Tar Lazio: l'esercizio del potere consiste nel semplice rilievo, non soggetto a termini o procedure particolari e comunque non rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 21-nonies della legge 241/1990 (annullamento d'ufficio del provvedimento illegittimo)
La CILA (comunicazione di inizio lavori asseverata, art.6-bis dpr 380/2001) è diversa dalla SCIA (segnalazione certificata di inizio attività): l’attività assoggettata a CILA infatti non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio.
Pertanto siamo di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di CILA) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la SCIA).
Ecco perché è molto interessante approfondire l'interessante sentenza 11155/2019 del Tar Lazio del 20 settembre scorso, che riguarda la legittimità o meno della dichiarazione di inefficacia della CILA da parte del comune.
L'oggetto del contendere è rappresentato da questa particolare 'dichiarazione' amministrativa, contro la quale viene presentato ricorso da parte del proprietario dell'immobile nel quale erano stati realizzati alcuni interventi edilizi per i quali era stata presentata una CILA, illegittima secondo il comune, che per l'effetto ne ha dichiarato l’inefficacia, disponendo la sospensione dei lavori in corso e la demolizione e il ripristino dei presunti abusi edilizi.
NB - la CILA in questione era stata presentata per avviare un intervento di restauro e risanamento conservativo volto a sanare le "irregolarità" evidenziate dal comune per violazione urbanistico-edilizia. Secondo la PA, tale CILA sarebbe illegittima in quanto inidonea a regolarizzare l’insieme delle difformità in essa contemplate.
Il punto fondamentale del ricorso è il primo: non avendo l’amministrazione provveduto entro i trenta giorni dal ricevimento della CILA, essa avrebbe potuto solamente assumere un provvedimento di autotutela nel rispetto dei requisiti formali e sostanziali di cui all’art. 21-nonies (Annullamento d'ufficio) della legge 241/1990, non esistendo nell’ordinamento la “dichiarazione di inefficacia”.
Il Tar inizia la disamina rilevando che, mentre in materia di SCIA sussiste una disciplina che postula espressamente l’applicazione dei requisiti procedurali e sostanziali di cui all’art. 21 - nonies della legge 241/1990 (arg. ex art. 19, commi 3, 4 e 6-bis della legge 241/1990), la legge non contiene disposizioni simili in ordine alla CILA. Al riguardo il Consiglio di Stato ha fornito queste importanti precisazioni (C.S. comm. spec., parere n. 1784 del 4 agosto 2016):
Nel caso di specie l’esercizio del potere consiste nel semplice rilievo, non soggetto a termini o procedure particolari e comunque non rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 21 - nonies della legge 241/1990, dell’inefficacia della CILA in vista della sospensione dei lavori e dell’adozione dei conseguenti provvedimenti repressivi.
Semplificando, si potrebbe sostenere che la CILA è una via di mezzo tra l'edilizia libera e la SCIA e ha carattere residuale, poiché applicabile agli interventi non riconducibili tra quelli elencati agli artt. 6, 10 e 22 dpr 380/2001 e riguardanti, rispettivamente, l’edilizia libera, le opere subordinate a permesso di costruire e le iniziative edilizie sottoposte a SCIA. In base, poi, alle prime pronunce giurisprudenziali, la CILA è ritenuta atto avente natura privatistica, come tale non suscettibile di autonoma impugnazione innanzi al g.a.
LA SENTENZA INTEGRALE E' DISPONIBILE IN FORMATO PDF
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