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I Limiti del «BIM» e le Potenzialità del «Dato»

«meno BIM e più Data Science» non significa ragionare in termini esclusivi su una delle opzioni, bensì riconoscere che il valore del dato sia così grande da cercare di impedire che della digitalizzazione si offra una interpretazione troppo analogica

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In questo momento storico, anche nel Nostro Paese, il «BIM» gode di vasta popolarità, tanto che la Domanda Pubblica dispone di un riferimento legislativo inerente alla cogenza, accanto a documenti normativi internazionali, sovranazionali e nazionali sempre più estesi, quella Privata, nelle sue migliori espressioni, appare piuttosto dinamica, l'Offerta, infine, può vantare molteplici casi paragonabili alle best practice internazionali.
 
Per quanto molto spesso l'adozione risulti prevalentemente strumentale, è innegabile che si ricorra con maggiore frequenza ai workflow, che i sistemi di gestione documentale siano abbastanza regolarmente utilizzati.
 
Ciò che, tuttavia, sta accadendo, per chi sappia osservarlo, è il fatto che, proprio sotto il profilo squisitamente tecnologico, ciò che si riassume nell'acronimo «BIM» appare insufficiente, poiché proprio quest'ultimo ha avuto il merito principale di enfatizzare il valore del dato numerico, senza, tuttavia, poterlo esplicitare interamente.
 
Di questo stato delle cose si possono offrire due interpretazioni differenti, ma complementari.
 
Si può, anzitutto, rimarcare come la configurazione dei modelli informativi, dal punto di vista geometrico-dimensionale, stenti ad assumere le logiche utili al loro impiego nella fase costruttiva, mentre gli aspetti alfa-numerici, quand'anche potessero essere compresi nelle entità che compongono i modelli informativi, ne sono quasi sistematicamente esclusi.
Di tutto ciò non vi è nulla da stupirsi, se si pensa che la finalità principale di coloro che progettano resta profondamente analogica, tanto perché questa è inevitabilmente la forma mentis prevalente quanto poiché il documento e, nella fattispecie, l'elaborato grafico persiste come oggetto quasi esclusivo delle pattuizioni contrattuali.
Ammesso e non concesso che davvero i documenti tradizionali siano, per quanto possibile, tratti dalla modellazione informativa, la stessa clash detection si arresta non di rado ai conflitti geometrico-spaziali.
Il che, peraltro, può anche condurre al paradosso che i contenitori informativi non siano ottimizzati per la loro natura originaria per la necessità di meglio rispondere alla produzione documentale.
D'altro canto, che le proprietà alfa-numeriche non siano incluse come dovrebbero nei modelli informativi è spiegabile, non giustificabile, per il fatto che nel mondo tradizionale, ad esempio, capitolati speciali di appalto e schede tecniche non abbiano mai goduto del favore generale.
La stessa «interoperabilità» presenta alcuni tratti relativamente oscuri. Spesso ci si dimentica, prima di tutto, che gli schemi e i protocolli che la presiedono siano rivolti a «modellare» e a «strutturare» i dati prima ancora che a facilitarne lo scambio.
 
In secondo luogo, la maggiore interoperabilità consisterebbe nell'eliminare la separazione tra ambienti di calcolo (energetico, impiantistico e strutturale) e ambienti di modellazione (informativa), ma ciò richiederebbe un saper pensare numericamente lo spazio della creatività e dell'intuito che, in prospettiva, per la parte più tradizionale e ripetitiva sarà occupato progressivamente dai machine readable data e dal loro sfruttamento (secondo varie modalità).
Soprattutto, il Computational Design, così come l'Information Modeling (che, in realtà, anche per ISO è già ormai Information Management), appaiono solo una porta di ingresso alla categoria del Generative che si intende, però, come Automation.
Non dimentichiamo che il ricorso al machine learning attraverso appositi algoritmi allenabili che si riferiscono a grandi moli di dati storici qualitativamente strutturati ha come fini principali rendere gli esiti in parte predictable e auto-progettanti.
 
A oggi, d'altronde, numerose, sfortunatamente, sono le testimonianze di ricezione analogica dei processi digitali.
Le committenze, ad esempio, stentano a con-fondere Employer's Requirements e Employer's Information Requirements, vale a dire faticano a esprimere le proprie attese di contenuto e di decisione in maniera computazionale, integrando l'Information Management nel Design Management (più in generale, nel Construction Project Management), avviando una impegnativa dialettica computazionale coi fornitori di servizi professionali, riducendo il cosiddetto capitolato informativo, oggi gradualmente obbligatorio per legge nei contratti pubblici, a una sorda modulistica.
 
Il 4D BIM/5D BIM, ancora a titolo esemplificativo, non è quasi mai percepito sia in relazione all'Earned Value Management (visualizzando gli indicatori gestionali di prestazione) sia al ruolo dello spazio nelle sequenze costruttive inerente allo LBMS ovvero Location-Based Management System e alle sue implicazioni in argomento di Lean Construction.
 
Il cantiere digitalizzato, cosiddetto 4.0, ancora, non è compreso nella sua accezione di dispositivo di autonomazione, vale a dire di supporto semi-automatico alla decisione, bensì è guardato come a una collazione, spesso poco sistemica, o almeno finalizzata unilateralmente, di entità sensorizzate (operatori, macchinari, apprestamenti, aree), in cui non è così semplice passare dai recettori agli attuatori, dalla reazione alla autonomia.
 
Allo stesso modo, la Smart Home, così come forse l'Integrated Workspace Management System, vede oggi come priorità la integrazione e la interoperabilità dei dispositivi interconnessi che, tuttavia, dipenderebbe da una nozione adeguata del nuovo prodotto immobiliare, legato ai comportamenti e agli stili di vita.
 
In conclusione, vi sono due orizzonti destinali che promettono di influire in maniera decisiva.
Il primo di essi è costituito dalla centralità delle Operations che si traduce nello User Centrism e nel Digital Twin: come sostiene il Centre for Digital Built Britain: Operate and Integrate.
 
Tale passaggio dimostra, prima di tutto, come ancora una volta la digitalizzazione sia disruptive perché ibrida Core Business e Facility Management, ma, in special modo, in quanto, la centralità dell'utente e della fruizione si tramutano in capacità potenziali di «disegnare» comportamenti e stili di vita.
 
Il che, da un lato, invererebbe, al netto delle ambiguità di tale affermazione, una antica aspirazione umananistica della cultura architettonica, d'altro canto, comporterebbe una estensione straordinaria delle responsabilità che investono progettisti e costruttori.
 
Il secondo di essi è che il passaggio mentale, ancor prima che operativo, dal «documento» al «dato», ben lungi dall'essersi avverato, rappresenta il punto di svolta decisivo poiché abiliterebbe, lungo i processi, workflow autonomizzanti.
 
Si tratta delle piattaforme digitali industriali, da non confondere con repository di «informazioni esaustive» istituzionali assai meno influenti, veri e propri interi ecosistemi digitali, i primi, che potrebbero fungere da meccanismi di eterodirezione abilitanti da cui nessun attore possa fuoriuscire, alimentato, tra le altre cose, da Business Intelligence e Artificial Intelligence.
 
D'altronde, dato che il mercato non potrà attendere la completa messa a regime della computazionalità dei dati strutturati, per creare rapidamente gli autentici ambienti di condivisione di grandi ed eterogenee moli di dati, per il data querying e per il data reasoning, i linked data e la semantic web technology appare prioritaria per sfruttare numericamente i dati che già esistono e per capitalizzare non solo il dato e l'informazione, ma anche la conoscenza.
 
Naturalmente, tutte le migliori start up e i maggiori player dell'ICT che operano nel settore stanno lavorando assiduamente per l'Internet of Platforms, ma è chiaro che saranno le Tech Company a occupare, alla fine, lo spazio determinante.
 
Affermare, perciò, che occorra «meno BIM e più Data Science» non significa ragionare in termini esclusivi su una delle opzioni, bensì riconoscere che il valore del dato sia così grande da cercare di impedire che della digitalizzazione si offra una interpretazione troppo analogica, in attesa di un completo ricambio generazionale.
 
Se così non fosse, è evidente che la digitalizzazione minore potrebbe indurre a originare oneri eccessivi rispetto ai benefici attesi.

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