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Built Environment as a Social Medium. I Limiti del «BIM» nei Nuovi Modelli di Sviluppo Immobiliare

Una riflessione di Angelo Ciribini

Nelle maggiori operazioni di sviluppo immobiliare, più o meno annoverabili all’interno della rigenerazione urbana, il ricorso sistematico alla modellazione informativa si fa sempre più sistematico.

Ciò che, tuttavia, potrebbe rivelarsi paradossalmente critico è il fatto che l’adozione dei modelli informativi, spesso relativamente poveri di dati e di informazioni alfanumerici, gestiti attraverso sistemi di gestione documentale ancora assai lontani dal fungere da ambienti di condivisione dei dati, costringa gli operatori a muoversi, sia pur digitalmente, entro paradigmi analogici.

angelo-ciribimi-bim-digitalizzazione.jpgÈ, infatti, evidente che, allorché si intenda (ri)dare vita ad aree o a distretti urbani, occorrerebbe che, stante ormai la centralità dei «comportamenti» degli occupanti, vale a dire il rilievo che l’offerta esperienziale implica, a livello individuale e comunitario, per la committenza dei cespiti immobiliari e infrastrutturali, sia necessario definire a priori modelli e strutture di dati in grado di governare, sia pure con una intelligenza distribuita e senza introdurre dispositivi di sorveglianza, la vita del nuovo insediamento.

Il rischio è che i modelli informativi, se avulsi da questo quadro più ampio, risultino involontariamente un ostacolo, non solo in quanto la loro funzione resta limitata, quanto perché, se proposti autoreferenzialmente, tendono a riproporre logiche tradizionali in cui i cespiti tangibili assumono un ruolo disconnesso dall’intento principale.

Si tratta della questione principale che è destinata a distinguere vecchi e nuovi modelli di sviluppo immobiliare, a prescindere dall’impiego intrinseco di tecnologie digitali.

La sensazione è, anzitutto, che le istanze della gestione dell’insediamento non siano realmente sempre presenti nelle fasi iniziali di avvio dell’operazione, nel senso della Maintenance, ma, ancor più delle Operations.

Più ancora, quello che è chiaro è che i processi digitalizzati attualmente in essere non raggiungono le logiche originarie della finanza immobiliare legati ai ritorni attesi e ai rischi connessi né traguardano il vissuto degli utenti prospettici.

D’altra parte, banalmente, l’adozione dei modelli informativi nella fase realizzativa degli interventi si trova ancora ai primordi, cosicché, tranne alcune sporadiche esperienze, allo sviluppatore immobiliare risulta difficoltoso comprendere appieno le dinamiche che conducono dal progetto esecutivo al come costruito.

Comunque sia, la nozione di modello, nominalmente relativa all’informazione, presente nel «BIM», per quanto necessaria, tende a nascondere la centralità dei modelli e delle strutture di dati che dovrebbero essere oggetto della progettualità del promotore immobiliare, il quale mira, come detto, naturalmente ai cespiti fisici nella loro vita utile (o più semplicemente alla loro realizzazione: circoscritta spesso solo allo shell and core), al bricks and mortar, la cui marginalità rimane contenuta, ma, come ricordato più volte, dovrebbe rivolgersi alla dimensione esistenziale dei destinatari, e ai superiori margini in essa insiti.

Si pongono, perciò, due esigenze: quella di configurare i dati attinenti alla proposta di investimento, specie se strutturati, così da permettere immediatamente ai decisori finanziari di comprendere, eventualmente in termini probabilistici, le condizioni di praticabilità della stessa; quella di strutturare i dati che riguardino le attività svolte dai fruitori potenziali delle aree soggette a sviluppo e a rigenerazione.

È palese, dunque, che ambienti dí condivisione dei dati e gemelli digitali non sono che manifestazioni puntuali di un ecosistema più vasto che ibrida dati funzionali relativi ai cespiti e dati comportamentali relativi agli utenti.

Sotto questo profilo, laddove, lo si ripete in questa sede, l’ambiente costruito diviene «dispositivo sociale» materiale più esteso dei social media immateriali, il Built Environment diventa luogo di (dis)intermediazione tra le Technology Company e gli operatori tradizionali del settore della costruzione e dell’immobiliare.

In questa prospettiva, il «BIM», pur se elemento costitutivo di una AECO-Sphere, di un Digitally Enabled Built Environment, deve essere inteso nel suo significato limitato, mentre la sfida si gioca in un quadro dilatato.

Analogamente, occorre comprendere il ruolo puntuale o sistemico delle PropTech.

Se, in conclusione, il modello di sviluppo delle Technology Company tende a promuovere una sempre una maggiore inclusione degli attori nell’ecosistema di riferimento quale fattore decisivo, è fondamentale realizzare quanto questa strategia favorisca processi aggregativi delle micro e delle piccole organizzazioni da cui è prevalentemente costituito il mercato della costruzione e dell’immobiliare e quali altri attori siano includibili nel social medium chiamato ambiente costruito.

 

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