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Illeciti di ingegneri e architetti fuori dalla professione: c'è comunque rilevanza disciplinare

Cassazione: hanno rilevanza disciplinare fatti o comportamenti contrari alle norme di deontologia da parte di ingegneri e architetti, ancorché essi non siano in diretta relazione con l'esercizio della professione e con la qualifica professionale

Illeciti al di fuori della professione ma collegati: la sentenza

La specifica previsione degli artt. 5 n. 4 della legge 1395/1923 e 43 del r.d. 2537/1925, i quali fanno riferimento ad abusi e mancanze commessi nell'esercizio della professione, non esclude la rilevanza disciplinare di altri fatti o comportamenti, realizzati dall'ingegnere, contrari alle norme di deontologia, ancorché essi non siano in diretta relazione con l'esercizio della professione e con la qualifica professionale.

E' molto chiaro l'orientamento ricordato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 24679/2018 dello scorso 8 ottobre, relativa ad un caso di un architetto al quale è stata comminata la sospensione dall'esercizio della professione per la durata di dieci giorni da parte del 1° Collegio di disciplina dell'Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Verona.

Condotta illecita del professionista: i fatti contestati

All'architetto erano state contestate le seguenti condotte:

  • avere utilizzato un indirizzo mail istituzionale (l'indirizzo Inarcassa) per l'invio di comunicazioni personali, creando confusione fra gli iscritti circa la natura di tali comunicazioni;
  • avere espresso giudizi denigratori in merito a un convegno organizzato da una associazione costituita da ingegneri e architetti tenutosi il 6 febbraio 2014;
  • avere diffuso fra gli iscritti comunicazioni contenenti informazioni non vere destinate ad incidere sul voto per il rinnovo del Consiglio provinciale dell'Ordine.

Il Consiglio nazionale degli architetti, con decisione del 30 novembre 2016, depositata il 13 febbraio 2017, ha rigettato il ricorso dell'architetto. Da qui l'articolato ricorso in Cassazione (undici motivi), al quale l'Ordine degli Architetti di Verona ha resistito con controricorso.

La decisione della Cassazione ai raggi X

La Cassazione conferma quanto disposto dal Consiglio, articolando per ogni motivo di ricorso:

  • l'art. 3, comma 5, del d.l. 138 del 2011, alla lett. f) dispone che "gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l'istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l'istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. La carica di consigliere dell'Ordine territoriale o di consigliere nazionale è incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali";
  • la contestazione, al professionista, dell'addebito e la comunicazione di una incolpazione che gli consenta di approntare una difesa senza rischiare di essere giudicato per fatti diversi da quelli ascrittigli o diversamente qualificabili sotto il profilo della condotta professionale a fini disciplinari, deve avvenire non nella fase preliminare (in esito alla quale il consiglio, assunte le informazioni opportune e verificati i fatti che formano oggetto dell'imputazione, dopo avere "udito l'incolpato" "decide se vi sia motivo a giudizio disciplinare"), ma solo nel procedimento disciplinare vero e proprio (Cass. n. 12119/2006). Quindi, il R.D. n. 2357 del 1925 non prevede, per la "fase preliminare", l'obbligatorietà della specifica contestazione degli addebiti, né impone l'audizione personale dell'incolpato, ma impone tali adempimenti solamente qualora sia avviato, con la seconda fase, il procedimento disciplinare vero e proprio. Esemplificando il concetto, la specifica contestazione all'indagato dei fatti integranti l'illecito disciplinare deve precedere soltanto il giorno fissato per il giudizio: nel caso in esame ciò è avvenuto con la citazione a giudizio del 19 dicembre 2014, che consente di identificare sia il fatto addebitato nella sua materialità, sia di cogliere la rilevanza disciplinare riconosciuta al medesimo;
  • secondo la giurisprudenza della Suprema Corte "la specifica previsione degli artt. 5 n. 4 della legge 24 giugno 1923 n. 1395 e 43 del r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537, i quali fanno riferimento ad abusi e mancanze commessi nell'esercizio della professione, non esclude la rilevanza disciplinare di altri fatti o comportamenti, realizzati dall'ingegnere, contrari alle norme di deontologia, ancorché essi non siano in diretta relazione con l'esercizio della professione e con la qualifica professionale" (Cass., S.U., n. 1265/1993; n. 75439/1991; n 6312/1990). Tali principi sono a maggior ragione applicabili nel caso in esame, se è vero che i comportamenti oggetto di contestazioni, seppure non direttamente posti in essere nell'esercizio della professione intesa in senso stretto, sono pur sempre relativi a fatti direttamente inerenti l'attività di architetto esercitata dalla ricorrente;
  • l'appartenenza dei componenti l'organo di disciplina alla categoria professionale interessata non è in contrasto con i principi di indipendenza e imparzialità del giudice (Cass., S.U., n. 11833/2013).

LA SENTENZA INTEGRALE E' DISPONIBILE IN FORMATO PDF

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