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Alle Origini del Mercato dello Space as a Service

Leggi l'ultimo articolo del prof. Angelo Ciribini

ANGELO-CIRIBINI-03.jpgIn un recente dialogo su Twitter occorso con Randy Deutsch, Brian Ringley e Alain Waha, si è avuto modo di accennare scherzosamente alla «crasi linguistica» immaginabile tra Katerra e WeWork, per sottolineare una certa distinzione tra AEC Company e Tech Company.

Il senso ultimo, in termini metaforici, era quello di ascrivere tali società, oggetto di crescenti attenzioni da parte della stampa specializzata e generalista (come dimostra, da ultimo, il New York Times) alla seconda categoria.

Tutto ciò, invero, diverrà più evidente allorché la presenza di soggetti come Airbnb od Amazon nel comparto dell’ambiente costruito apparirà più evidente e consolidata di quanto oggi già non sia.

In questo momento, peraltro, Katerra sta lanciando la piattaforma denominata Apollo e WeWork sta attuando una operazione di rebranding come WeCompany.

Ciò che accomuna entrambe le aziende, il cui business parla pur sempre di concreti impianti produttivi e patrimoni immobiliari, può essere il fatto che abbiano assunto numerosi architetti o che abbiano acquisito diverse strutture di progettazione, denotando un forte interesse per tale tematica, come dimostra la celebre immagine che ritrae assieme Adam Neumann e Bjarke Ingels.

Il punto, tuttavia, è che ciò avvenga entro un contesto in cui i processi siano data-driven, vale a dire in cui i dati numerici strutturati consentano la iper-personalizzazione: di che cosa?

Sarebbe, infatti, logico definire Katerra come una azienda che operi, a vasta scala, nell’ambito della prefabbricazione e WeWork come una società che affitti spazi di lavoro.

In una ottica semplificata, in maniera confusa, più in generale, si potrebbe riempire una libreria concettuale di locuzioni come Design for Manufacturing & Assembly, Modern Methods of Construction, Off Site Manufacturing, Cognitive Building, Responsive Building, Smart Home e così via.

Se lo si facesse se ne potrebbe dedurre che la nozione di industrializzazione edilizia dei Gloriosi Trenta si stia riaffacciando, aggiornata e corretta dai punti di vista della digitalizzazione e della sostenibilità, e che l’eccezione di edificio intelligente degli Anni Ottanta e Novanta finalmente giunga a maturazione.

Si tratterebbe, tuttavia, di una lettura fuorviante, poiché la ragione per cui sia Katerra sia WeWork agiscono attraverso piattaforme digitali sofisticate è che la sfida epocale che il capitalismo di sorveglianza, inteso nel suo significato tecnico, propone si focalizza sul vissuto, Living e Life al contempo, del singolo individuo abilitato dal valore del digit.

Di conseguenza, quegli stessi architetti, prima menzionati, si muovono in un contesto ove, da un lato, sono attivi dispositivi di Artificial e di Business Intelligence, mentre, da un altro lato, giocano un ruolo importante sociologi e psicologi, ambientali, cognitivi o di altro genere.

È, questa, una Industry delle «relazioni» che offre «esperienze».

La tendenza contemporanea è, in effetti, duplice: per un verso, riconfigurare l’intera catena di fornitura secondo i principî della catena del valore, creando un forte coordinamento della filiera della costruzione e sopprimendo i nodi e i livelli improduttivi; per un altro verso, rendendo il bene fisico, il cespite fisico, veicolo strumentale interattivo per l’erogazione, nel ciclo della vita, di un complesso di servizi sartorialmente attagliato alla persona, ripensando radicalmente la essenza stessa della filiera dell’immobiliare.

Nel momento stesso in cui alcuni campioni globali danno forma e sostanza a questa ambizione, occorre, dunque, anche nello scenario domestico fuoriuscire dalle suggestioni evocative e interrogarsi sulle identità giuridiche, organizzative, tecnologiche, sociali, per cui tale «prodotto», che è, in realtà, un «servizio», possa essere contrattualizzato.

È, questo, un tema che lo scrivente sta sviluppando attivamente, come si può osservare facilmente, ragionando assieme a non trascurabili operatori economici e promuovendo corsi di formazione precedenti e successivi ai classici livelli istituzionali.

Ciò che conta, tuttavia, è che si sia in grado, nei prossimi anni, di cogliere i significati più reconditi e profondi della digitalizzazione, quale fenomeno che investe direttamente la cittadinanza e la comunità digitale e, attraverso di essa, la dimensione comportamentale della Occupancy e dello User Centrism.

Parimenti, occorrerà mettere a punto, in questo nuovo mercato che «dematerializza» e «mobilita» gli apparati mentali ormai radicati e sclerotizzati, ecosistemi digitali finalizzati a offrire servizi «emozionali» partendo dalla combinazione di behavioural pattern e di space breakdown structure.

Conferire identità inedite agli operatori, frutto di ibridazioni, e agire sullo sconvolgimento della natura dei cespiti, materiali e immateriali, è fondamentale e urgente per creare un livello di competitività e di attrattività, sul nuovo mercato, per il paesaggio nazionale.

Aderire a una versione banalizzata del «BIM» e di ciò che gli sta attorno può essere utile per mirare a un parziale efficientamento dei connotati convenzionali del settore della costruzione e dell’immobiliare, ben sapendo, però, che la redditività e l’innovazione stiano ormai altrove.

Se il nuovo mercato si affermerà, la mentalità tradizionale da bricks and mortar costituirà un formidabile impedimento a quegli attori del comparto che non possederanno anche una cultura dell’«intangibile».