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Calcestruzzo: fatevi gli affari nostri

L'ultimo editoriale di Andrea Dari

Il calcestruzzo è il materiale più utilizzato nelle costruzioni, in molti casi non è sostituibile, è un po’ come l’acqua minerale per il cittadino.

Se l’acqua minerale non è controllata, e contiene delle impurità, può diventare un grave problema per la sicurezza delle persone.

Se il calcestruzzo non è controllato, e non rispetta le caratteristiche e le prestazioni che “dovrebbero” essere previste per il suo specifico impiego, può diventare un grave problema per la sicurezza delle persone.

La differenza più visibile tra i due settori – da un punto di vista industriale – è che il settore delle acque minerali guadagna, quello del calcestruzzo rimette.

Un settore che guadagna non ruba al popolo, come qualcuno oggi è abituato a dire, fa semplicemente quello che deve fare un’impresa, ovvero di fare utili. D’altronde le nostre norme prevedono che un’azienda che presenta un bilancio in perdita per cinque periodi consecutivi viene dichiarata “non operativa” (semplificando). Ma la redditività serve, perché un settore a bassa redditività non ha risorse per fare  ricerca, per fare controlli, per fare manutenzione, per fare sicurezza, per fare formazione, per fare sostenibilità … per fare quindi qualità reale.

Il settore del calcestruzzo è in crisi

A differenza del settore delle acque minerali quello del calcestruzzo è in crisi.

La produzione è crollata in 10 anni del sessanta percento e oltre. I prezzi di vendita sono addirittura scesi. Il numero di impianti non è calato in proporzione ai volumi e quindi la produzione per impianto è molto bassa. Vi sono impianti dove il proprietario fa anche da tecnologo, responsabile qualità, impiantista e palista per fare tornare i conti.

Quello che è calato in proporzione maggiore rispetto ai volumi è il numero di tecnici addetti al controllo delle materie prime e del calcestruzzo. E questo ha portato alla ricomparsa di problemi – che dipendono ovviamente da questi aspetti - che dieci anni fa erano stati praticamente debellati, come il pop out. Se un calcestruzzo da un problema di pop out in Romagna, dove il problema è conosciuto dagli anni novanta, e anche le cause, e anche i rimedi, significa che non c'è più attenzione alla produzione.

A mio parere, purtroppo, la qualità media del calcestruzzo di oggi è più bassa di quella di 10 anni fa.

Mancano le risorse, e mancando le risorse non ci si può permettere di fare la qualità

Ma soprattutto mancano i criteri di selezione nel mercato, e questo finisce per togliere ogni presupposto per la valorizzazione degli investimenti da parte di chi crede ancora che la qualità possa fare differenza

Calcestruzzo: i criteri di selezione del mercato non esistono

Partiamo da un primo concetto: gli attuali controlli previsti per il calcestruzzo sono sbagliati, anche a livello di principio.

Il controllo che si esegue in fase di accettazione di un prodotto non può prescindere dal livello qualitativo del processo produttivo. Se il processo è altamente controllato e standardizzato il controllo finale potrà essere più blando rispetto al caso di un processo fatto in modo artigianale e poco controllato. 

In Italia le nostre norme non prevedono questo tipo di differenziazione.

impianto-betonaggio-sequestrato-alla-camorra-2.jpg

Vorrei ricordare un secondo principio: l’uso di parametri statistici in un controllo ha senso se vi è una adeguata numerosità dei campioni. Altrimenti sono numeri senza senso.

In Italia nella maggior parte dei cantieri si applica (forse) il controllo di accettazione di tipo A.

Il Controllo di accettazione di tipo A

Il controllo di tipo A è riferito ad un quantitativo di miscela omogenea minore o uguale di 300 m³.

Ricordiamo che un prelievo vuol dire confezionare correttamente 2 cubetti (provini) di calcestruzzo. Un controllo di accettazione di tipo A è rappresentato da 3 prelievi, ciascuno dei quali eseguito su un massimo di 100 m3 di getto di miscela omogenea. Risulta quindi un controllo di accettazione ogni 300 m3 massimo di getto.

Per ogni giorno di getto, a prescindere dalla quantità, va comunque effettuato almeno un prelievo. Nelle costruzioni con meno di 100 m3 di getto di miscela omogenea, fermo restando l’obbligo di almeno 3 prelievi e del rispetto delle limitazioni di cui sopra, è consentito derogare dall’obbligo di prelievo giornaliero.

Determinata la resistenza di tutti i provini (cubetti) occorre definire la resistenza di ciascun prelievo. Al riguardo, la resistenza del prelievo è pari alla media delle resistenze dei 2 provini che lo costituiscono:

• Rprel. = (Rcub1 + Rcub2)/2

Il controllo di accettazione di tipo A si effettua verificando le seguenti disequazioni:

• R1 ≥ Rck – 3,5 (N/mm²)

• Rm ≥ Rck + 3,5  (N/mm² )

ove:

• R1 è la resistenza minima del prelievo [min (Rprel.1; Rprel.2; Rprel.3)]

• Rm è la resistenza media dei 3 prelievi [(Rprel.1+Rprel.2+Rprel.3)/3]

Se le disequazioni sono verificate, il controllo di tipo A è positivo.

Per casetta di 2 piani si impiegano in genere, compreso le fondazioni, meno di 300 metri cubi di calcestruzzo.

Ipoteticamente quindi, con sei cubetti, si va a controllare tutta la fornitura di calcestruzzo (che sarebbe comunque sbagliato, perché la norma parla di “getto di miscela omogenea” ma quasi nessuno ci fa caso).

Quindi ipotizzando che ogni autobetoniera abbia viaggiato con circa 8 mc di calcestruzzo, abbiamo avuto un controllo ogni 12 autobetoniere.

Sono sufficienti ? parlare di resistenza media di soli 6 cubetti ha senso statistico ? e considerato che la norma consente di eliminare cubetti che hanno dato comportamenti non giustificabili che cosa ci rimane in mano nel controllo ?

Prestazioni del calcestruzzo: le NTC non parlano solo di controlli di accettazione

Prima di proseguire nei ragionamenti ricordiamoci però di un aspetto: che le norme di calcolo hanno coefficienti di sicurezza tali da poter considerare una normale variabilità di un calcestruzzo che ha superato i controlli di accettazione.

mescolatore-calcestruzzo-simem.jpgTorniamo quindi ai controlli. Va detto che le norme non parlano e non prevedono solo il controllo di accettazione.

Secondo le norme tecniche per le costruzioni il calcestruzzo va prodotto effettuando opportuni controlli di qualità, con lo scopo di garantire il rispetto delle prescrizioni definite in sede di progetto.

Il controllo di qualità del calcestruzzo si articola nelle seguenti fasi:

  • valutazione preliminare della resistenza: serve a determinare, prima dell’inizio della costruzione delle opere, la miscela per produrre il calcestruzzo con la resistenza caratteristica di progetto
  • controllo di produzione: riguarda il controllo da eseguire sul calcestruzzo durante la produzione del calcestruzzo stesso
  • controllo di accettazione: riguarda il controllo da eseguire sul calcestruzzo prodotto durante l’esecuzione dell’opera, con prelievo effettuato contestualmente al getto dei relativi elementi strutturali
  • prove complementari: sono prove che vengono eseguite, ove necessario, a complemento delle prove di accettazione

Il primo di questi controlli è purtroppo oggetto solo dei grandi cantieri.

Il secondo, il controllo di produzione, è invece disciplinato dalle Linee Guida del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e è verificato attraverso la certificazione del cosiddetto FPC.

La certificazione FPC del calcestruzzo: un bollino inutile

Dal 2008, i produttori di calcestruzzo preconfezionato hanno l’obbligo di certificare il proprio sistema di controllo della produzione.

Il DM 14.01.2008 (Norme Tecniche per le Costruzioni) ha introdotto l’obbligo di implementazione e certificazione di un sistema di controllo della produzione (FPC) per i produttori di calcestruzzo preconfezionato che producono tale prodotto con un processo industrializzato.

Il sistema FPC deve essere implementato secondo le “Linee Guida sul Calcestruzzo Preconfezionato” edite dal Consiglio Superiore dei LLPP – Servizio Tecnico Centrale e viene certificato da organismi autorizzati sempre dal Consiglio Superiore 

Da un punto di vista tecnico la certificazione del FPC è corretto e dovrebbe diventare il vero strumento di qualifica del mercato.

Mi si permettano alcune considerazioni.

E’ indiscutibile che le prestazioni di un calcestruzzo dipendano dalla qualità e dalla costanza delle prestazioni e delle caratteristiche dei materiali che vengono impiegati e dalla specifica compatibilità tra essi.

Per esempio nel calcestruzzo si utilizzano aggregati. Vi sono zone in cui la tipologia degli aggregati disponibili porta a una enorme variabilità delle prestazioni e delle caratteristiche anche se la provenienza avviene dalla stessa cava. Si pensi, per esempio, ad alcune zone della Puglia, dove la presenza di fini è numerosa e variabile. Vi sono zone invece dove l’aggregato manca e viene costantemente importato attraverso i viaggi di ritorno dei camion che trasportano rottami di ferro. In questo caso quindi ci troviamo in una continua variabilità delle fonti di approvvigionamento. E’ impensabile quindi che un processo di produzione di calcestruzzo possa prescindere da un controllo costante e frequente della qualità degli aggregati. 

Pensiamo al cemento. La produzione del cemento è uno dei processi industriali sottoposto a più controlli nell’ambito delle costruzioni. La Certificazione di tipo 1+ è la più severa tra quelle possibili. Malgrado questo  le caratteristiche del cemento prodotto cambiano nel tempo. Inoltre due cementi con la stessa identificazione ma prodotti da cementerie diverse non è detto che si comportino allo stesso modo in presenza di un additivo. Il produttore di calcestruzzo dovrebbe quindi verificare i suoi mix design ogni qualvolta cambia il fornitore di cemento, e comunque periodicamente per verificare le “compatibilità” reciproche.

E’ indiscutibile anche il fatto che la tipologia di processo produttivo porti a diversi livelli di variabilità delle prestazioni del calcestruzzo.

Per esempio la tipologia delle sonde utilizzate, il loro posizionamento nell’impianto, la frequenza di taratura avrà ripercussioni sul corretto dosaggio delle sabbie e dell’acqua.

Per esempio la presenza o meno di un mescolatore. Questo dispositivo infatti, non solo assicura una migliore miscelazione del calcestruzzo, ma anche un contatto più intimo fra gli additivi (che ricordiamo sono introdotti in quantità molto ridotte rispetto agli altri componenti) e il cemento, la misura della lavorabilità già in impianto, … e quindi una produzione più costante.

mescolatore-calcestruzzo-sicoma.jpg

Per esempio lo stoccaggio degli inerti. Il metodo di stoccaggio, la distanza dalla produzione, l’esposizione agli agenti atmosferici, la costanza di approvvigionamento, il metodo di caricamento in tramoggia … sono tutti aspetti che possono cambiare o meno la costanza delle prestazioni di un calcestruzzo.

Per non parlare poi del sistema di automazione, della sua capacità di adeguare la produzione in funzione dei sistemi di monitoraggio e di controllo …

Tutto questo prevede investimenti in risorse e in personale. E’ impensabile che tutto ciò possa avvenire senza un addetto al controllo tecnico della produzione.

Eppure sono tanti gli impianti che non hanno un minimo di laboratorio e un tecnico che possa seguire tutti questi aspetti. Eppure sono tanti gli impianti che non fanno le tarature nei tempi previsti. Addirittura vi sono impianti con ricette non aggiornate da anni. Addirittura, mi dicono, ci sono impianti che non hanno neppure una vera automazione. 

Ma questi impianti, belli o brutti, con personale qualificato o meno, hanno tutti una caratteristica in comune, quella di avere un certificati FPC.

Che questo certificato sia ancora in vigore non lo sappiamo, perché non si è voluto metterci la data di scadenza!

Perché questo accade ? perché la certificazione è diventata un business, e si sono autorizzati troppi organismi, animando una concorrenza in un mercato in cui il controllato deve pagare il controllore. E’ ovvio che così non funziona.

Calcestruzzo: un mercato che non premia la qualità

In molti editoriali ho invitato le aziende del settore a investire in innovazione, qualità impiantistica, risorse tecniche, marketing. Sbagliavo!

Sbagliavo perché questo mercato con controlli di accettazione così blandi, con una certificazione così inutile, con imprese e committenti che hanno pochissima cultura della qualità, con professionisti così poco interessati alla qualità dei materiali messi in opera, non da alcun vantaggio a chi investe in qualità.

Chi si dota di un mescolatore, chi ha un laboratorio interno, chi sigilla i rubinetti dell’acqua dell’autobetoniera … aggiunge un costo quasi mai riconosciuto dal committente.

Solo pochi appalti pubblici – vedi l’alta velocità – hanno dedicato la corretta attenzione a questi aspetti qualificando gli impianti, le cave, le organizzazioni, le ricette … ma in genere è il "finto" controllo di accettazione di tipo A che fa da unico filtro per un mercato che così è aperto a chiunque.

Tutti possono fornire, così abbiamo troppi impianti, poca produzione, poche risorse, e torniamo al ragionamento di partenza … chi ci rimette è il cittadino.

Il paradosso è che oggi per la crisi chiudano spesso i migliori impianti, non i peggiori.

Le Associazioni ha fatto molto, ma non basta

Nel passato le Associazioni hanno investito molto su questo tema della qualificazione, vorrei ricordare tre cose: la campagna prove di confronto tra produzione con mescolatore e senza, il sostegno alla nascita dell'Osservatorio del Calcestruzzo, il progetto Concrete.

Il progetto Concrete è stata la più grande iniziativa di diffusione della cultura del calcestruzzo mai realizzata nel settore. Sarebbe stato importante proseguirla, ma per farlo occorrono risorse e, in un mercato senza regole ... come già detto ... mancano le risorse.

Occorre che la qualità nasca dall’alto: la necessità di un intervento delle istituzioni

In questo contesto appare chiaro che qualsiasi intervento dal basso ha poche possibilità di successo, e poiché stiamo parlando di un tema chiave per il nostro Paese, quello della sicurezza, è necessario che le istituzioni intervengano al più presto.

Invece di pensare a vessare e togliere ulteriori risorse con interventi antitrust che appaiono davvero fuori contesto, sarebbe necessario che chi governa – anche attraverso il suo istituto più importante in questo ambito, ovvero il Consiglio Superiore dei LLPP – prendesse in carico il problema, tenendo conto di tutte le problematiche, che in questo mio editoriale ho riassunto solo in parte, per avviare una normativa che finalmente:

  • porti a una reale qualificazione degli impianti di produzione, che impedisca la proliferazione di bollini blu inutili e quindi la presenza di produttori che non hanno un processo sotto controllo;
  • preveda un sistema di controlli del calcestruzzo più efficace, che tenga conto non solo delle prestazioni meccaniche ma anche della inderogabile esigenza di calcestruzzi durevoli per la specifica applicazione, e l’introduzione di un sistema di tracciatura digitale che impedisca il cosiddetto mercato dei cubetti;
  • riveda anche l’attuale regolamentazione che porta all’autorizzazione di organismi di certificazione e laboratori, perché non sempre la “legge del mercato” porta alla qualità e la presenza di troppi soggetti finisce per limitare le capacità di investimento e aggiornamento;
  • investa di più in risorse nel proprio organismo tecnico, il Servizio Tecnico Centrale, perchè non si può pretendere che con pochi uomini riesca a controllare laboratori, impianti di betonaggio, centri di trasformazione, certificati di verifica tecnica, ... produca i testi delle norme ... i pareri tecnici ... controlli l'applicazione delle norme CE ...

Forse si dovrebbe fare un passo indietro, lasciare meno spazio al mercato e più potere al controllo e alle barriere di ingresso. Oggi, paradossalmente, per fare il Bidello (con tutto il rispetto per questa categoria) si deve superare un concorso per titoli, per aprire un impianto di betonaggio no: è incredibile. 

Insomma, Ministro Toninelli, se vogliamo costruzioni più sicure, fatevi gli affari nostri.

Andrea Dari, Editore di INGENIO