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Violazione distanze tra edifici: riepilogo delle regole e delle conseguenze per il permesso di costruire

Tar Campania: nel caso di violazione del regime delle distanze fra pareti finestrate il diniego del richiesto permesso di costruire deve considerarsi un atto vincolato

Distanze tra costruzioni e diniego del permesso di costruire

Ci risiamo: le distanze tra edifici (o tra costruzioni, o in edilizia, chiamatele come volete...) sono sempre tra le più gettonate in materia di normativa urbanistica: in un'altra recente sentenza, la n.2519/2019 dello scorso 10 maggio, il Tar Salerno ha confermato che, se non si rispettano i dogmi imposti dal DM 1968/1944, e in attesa di un qualcosa di più, in materia di distanze, di quello che (non) ha modificato il recente decreto Sblocca Cantieri, il diniego del permesso di costruire è consequenziale e legittimo.

Sopraelevazione senza rispetto dei 10 metri delle distanze: non si può fare

Nel 'nostro' caso, un privato ha presentato ricorso al Tar dopo che il comune aveva negato il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una sopraelevazione di un locale garage, che "violerebbe la prescrizione relativa alla distanza dai fabbricati imposta dall'art. 28 delle vigenti norme di attuazione del P.R.G. che peraltro richiama il disposto dell'art. 9 del D.M 2 aprile 1968 n° 1444"; ciò in quanto con la prevista sopraelevazione del solaio di copertura a quota + 1,5 mt, e cioè in corrispondenza del piano rialzato dell'abitazione retrostante di proprietà del ricorrente, quest’ultimo si troverebbe di fatto agganciato in prosecuzione di un preesistente balcone del locale cucina del ricorrente, trasformandolo in un ampio terrazzo, a confine con la proprietà aliena, come del resto inequivocabilmente dimostrato dalla prevista costruzione anche di un torrino scale per raggiungere la sommità del garage stesso, il tutto in violazione delle distanze minime previste dall’art 28 delle N.T.A - che prevede, per le nuove costruzioni, una distanza non inferiore a m.10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti -, risultando invece, nel caso di specie, il nuovo ampio balcone così di fatto realizzato ad una distanza di mt 4,70 dal retrostante preesistente immobile finestrato in ditt.

Distanze tra edifici: il riepilogo delle regole del gioco

Controbattendo ad ogni singolo motivo del ricorso, i giudici amministrativi campani di fatto riepilogano l'attuale normativa italiana sulle distanze:

  • la distanza di dieci metri, che deve sussistere tra edifici antistanti si riferisce a tutte le pareti finestrate, indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesistente, o della progettata sopraelevazione, ovvero ancora che si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all'altra;
  • la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9, D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela;
  • gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche a estendere e ampliare per l'intero fronte dell'edificio la parte utilizzabile per l'uso abitativo” ( cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 5 dicembre 2005, n. 6909, Consiglio di Stato, sez. IV 22 ottobre 2013 n. 5557);
  • per "pareti finestrate", ai sensi dell'art. 9 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, “devono intendersi, non (soltanto) le pareti munite di "vedute", ma più in generale tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l'esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce) e considerato altresì che basta che sia finestrata anche una sola delle due pareti (Corte d'Appello, Catania, 22 novembre 2003; T.A.R. Toscana, Firenze, sez. III, 4 dicembre 2001, n. 1734; T.A.R. Piemonte, Torino, 10 ottobre 2008 n. 2565; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 7 giugno 2011, n. 1419)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV 22 ottobre 2013 n. 5557 citato), e tale principio è stato di recente ribadito anche dalla Suprema Corte di Cassazione che nella sentenza n. 166/2018 ha espressamente affermato che "in tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell'art. 873 c.c., con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, poichè il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poichè il D.M. 2 aprile 1968, art. 9, - applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla Legge urbanistica n. 1150 del 1942, come modificata dalla L. n. 765 del 1967 - stabilisce la distanza minima di mt. dieci tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone, è "contra legem" in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a mt. dieci, violando il distacco voluto dalla cd. legge ponte (in senso sostanzialmente conforme si veda anche Cass. n. 23553/2013; Cass. n. 17089/2006)".

Dulcis in fundo: niente permesso se le distanze non vengono rispettate

In definitiva, il diniego del permesso di costruire è una logica conseguenza visto che il progetto per il quale è stato denegato prevede la realizzazione di un garage in sopraelevazione e di un vano scale di nuova costruzione posto in aderenza al muro di confine nella parte non edificata, il quale risulta posto ad una distanza inferiore ai dieci metri prescritti dall’art. 28 N.T.A., nonché dall’art. 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, dalla parete frontistante dell’edificio di proprietà di quest'ultimi.

Il diniego è quindi un atto vincolato, a cagione del rilevato superamento delle distanze legali; parimenti, alcuna rilevanza assume la mancanza del preventivo parere della Commissione Edilizia Comunale lamentata dal ricorrente nel primo motivo di gravame, considerato che – come evidenziato dalla difesa dell’Amministrazione Comune resistente - il Comune stesso, all'epoca dell'adozione del provvedimento impugnato (14.10.2016) si era avvalso della facoltà di abolire tale organo consultivo e che, in ogni caso, la stessa condivisibile giurisprudenza amministrativa evidenzia come l'obbligatorietà del parere della commissione edilizia sussista solo per le "questioni che interessano l'attuazione, sotto il profilo tecnico, di uno specifico progetto costruttivo in relazione alla vigenza di prescrizioni generali e speciali nella materia edilizio-urbanistica" e che "è legittimo il diniego di concessione edilizia (nella specie, in sanatoria) in assenza del parere della commissione edilizia comunale, qualora tale diniego si basi esclusivamente su ragioni giuridiche"(cfr. Consiglio di Stato n° 4578/2016) come avvenuto nella fattispecie che occupa.

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