Edilizia
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Distanze degli edifici e dintorni nella legge sblocca-cantieri

Un'interessante riflessione dopo l'uscita dello Sblocca Cantieri

Lo “sblocca cantieri” è legge.

Pubblicato nero su bianco in G.U. n. 140 del 17 giugno con la legge di conversione n. 55/2019  (e poi ri-pubblicato in testo coordinato sul s.o. n. 24 della G.U n. 147 del 25 giugno 2019) per cui adesso possiamo commentarlo per quello che è e non per quello che volevamo che fosse.

(vedi articoli "Decreto Sblocca Cantieri: sulle distanze in edilizia tanto rumore per (quasi) nulla" e "Sblocca Cantieri: due suggerimenti sulle distanze tra costruzioni"

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Ci occuperemo qui solo dell’articolo 5 – quello di cui già avevamo parlato in anteprima durante l’iter di formazione – relativo (come dichiara il titolo) alle “Norme in materia di rigenerazione urbana” ma che molti professionisti (e molti commentatori) avevano inteso portasse prevalentemente deroghe alle norme in materia di distanza tra le costruzioni.

In realtà la conversione in legge porta due novità relative a finanziamenti specifici (comma 1 bis e 1 ter che si aggiungono al testo originario del decreto-legge) che però non incidono sull’assetto normativo generale che è quello che ci interessa.

Sul nuovo assetto normativo - deroghe al DM 1444/68

L’assetto normativo generale (incidente anche, ma non solo, sulle distanze) è invece oggetto dell’attenzione del primo comma che apporta modifiche all’articolo 2bis del DPR 380/01. Di questo ci occuperemo.

Alla lettera a) viene soppresso quell’imbarazzante sollecito imperativo alle regioni per l’applicazione delle facoltà consentite dall’articolo stesso; essendo una facoltà le regioni l’applicheranno se e quando vorranno.

Ma in cosa consiste davvero la possibilità di deroga ?

Sulla ristrutturazione con demolizione e ricostruzione … iper-ricostruttiva

Vediamo prima la norma imperativa contenuta nel comma 1-ter che si aggiunge all’articolo 2bis e che “consente” di effettuare la “demolizione e ricostruzione” di un edificio mantenendo le distanze preesistenti se (e solo se) sia assicurata “la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo”.

Se fosse stato scritto “con lo stesso sedime, lo stesso volume e la stessa sagoma” ci saremmo capiti meglio; di fatto sarebbe stato un ritorno alla versione originaria dell’articolo 3 del DPR 380/01 che voleva che la ristrutturazione potesse comprendere anche la demolizione e ricostruzione con la stessa sagoma e volume.

Detta invece così com’ è nel nuovo testo di legge non mancherà di dare problemi applicativi, come già abbiamo anticipato in un precedente commento, perché “coincidenza di sedime e volume” non vuol dire “stessa sagoma” e i limiti di altezza non si capisce bene a chi siano riferiti, se al volume ricostruito (che deve esservi contenuto) o al limite di applicabilità delle distanze preesistenti. (ma non torneremo oggi su questo punto).vedi articoli già citati

Come chiamare questa nuova tipologia di ristrutturazione che si inserisce - tanto per usare terminologie ormai entrate nel lessico abituale - tra quella “normale” e quella “pesante”? tra quella “conservativa” e quella “ricostruttiva”?: iper- ricostruttiva? ristretta? vincolata?  ... Chi vivrà vedrà, ma un nome dovremo pur darglielo non foss’altro per economicità e per risparmiare ogni volta quel lungo e diversificato elenco di requisiti richiesti.

Sul concetto di ristrutturazione c’è già abbastanza confusione per via di un testo di legge scritto male cui anche le interpretazioni giurisprudenziali non sono riuscite a dare compiuta coerenza.

Si tratta comunque di una norma – quella dello sblocca cantieri – che può consentire qualche certezza in più, ma non risolve tutti i problemi applicativi.

Sulla (nuova) interpretazione del DM 1444/68 in merito alle distanze 

Più puntuale è invece la disposizione del punto b-bis dell’articolo 5, che non troveremo mai scritta come integrativa del testo dell’articolo 2-bis del DPR 380/01 perché di esso non è norma integrativa ma … interpretativa. 

Quando d’ora in poi leggeremo il testo dell’articolo 9 del DM 1444/68 dovremo leggerlo alla luce di questa disposizione che si annovera dunque (non nelle nuove norme di legge, ma) nella categoria delle ”interpretazioni autentiche” che sono prerogativa dello stesso “organismo” che ha emanato la norma: nel nostro caso alla norma del decreto è sempre stata attribuita forza di legge in quanto applicativa dell’articolo 17 della legge ponte n. 765/67).

Dunque il Parlamento interpreta il Decreto Ministeriale e l’interpretazione (essendo autentica) ha evidentemente anche effetti retroattivi (si sarebbe sempre dovuta leggere così !); il che ha delle conseguenze sul passato oltre che sul presente e sul futuro.

Perché (fino all’altro ieri) la si è sempre interpretata diversamente: o, meglio, la si è sempre interpretata nel suo senso letterale. Per come era scritta e per come ancor oggi il Legislatore riconosce che sia scritta.

"Leggi il nostro speciale SBLOCCA CANTIERI 2019"

Il quale Legislatore infatti dice che il secondo e terzo comma dell’articolo 9 del DM 1444/68 devono intendersi riferiti al punto 3 del primo comma; il che vuol dire (in buona sostanza) che devono essere intesi come secondo e terzo capoverso del punto 3 del primo comma.

In altri termini l’articolo 9 è come se fosse composto da un solo comma: il primo (articolato in tre punti col punto 3 che ha tre periodi).

Il che, a dire il vero, non è una novità assoluta; il dubbio in effetti era già sorto in passato e ricordo che in una pur autorevole raccolta normativa di un quindicennio fa trovai il secondo e terzo comma scritti di seguito nel punto 3 del primo comma (come oggi lo “sblocca cantieri” ci dice che va interpretato). Ma era un refuso di stampa perché la gazzetta ufficiale del 1968 li riportava come commi separati e autonomi. (Quanto voglion dire gli errori di trascrizione !!).

Ora il Legislatore “interpreta” invece come se la stampa della gazzetta ufficiale fosse stata un errore …

È un artificio giuridico che però pare lontano da quel “clare loqui” (parlar chiaro) che dovrebbe contraddistinguere il linguaggio giuridico. Era meglio riscrivere la norma …. Ma riscrivendola sarebbe valsa per il futuro, ma non avremmo salvato il passato che oggi va anch’esso reinterpretato alla luce dell’”interpretazione autentica” !!

Avevamo forse degli scheletri nell’armadio ?

Le conseguenze (anche retroattive) della nuova interpretazione in merito distanze

La norma re-interpretata porta ora tre conseguenze. Forse volute e forse no.

La prima: È certo che la maggiorazione della distanza dei fabbricati in funzione della eventuale interposta strada vale solo nelle zone “C” (ex secondo comma) e così anche la maggiorazione della distanza oltre i dieci metri se uno dei due fabbricati è più alto fino a raggiungere l’altezza di quest’ultimo vale solo in zona “C” (ma non è già scritto nel primo capoverso del punto 3 ? il che conferma che l’interpretazione giusta era quella vecchia !).

Conseguenza (credo voluta) della nuova interpretazione è che la distanza pari al fabbricato più alto non vale più in zona “B” ove rimarrà la distanza assoluta di metri dieci (e scompare la proporzionalità all’altezza).

Il che (visto che le zone “B” sono quelle già edificate) va certamente incontro alla dichiarata finalità della “densificazione edilizia” ma pone, mi sia permesso, qualche fondata perplessità su quale sarà la “forma della città futura”. Più compatta oltre che più densa.

La seconda conseguenza (non so se voluta o no) è però anche che ora la possibilità di derogare alla distanza dei dieci metri in casi specifici tramite piano particolareggiato (comunale) è anch’essa riservata alle sole zone “C” e non più anche alle zone “B” (com’era prima quando il terzo capoverso si intendeva riferito a tutto l’articolo 9).

Per cui in zona “B” la distanza dei dieci metri vale sempre e comunque e non è superabile dal comune tramite piano particolareggiato: dovrà esserci a monte una “legge o regolamento” regionale “per specifiche aree territoriali” che lo legittimi. Il che toglie una facoltà a volte utile alla strumentazione urbanistica di dettaglio e che poteva essere saggia proprio in zone di recupero di aree già edificate.

La ricaduta sulla ristrutturazione con demolizione e ricostruzione

C’è un’altra conseguenza questa volta per entrambe le zone “B” e “C”.

Quando per la demolizione e ricostruzione con conservazione di volume e sedime (per non dire sagoma) si consente di mantenere le distanze preesistenti si sottolinea “legittimamente preesistenti”, il che vuol dire che se si tratta di edifici post ’68 la distanza dalle pareti frontistanti (già in essere) deve essere tassativamente di dieci metri … Altrimenti la distanza non è preesistente “legittimamente”.

Anche l’eventuale rilascio di licenza, concessione o permesso di costruire non garantisce la “legittimità” perché spesso le amministrazioni comunali (complice anche una diffusa e diversa interpretazione della norma) hanno consentito l’intrinseca violazione delle norme del DM 1444/68.

Ma se la distanza inferiore ai dieci metri fosse stata sanata con condono, possiamo ritenere valido un condono che ha chiuso gli occhi su di una norma a tutela della salute e salubrità dei luoghi (come è stato interpretato l’articolo 9 del DM 1444/68 ? è pur vero che il condono dell’’85 derogava alle norme igieniche (comma 19 dell’articolo 35, legge n.47/85) ma solo a quelle regolamentari e non a quelle di legge ... Il tema farà discutere.

La vera innovazione: la modifica dei parametri di densificazione edilizia

Ma torniamo al comma 1 bis aggiunto all’articolo 2 bis del DPR 380/01 che ci pare quello maggiormente orientato alla finalità dichiarata nell’articolo 5: "… concorrere a indurre una drastica riduzione del consumo di suolo …" che ripete il 10° Considerata/Ritenuta della premessa.

In realtà anch’esso precisa più che innovare.

Il comma sottolinea (e stimola alle regioni e alle province autonome di Tento e Bolzano) la facoltà di apportare modifiche agli standards urbanistici (già contenuta nel primo comma e, dunque di per sé non innovativa) ma anche ai limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti consolidati. Questa è la vera innovazione/chiarimento che non era contenuta nel primo comma dell’articolo 2 bis ove – dopo un generica affermazione di derogabilità all’intero DM 1444/68 - si precisava (e, dunque, si limitava?) la possibilità di modifica ai soli “spazi” e non agli altri parametri.

Questa è la più sostanziale apertura alla “densificazione” urbana per cui risulta oggi più evidente (ammesso che ce ne fosse davvero bisogno) che si potranno modificare i parametri degli articoli 3, 4, 5 , 7 e 8 del DM 1444/68.

E anche quelli dell’articolo 9, ma sempre e solo previa legge o regolamento regionale e non anche con piano particolareggiato comunale come era prima.

Sul punto già abbiamo visto come la Corte Costituzionale ha circoscritto l’ambito di intervento.

Titolo e contenuto dell'articolo 2bis del DPR 380/01 non concordano

Resta un’asimmetria (o forse sarebbe meglio dire un vero e proprio strabismo originario che, non so perché, non si è colta l’occasione di correggere) tra il contenuto della norma dell’articolo 2 bis che si premura di rammentare/sollecitare la modifica dei parametri edilizi di standards, densità edilizia, altezze, . e il titolo che resta (ingannevolmente) riduttivo: “Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati”. Che sono invece quelle meno derogabili.

Non è solo un fatto di stile, ma di chiarezza giuridica: quel “clare loqui” che abbiamo invocato prima.


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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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