorrei chiudere il mio editoriale tornando al ponte Morandi: perchè allora non si vuole riutilizzare la parte intatta del viadotto ?

Sicuramente pesa la bassa opinione che politica, progettisti, cittadini hanno del materiale calcestruzzo (e vedendo alcune centrali di betonaggio che operano sul territorio, come dargli torto) ma pesa di più il problema della cultura della classe politica.

A Genova, sul Polcevera, non si vuole costruire un ponte, si vuole affiggere un cartello politico. L’ho già scritto di recente ("Genova: Progettare un ponte non è come attaccare un cartello") e torno a dirlo ora.

La valle oggetto dell’incidente tragico è un alveo fluviale che sbocca sul mare. Non ha solo la complessità degli edifici residenziali ed industriali e della ferrovia. Ha una complessità idrogeologica, ha una complessità ambientale.

Il progetto di Renzo Piano: un parere assolutamente personale

disastro-diga-vajont-01.jpgLa costruzione del ponte Morandi portò alla realizzazione di pali in calcestruzzo di un metro e mezzo di diametro profondi 30/40 metri. La scelta di un ponte a larga luce consentì di mitigare l’effetto di impatto sulle correnti d’aria, sulla migrazione degli uccelli. La progettazione di un ponte è un’opera complessa proprio per questo, perchè ha tante variabili di cui tenere in conto.

Il progetto di Renzo Piano realizzato in 12 giorni è il simbolo della demonizzazione di tutto questo. Tecnicamente consegnare il progetto di un ponte in 12 giorni è semanticamente pericoloso: porta a pensare un cittadino, un politico, che la progettazione si possa fare di corsa, senza valutazioni del contesto, senza tenere conto degli effetti sul territorio, senza pensare ai costi di manutenzione, … è un messaggio che uccide la professione.

La tragedia del Vajont nacque da un problema di sottovalutazione degli effetti sul territorio: su quel bacino crollo una montagna, la diga è ancora in piedi oggi a monito, inascoltato, di cosa significhi sulle infrastrutture operare frettolosamente. 

Ma per affiggere un cartello tutto questo non conta. E questo la Politica lo sà. 

Conta di più identificare dei nemici, è più facile ed è più efficace: Morandi e il calcestruzzo si prestavano bene, e così ha prevalso la logica del bar e Facebook a quella della ragione.

Per chiudere vorrei citare una frase proprio di Renzo Piano, con la speranza che possa essere utile per una riflessione che coinvolge tutti, lui compreso:

"Noi italiani siamo come dei nani sulle spalle di un gigante, tutti. E il gigante è la cultura, una cultura antica che ci ha regalato una straordinaria, invisibile capacità di cogliere la complessità delle cose. Articolare i ragionamenti, tessere arte e scienza assieme, e questo è un capitale enorme. E per questa italianità c'è sempre posto a tavola per tutto il resto del mondo.”