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La Valutazione della Maturità Digitale

Una riflessione di Angelo Ciribini

Uno dei temi che meno appaiono dibattuti, a proposito del «BIM», è quello relativo alla valutazione della maturità digitale.

Esso, in realtà, è al centro di importanti iniziative sia a livello governativo (si pensi all’azione in corso presso il Centre for Digital Built Britain) sia a livello comunitario, oltreché è già oggetto di un mercato di servizi professionali rivolti alle organizzazioni pubbliche e private.

Per quale ragione, dunque, una tematica così indiretta, appare così prioritaria?

Per il semplice motivo che, quantunque ci si ostini a ritenere che la digitalizzazione sia inarrestabile e vantaggiosa, la sua adozione si sta rivelando più complessa e maggiormente problematica del previsto.

Ciò è accaduto, in primo luogo, poiché il suo spettro si è progressivamente dilatato, cosicché la cosiddetta «informazione» ha paradossalmente dovuto cedere il passo al «dato»: paradossalmente, in quanto la progressione canonica avrebbe dovuto vedere il secondo precedere la prima, nella direzione della «conoscenza».

Il che, peraltro, significa che nel comparto saranno necessarie conoscenze e competenze eterodosse, per certi versi, estranee a esso.

In secondo luogo, il «BIM», che nella sua accezione originaria sarebbe primariamente consistito in strumenti, ha dato la stura a metodi e a processi che promettono di ripensare radicalmente la struttura, culturale e operativa, del settore.

Esso, soprattutto, divenendo, appunto, solo una porta di accesso al più ampio fenomeno della digitalizzazione, ha certamente goduto di importanti applicazioni, ancorché piuttosto onerose, da parte della porzione e dal segmento più avanzati dei mercati, domestici e internazionali, ma, in buona sostanza, procede assai a rilento nel senso di una disseminazione capillare e sistemica.

Di questa tendenza è esemplare, in Italia, la riluttanza delle amministrazioni pubbliche, per quanto soggette a obblighi di legge, ma anche il fatto che alcuni soggetti, marginali, stiamo acquisendo lentamente una centralità.

È palese, soprattutto, che l’adozione, limitata e parziale, dei processi digitalizzati rispecchia un atteggiamento prevalentemente analogico a un approccio che, al contrario, con esso confligge.

Quali sistemi di valutazione della maturità digitale?

Si vedrà, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, quali siano i sistemi di valutazione della maturità digitale più idonei e i relativi criteri di misurazione del ritorno sugli investimenti, ma è sin da ora chiaro che occorra ripensare il modo con cui il «BIM» sia stato proposto e la modalità con cui esso possa contestualizzarsi in un ambito non solo digitale, ma anche circolare, sociale, sostenibile, all’interno, vale a dire, di categorie che stanno rimettendo in gioco i termini e le concezioni socio-economiche, partendo dalla questione etica.

Ci si trova, infatti, entro una riflessione di maggior portata, resisi gradualmente conto che la digitalizzazione della società, che passa anche attraverso gli edifici e le infrastrutture, possegga un enorme, ma inquietante, potenziale di condizionamento del vissuto degli individui, persino della conoscenza di se medesimi, a partire dal ruolo dei social media delle technology company e della uberification.

Come che sia, la sensazione, certamente superficiale, che è avvertita da chi scrive, è che, a dispetto di tutti i possibili rigidi modelli di processo sin qui immaginati e proposti, la digitalizzazione si stia sviluppando in maniera molto eterogenea, forse difficilmente comparabile, sancendo eventualmente veri e propri digital divide.

Per prima cosa, benché concernendo la parte meno eclatante del mercato, la quantità di operatori poco o nulla investiti concretamente dalla digitalizzazione rimane molto elevata, e non è agevole intuire i modi adeguati per relazionarsi con essa.

Quanto ai soggetti digitalizzati, in un modo o nell’altro, un non trascurabile ammontare ne concepisce i contenuti strumentalmente, cercando di piegare metodi e prassi, come detto, a (ir)razionalità e (il)logiche tradizionali.

Solo una parte minoritaria sembra accogliere i portati digitali in relazione a una diversa natura delle identità e dei prodotti/servizi, nel senso della riconfigurazione dei mercati.

Pare palese, perciò, che sia improbabile continuare a delineare road map lineari che vedano necessariamente evolvere tutti gli operatori secondo alcuni stadi omogenei, dato che la digitalizzazione, riflettendo la complessità dei processi reali, ne rispecchia l’articolazione.

La disponibilità di parametri di valutazione finalizzati alla cosiddetta maturità digitale è, dunque, in realtà, una emergenza prioritaria per i decisori tecnico-politici per poter governare fenomeni e tendenze in maniera efficace.

In caso contrario, il rischio sarebbe quello di assecondare una implementazione frettolosa di un universo assai imprevedibile se non dominato e regolato con attenzione.

La digitalizzazione potrebbe, infatti, difficilmente arrestarsi, ma, al contempo, mostrare spiacevoli inconvenienti, generando molta insoddisfazione.

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