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Breve Storia degli Omini Digitali

Una riflessione del prof. Angelo Ciribini

In principio, nelle restituzioni grafiche tridimensionali dei progetti di architettura, eravamo dei profili stilizzati, un po’ oscuri, silhouette, però, piuttosto eleganti: facilmente traducibili in cartonati.

Successivamente, nelle renderizzazioni più sofisticate, siamo divenuti personaggi a tutto tondo, a colori, anche se, indubbiamente, dall’aria abbastanza stordita, replicati e clonati in mille pose e in molti luoghi.

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Siccome, tuttavia, eravamo statici, hanno iniziato a farci muovere, anche se un po’ innaturalmente e, soprattutto, giorno e notte andavamo avanti e indietro senza sosta, chissà perché.

Poiché, in effetti, il nostro girovagare inconcludente faceva sì che non ci incontrassimo mai, qualcuno ha avuto la bella pensata di inserirci in un video gioco: colla conseguenza che, questa volta, continuavamo a scontrarci.

Finalmente, algoritmi più seri ci hanno permesso di muoverci, collettivamente e individualmente, con una ragione precisa: e anche, talvolta, di fermarci per riposarci.

Quando ci hanno ficcati all’interno dei gemelli digitali, da avatar che eravamo, ci siamo sentiti davvero in una seconda vita.

Ma il passaggio decisivo è coinciso colla nostra trasformazione in tabulati: ci hanno spiegato che, in fondo, che comparissimo o meno poteva essere considerato esornativo, che preferivano sostituirci con modelli e strutture di dati.

Sulle prime, duole dirlo, eravamo disorientati, ma, in seguito, abbiamo compreso che così eravamo veramente valorizzati, che nessuno avrebbe mai più potuto affermare che potessimo essere spenti per mettere maggiormente in risalto gli spazi edificati.

Che cosa era accaduto? Che qualcuno aveva realizzato come questi famigerati gemelli digitali non fossero affatto quelle repliche immateriali esteriori dei cespiti tangibili, pur connesse a dati alfanumerici, che, al contrario, essi avessero a che fare con l’invisibile, più che con l’immateriale.

Quanti erano, allora, i gemelli digitali? Semplice, ci risposero, essi sono di tre tipi: gli algoritmi che spiegano o che prevedono i modi di funzionamento, ciò che, appunto, non si vede, delle parti dei beni immobiliari e infrastrutturali; quelli che ci profilano, ci individuano e ci prevedono sui social media, grazie ai social media; quelli che simulano le nostre interazioni naturali (e qui non è più un gioco basato sugli agenti!) con i cespiti, con cui potremo parlare, che ci riconosceranno.

Eravamo dei manichini, esornativi, siamo ora i veri protagonisti dell’ambiente costruito.

Ci sorge solo un dubbio: quando i social network incontrano il real world chi è soggetto e chi è soggetto?

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