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Quale sicurezza per i nostri edifici?

I recenti eventi sismici dell’Aquila e dell’Emilia hanno mostrato, ancora una volta, come la sicurezza degli edifici debba essere sempre tra le priorità di intervento in una società che aspiri a migliorare il livello della qualità della vita delle collettività. A questo riguardo, i piani post-sisma, rivolti non solo alla riparazione dei danni diretti ma anche all’innalzamento del livello di sicurezza delle costruzioni nelle zone colpite (anche se non danneggiate), sono un importante laboratorio dal vero per verificare quali strumenti siano possibili per una effettiva riduzione del rischio sismico su ampia scala nel nostro territorio. Non c’è dubbio infatti che siano necessarie almeno quattro componenti per aumentare la sicurezza a scala regionale o nazionale: le tecnologie adatte, la competenza dei tecnici chiamati ad operare, gli strumenti finanziari (ed urbanistici) necessari per incentivare gli interventi, gli strumenti tecnici normativi idonei.
Su quest’ultimo punto, il dibattito tecnico in Italia è stato ampio negli ultimi 12 mesi, ed in particolare nel corso della revisione del testo delle Norme tecniche per le Costruzioni. È in discussione il concetto stesso di sicurezza, e se il mondo tecnico è davvero maturo per fare propri i concetti base di tipo prestazionale alla base delle Norme, come esplicitato nel Capitolo 2 delle stesse.
Richiedere ad un tecnico di rispondere alla domanda: “questa costruzione è sicura oppure no” senza fare distinguo è un modo semplicistico di approcciare il tema della sicurezza. In ogni campo dell’ingegneria è assodato come il concetto di sicurezza debba essere associato ai concetti di “stato limite” – sicurezza nei riguardi di quale tipo di funzionamento - e di “probabilità di insuccesso” ammissibile. Nel campo delle costruzioni, essendo le azioni agenti dipendenti dall’ampiezza della finestra temporale all’interno della quale se ne elabora la statistica, la sicurezza nei riguardi di esse deve essere necessariamente valutata con riferimento alla vita della struttura (la cosiddetta “vita nominale”). Anche i parametri di resistenza della costruzione sono affetti da inevitabile aleatorietà – in molti casi vera e propria incertezza - , e sono certamente diversi e differentemente definibili nel caso di progetto di nuove costruzioni o di valutazione della sicurezza delle costruzioni esistenti.
Di certo la progettazione ordinaria nel campo delle costruzioni non può essere condotta in puro ambito probabilistico, per cui è inevitabile che la traduzione in regole e criteri “deterministici” introduca nel processo un certo livello di convenzionalità. L’obiettivo delle Norme è quello di assicurare, ad ogni costruzione, un livello di sicurezza adeguato alla costruzione stessa, che tenga quindi anche in conto il fatto che le conseguenze socio-economiche di un danno o un collasso possono essere molto diverse in funzione del tipo di costruzione. Devono essere più sicure le costruzioni per le quali un danno o collasso può provocare conseguenze più gravose per persone e cose. Ma poiché le azioni possono essere le più diverse (vento, sisma, neve, ecc.), l’unico modo per uniformare il livello di sicurezza di costruzioni egualmente strategiche ma soggette ad azioni differenti e combinazioni di azioni è quello di fare riferimento alla vita nominale della costruzione e di definire i valori di riferimento delle azioni rispetto ad essa.
Il tema della definizione del livello di sicurezza da porre come obiettivo negli interventi sulle costruzioni esistenti è divenuto quindi di grande attualità, in particolare nell’aggiornamento delle Norme Tecniche per le Costruzioni e nelle Ordinanze e Decreti Legge associati ai piani di ricostruzione post-sisma. Innanzitutto, come chiaramente riportato nella Bozza di revisione 2012 della Norme, i dati a disposizione di chi deve valutare la sicurezza di una costruzione già realizzata, o progettare interventi, sono molto diversi rispetto al caso, più semplice, della progettazione di una nuova costruzione. Dal punto di vista dei materiali, ad esempio, la conoscenza delle proprietà meccaniche dei materiali dipende della omogeneità dei materiali stessi all’interno della costruzione e del livello di approfondimento delle indagini conoscitive, mentre per una nuova costruzione risente principalmente delle incertezze legate alla produzione e posa in opera. Lo stesso dicasi per quanto riguarda geometria e dettagli costruttivi. Normale quindi che le indagini sui materiali e la definizione dei coefficienti parziali sui materiali siano profondamente diversi per le costruzioni nuove ed esistenti. Questo elemento è stato ormai acquisito nella comunità scientifica e tecnica e rappresenta un grande avanzamento nel nostro modo di progettare.
Più complesso invece, forse, il tema della definizione del livello di azione da considerare nella progettazione, ed in particolare dell’azione sismica. È ormai accettata la classificazione delle costruzioni in quattro classi d’uso, con riferimento alle conseguenze di una interruzione di operatività o di un eventuale collasso, cui corrisponde la definizione del periodo di riferimento dell’azione sismica in funzione della vita nominale della costruzione. Più significative sono le possibili conseguenze di un collasso, più lungo il periodo di riferimento rispetto al quale valutare i valori di progetto delle azioni. Molto dibattuta, invece, la definizione del livello di sicurezza da imporre per le costruzioni esistenti. La bozza di revisione delle Norme tecniche per le Costruzioni pone al centro innanzitutto la valutazione della sicurezza della costruzione. In funzione dell’esito, individua tre possibili scenari: se l’uso della costruzione possa continuare senza interventi, oppure l’uso debba essere modificato (declassamento, cambio di destinazione e/o imposizione di limitazioni e/o cautele nell’uso), oppure sia necessario procedere ad aumentare o ripristinare la capacità portante.
Il punto di novità più importante (e più dibattuto) riguarda la puntualizzazione riguardo alla classificazione degli interventi (adeguamento alle norme per le costruzioni nuove, miglioramento, oppure riparazione / interventi locali). In particolare, la bozza di revisione delle Norme tecniche propone innanzitutto che, al fine di definire l’azione da considerare in un progetto di adeguamento, la vita nominale di una costruzione esistente sia inferiore (generalmente il 60%) di quello di una “analoga” costruzione nuova, cui corrisponde una accelerazione di ancoraggio dello spettro di risposta pari all’80-85% dell’analoga accelerazione per il progetto di una nuova costruzione. Inoltre, impone che un intervento, per essere considerato un miglioramento sismico, debba raggiungere un livello di sicurezza minimo che corrisponde ad un valore di vita nominale pari almeno alla metà di quella indicata per le costruzioni esistenti, cui corrisponde una riduzione della accelerazione di ancoraggio dello spettro di risposta pari a circa il 60% di quella da utilizzare per le nuove costruzioni. Il secondo tipo di intervento mantiene il nome di “miglioramento”, in quanto si precisa che non corrisponde a rendere adeguata la costruzione alle azioni da normativa, ma a migliorarne significativamente il comportamento rispetto allo stato antecedente. Questa “riduzione” dell’azione di progetto è considerata ormai in tutte le ordinanze per la ricostruzione post-sisma, commisurando anche i finanziamenti alla percentuale di miglioramento fino appunto alla soglia del 60%.
Le “posizioni in campo” su questo tema (ed in particolare sul primo tema, quello dell’azione per l’adeguamento sismico delle costruzioni esistenti) sono quindi ben definite. Da una parte chi ritiene che ogni sconto rispetto all’azione di progetto per le nuove costruzioni non possa essere ammesso. Dall’altra chi indica che sia proponibile, per le costruzioni esistenti, considerare azioni un poco inferiori rispetto alle nuove costruzioni, a fronte del fatto che hanno già “speso” parte della loro vita utile senza evidenziare danni o problemi strutturali significativi, e che non sono previsti interventi invasivi sulla costruzione che rendono obbligatorio l’adeguamento (sopraelevazione o ampliamento della costruzione, variazione di classe e/o destinazione d’uso, opere che modificano significativamente il sistema strutturale, nei quali casi le azioni sono le stesse delle nuove costruzioni).
Non c’è dubbio che la risposta a questo quesito non sia solo di tipo tecnico, ma anche economico e gestionale, soprattutto se prendiamo in considerazione patrimoni edilizi ingenti, ad esempio pubblici. Meglio, dal punto di vista della sicurezza della collettività, adeguare sismicamente un numero ridotto di edifici o, con un impegno economico analogo, migliorare sismicamente l’intero patrimonio edilizio? Se in questo caso, apparentemente estremo ma assolutamente ricorrente nelle discussioni tecnico-politiche, la risposta più logica appare scontata, deve essere tenuta in debito conto la preoccupazione dei “puristi” che intravedono, possiamo immaginare, nella possibilità di derogare dalle azioni di norma un possibile varco che porti a “sanatorie” o “condoni” legalizzati, con un danno nei riguardi della collettività ben evidente. Anche quesiti quali “quando una costruzione diviene esistente?” (– il giorno dopo che è stata realizzata? Subito dopo il collaudo? Ad un certo numero di anni dalla costruzione?) devono essere risolti per evitare che una potenziale norma che agevolare la messa in sicurezza più ampia possibile del nostro patrimonio edilizio apra la strada a possibili scappatoie.
Probabilmente un punto di vista per la soluzione a questo dilemma può essere più facilmente condiviso se riprendiamo quanto ricordato inizialmente, e cioè che quello di sicurezza è un concetto relativo e non assoluto, non un bollino verde o rosso attribuito al fabbricato dal tecnico. Prova ne è il fatto che quando attribuiamo ad due costruzioni del tutto analoghe ma con diverse destinazioni d’uso, classi d’uso differente automaticamente utilizziamo livelli di azione sismica differente per assicurare ad esempio, ad una costruzione con funzioni pubbliche o strategiche importanti, un livello di sicurezza superiore. In ogni caso, quale che sia la categoria con la quale si definisce l’intervento (adeguamento o miglioramento), il punto chiave è e deve sempre rimanere la valutazione della capacità sismica della costruzione e di conseguenza la sicurezza della stessa (in termini di massima accelerazione sopportabile nei riguardi dello stati limite di interesse). Ma questo approccio richiede che le scelte progettuali più importanti – quali il livello di sicurezza da assicurare - siano condivise con il committente, beneficiario ultimo della costruzione.

 

 

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