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Il FAC-1 e la Domanda Digitalizzata

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Le interessanti indicazioni che provengono dagli Osservatori promossi da CNAPPC/CRESME e da OICE, relativi, in particolare, alle procedure competitive legate al Codice dei Contratti Pubblici vertono essenzialmente sui bandi e sui documenti di gara in cui compaia l'acronimo BIM e/o suoi affini e derivati.

Occorre, tuttavia, domandarsi (retoricamente) se sia sufficiente la presenza della citazione dell'Information Management e dell'Information Modeling per ritenere che il processo di digitalizzazione della Domanda Pubblica stia effettivamente avanzando, dato che la sensazione derivante da analisi campionarie suggeriscono paradossalmente un suo arretramento, al netto delle debite eccezioni.

Una riflessione sommaria sull'operato della Domanda Privata (strumentale e sviluppatrice immobiliare) vede alcuni episodi promettenti, così come per quella Pubblica, all'interno di un contesto, tuttavia, parimenti piuttosto confuso.

In teoria, disponendo del DM 560/2017, dell'apparato normativo internazionale, sovranazionale e nazionale, nonché di eventuali linee guida proprietarie, per una committenza, pubblica o privata, non dovrebbe essere così difficile misurare il proprio grado di maturità digitale.

In un seminario, tenutosi a Londra anni or sono presso il Centre of Construction Law del King's College, era emerso che una modalità preferenziale per valutare il grado di BIM Compliance di una procedura competitiva consistesse più nel misurarne il tasso di collaboratività che non rinvenire nominalmente in essa la presenza dell'acronimo.

Il convegno promosso l'11 Febbraio 2019 dal Centre of Construction Law and Management (CCLM) presso l'Università degli Studi di Milano affrontava il tema sopraddetto sotto diversi profili: specificamente, tramite l'analisi della edizione più recente dei FIDIC Book, delle forme di mediazione proposte dalla Camera Arbitrale di Milano e dal FAC-1, l'accordo collaborativo trasferito nel contesto della Civil Law italiana dal CCLM stesso, attualmente in corso di sperimentazione per l'edilizia scolastica e quella universitaria pubblica, oltre che per l'edilizia privata.

Secondo una prospettiva non giuridica in senso proprio, ciò che emerge dalla giornata di studio è, da un canto, che sia i contratti, attinenti a un Programme o a un Project, sia la loro risoluzione alternativa e accelerata, abbisognino di una gestione in tempo reale, a stretto seguito degli accadimenti oggetti di controversia nel corso della loro esecuzione, nonché che ciascuno di essi debba essere compreso sotto una copertura (metaforicamente, un ombrello) che tessa le relazioni e le connessioni nell'ottica di una flessibilità che, in realtà, suona quale interrelazione sistemica e, soprattutto, multilaterale.

Di fatto, specialmente all'interno degli accordi collaborativi, richiamabili probabilmente pure nelle procedure di mediazione, sussiste tanto una istanza di conseguimento di giochi a somma positiva che renderebbero l'integrazione e la collaborazione reciprocamente convenienti (più di quanto non lo siano i rapporti antagonistici) per le parti in causa quanto la possibilità di perseguire finalità più ampie, anche di carattere sociale.

Espungere, addirittura in termini di prevenzione (avoidance), dai contratti la dimensione conflittuale potrebbe apparire come un intento prometeico, così come lo sembra ridurre gli accadimenti realizzativi alla prevedibilità (predictability), ma certamente si tratta di una tendenza, per quanto embrionale, sicuramente già in atto.

Quanto, però, tutto ciò comporti davvero una cesura epistemologica sarebbe dimostrato dalle implicazioni più squisitamente culturali, che indurrebbero, nella transizione dal conflitto alla collaborazione, sia pure in nome di una razionalità utilitaristica, una evoluzione della identità degli attori.

Provando a ritornare all'incipit del ragionamento, è chiaro che la digitalizzazione conduca a incrementare le valenze computazionali insiste nelle transazioni: da cui la centralità del cosiddetto ambiente di condivisione dei dati (numerici) e la formulazione del capitolato informativo in termini squisitamente, appunto, computazionali.

Il che porta a coniugare Information e Project Management (qui si ricordano i contenuti relativi agli indicatori di gestione presenti in alcuni modelli contrattuali di stampo anglosassone, illustrati nell'occasione), a includere gli Employer's Information Requirements (oggi, per la normativa, divenuti Exchange Information Requirements) negli Employer's Requirements (anche dei contratti FIDIC) e nel Client's Project Execution Plan.

In realtà, l'applicabilità degli accordi collaborativi non solo alla relazione intercorrente tra Domanda e Offerta (stimolata dalla prima), bensì pure all'interno della mera catena fornitura, spiega la ragione per cui i medesimi Information Requirements possano essere gestiti a prescindere dalla committenza o, almeno, accresciuti rispetto alla formulazione originaria, come prevedono le norme UNI EN ISO 19650-1 e -2: ma anche la possibilità che l'appaltatore o il concessionario possa essere qualificato come collaborativo, da cui BIM, Lean & Collaborative?

Nel passato, è stato più volte evidenziato e sottolineato come le formule contrattuali implicanti una singolarità, una unicità, di interlocuzione e di decisione (qui, nell'ipotesi del FAC-1 resa, per così dire, multilaterale probabilmente dall'amministratore della collaborazione, dal gruppo ristretto e dal consulente indipendente) nei processi fossero quelle più affini alle logiche digitali (ad esempio, le soluzioni partenariali) e in che misura la digitalizzazione stessa potesse modificare il sistema delle responsabilità e i criteri di allocazione dei rischi.

L'accordo collaborativo rappresentato dal FAC-1, accordo, appunto, non contratto, mira, perciò, ad abilitare, in maniera sartoriale e versatile, le condizioni peculiari di sinergia tra i soggetti che si muovono all'interno degli schemi contrattuali (in futuro, basati sui codici computazionali?) e degli ambienti di condivisione dei dati (numerici?).

L'interrogativo con il quale si è concluso il convegno, non per nulla, verteva sulle forme estreme di computazionalità che la digitalizzazione propone, non solo in materia di smart contract e di distributed ledger technology, ma anche dei meccanismi di attribuzione semi-automatica (supportata dall'intelligenza artificiale) dei giudizi, dei verdetti, dei lodi e di altre risoluzioni, o forse dei dispositivi di impedimento alla radice dell'insorgere del contenzioso per via, appunto, numerica.

Si tratta di scenari (solo in parte) futuribili, che forse suggeriscono la necessità di coniugare i processi impersonali guidati dai dati numerici e leggibili dalla macchina con una sorta di creatività relazionale insita nel FAC-1 e, più in generale, negli accordi collaborativi.

Quel che è assodato è che l'interesse manifestato per la collaborazione e per la mediazione (di là del significato rigoroso delle loro espressioni nelle tecnicalità giuridiche) esce dall'alveo dell'idealismo, retorico, per ambire a divenire strumento preferenziale delle convenienze concrete degli operatori.

La rinuncia al conflitto è una aspirazione che inizia a farsi obiettivo praticabile, anzitutto, nell'immaginario degli operatori: come è stato testimoniato dal vasto e qualificato uditorio.