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Il certificato di agibilità non è sinonimo di conformità edilizia: ecco perché!

Tar Milano: il rilascio del certificato di agibilità non appare idoneo ad attestare la conformità edilizia dell’immobile, considerati i diversi ambiti di operatività dei citati titoli, fondati su presupposti diversi e non sovrapponibili

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Possedere il certificato di agibilità (o SCA, segnalazione certificata d'agibilità) non equivale ad essere completamente in regola ovverosia a una piena conformità edilizia, in quanto il rilascio del certificato di agibilità non appare idoneo ad attestare la conformità edilizia dell'immobile.

E' questo, il principio di diritto - molto importante - contenuto nella sentenza 1482/2019 dello scorso 26 giugno del Tar Milano, inerente una controversia su un vecchio edificio, dichiarato agibile e abitabile dal Comune ma per in riferimento al quale, a distanza di tempo dalla conclusione dei lavori di costruzione è emersa la presenza di un soppalco, non autorizzato, per la cui regolarizzazione il ricorrente ha presentato una istanza di sanatoria. In tale richiesta veniva precisato che il soppalco era stato realizzato contestualmente alla costruzione dell’edificio, e ciò sarebbe dimostrato dalla circostanza che lo stesso forma un unico corpo con la struttura originaria, la cui rimozione inciderebbe sulla stabilità dell’immobile. Ma niente da fare: prima la Commissione edilizia in sede di parere e poi il Settore edilizia hanno respinto la richiesta di sanatoria. Da qui il ricorso al Tar del proprietario dell'immobile.

Certificato di agibilità e titolo edilizio: le differenze

Nello specifico, si evince che il certificato di agibilità non è sinonimo di conformità edilizia, poiché:

  • il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti;
  • il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, sicché i diversi piani possono convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza (Consiglio di Stato, V, 29 maggio 2018, n. 3212; T.A.R. Lazio, Roma, II bis, 4 giugno 2019, n. 7180).

In merito, infine, all’eccezione legata all’impossibilità della riduzione in pristino e del grave pregiudizio che potrebbe derivare alle parti legittime dell’immobile, va ribadito che un onere siffatto grava sulla parte privata, visto che, laddove sia accertato un abuso edilizio, deve essere motivato il ricorso alla sanzione alternativa pecuniaria e non anche l’adozione dell’ordine ripristinatorio di cui all’art. 31 del dpr 380/2001 (cfr., ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 25 maggio 2017, n. 1170); oltretutto l’eventualità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria può essere apprezzata dalla sola PA nella fase esecutiva del procedimento sanzionatorio, che è successiva e autonoma sia rispetto al diniego di sanatoria che all’ordine di demolizione (Consiglio di Stato, VI, 4 giugno 2018, n. 3371; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 gennaio 2019, n. 106; 6 agosto 2018, n. 1946).

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