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BIM: galassie di processi digitalizzati

Il difficile obiettivo di un AcDat, Ambiente di Condivisione dei Dati (CDE) è quello di non essere un AcDOC o DMS ma di consentire “un qualche tipo di accesso” indipendente ai singoli dati, relazionabili con un “tutto”.

A metà tra tecnologia e filosofia, tutti i concetti creati e sviluppati per sostenere l’apparato concettuale del BIM si trovano di fronte alla difficile sfida di essere, al contempo, realizzabili e sufficientemente avanzati da non diventare obsoleti in poco tempo.

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É il caso dell’AcDat, Ambiente di Condivisione dei Dati (CDE per la ISO19650, Common Data Environment), che si pone il difficile obiettivo di non essere un AcDOC o DMS (dei documenti) ma di consentire “un qualche tipo di accesso” indipendente ai singoli dati, relazionabili con un “tutto”.

Una questione di prospettiva

Il rapporto tra parte e tutto, nell’ambito delle costruzioni, è per svariate ragioni molto complesso, molte delle quali hanno la loro origine a livello industriale: una parete è, da un certo punto di vista, un oggetto che garantisce una prestazione, mentre da un altro, un sistema composto da elementi che hanno una loro logica di assemblaggio e di produzione industriale.

Potremmo dire che il rapporto tra parte e tutto ha delle analogie con una galassia, i cui sottosistemi sono legati e regolati dal molteplici fattori, alcuni dei quali nascono da livelli inferiori (la produzione industriale di un determinato componente), altri da livelli superiori (firmitas, utilitas, venustas di un ipotetico edificio).

Proseguendo con il paragone, il modo in cui pensiamo ai sistemi ACDat (CDE) e al BIM in generale ci fa pensare a un ipotetico osservatore che voglia rappresentare la nostra galassia senza porsi il problema del punto di osservazione, necessariamente vincolato al “pianeta blu”: questi potrebbe essere un pittore o un astronomo.

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Nello stesso modo, rischiamo di continuare a pensare al BIM come a un insieme di file, (ognuno geloso del suo, tra l’altro), pensando che l’insieme di quei file corrisponda necessariamente al “tutto”: da qui la semplificazione procede e genera nella pratica piattaforme Cloud che fanno del semplice Upload di un file il loro processo chiave, e da queste non possiamo aspettarci “comportamenti” virtuosi che sappiano sfruttare le potenzialità del singolo dato.

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Purtroppo questo tipo di piattaforme risulta già essere obsoleto e poco convincente, perché legate ad una prospettiva “interna”, troppo vicina al problema.

Questo perchè, di fronte a un concetto come il BIM, che nasceva per essere olistico, totalizzante, ognuno di noi ha avuto modo di approfondire con i mezzi che aveva a disposizione e le conclusioni sono state le più diverse.

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L’unica prospettiva valida è quella esterna: questa, fuori dai processi, è maggiormente abilitata a comprendere che “forma” debba avere il tutto.

Ma che forma deve avere questa galassia?

La storia delle osservazioni astronomiche nasce lontano con limitati cataloghi di stelle ottenuti grazie all’ingegno di Ipparco, cataloghi che grazie a Galileo e al telescopio si sono notevolmente ampliati, fino ai satelliti Hipparcos (ESA 1989) e Gaia (ESA 2013) che si sono posti crescenti ambiziosi obiettivi e che stanno in questi anni regalando la più grande mole di dati su miliardi di stelle e quasar (galassie lontane).

Ora, tornando sulla terra e a qualcosa di ben meno complicato: noi abbiamo la possibilità di disegnarlo, il nostro universo, prima di doverlo discretizzare in singoli valori.

Abbiamo la possibilità di identificare ciò che caratterizza i nostri manufatti e renderlo Dato. 

Non è detto che la strada giusta sia il database strutturato, univoco e vincolante che alcune schematizzazioni ci hanno convinto ad adottare in questi anni: a livello tecnologico è possibile implementare sistemi che lavorino come ecosistemi adattivi, captativi, che si autoregolino senza troppi schemi prestabiliti.

D’altra parte, vi sono sicuramente alcuni ostacoli dati dall’interpretazione e dalla semantica, che ci hanno portato inevitabilmente a pensare che la strutturazione rigida dei dati fosse l’unica strada percorribile.

Dovremmo quindi fare un passo indietro e chiederci: che cos’è un dato?

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Negli altri settori, sicuramente più avanti dal punto di vista digitale ed informatico, in questi anni abbiamo potuto osservare una metamorfosi, un lieve allontanamento da una logica di dato strutturato, di database, verso forme ibride utili a superare la contraddizione con i dati non-strutturati i quali, che lo si voglia o no, sono in crescita vertiginosa: pensiamo alle immagini, a come vengono gestite ed elaborate tramite intelligenza artificiale (vedi a titolo di esempio Google Photo) per fornire un servizio all’utente ma anche e soprattutto accrescere le potenzialità dello strumento stesso.

Questa metamorfosi ha portato verso nuovi orizzonti dove i dati semi-strutturati la fanno da padroni: la sfida sta quindi nel cogliere la sfumatura, capire come possiamo creare valore da dati che pervengono in forma mista, e riuscire a orientarci.

Se l’AcDat è, nel nostro settore, lo strumento incaricato ad essere il punto di osservazione privilegiato va predisposto al tempo t0, sulla base di una filosofia condivisa tra tutte gli attori coinvolti e che permetta via via ad ognuno di riempire la propria porzione di dati. 

Questa visione dell’asset di dati dinamico ci svincola dai vecchi modelli di silos che spesso rappresentano il limite alla collaboratività. Basti pensare al concetto “nome di un parametro”, di elaborato, di documento e, alle volte, anche di modello BIM.  

Occorre ragionare in termini di dato che, in sè stesso, può essere la base di analisi o visualizzazioni secondo ampi punti di vista. 

A nostro avviso questo tipo di concezione è assolutamente coerente con quanto schematizzato nella ISO 19650: svincola il dato dal container, consentendo, almeno in linea teorica l’unicità del dato, “Santo Graal” mai raggiunto da questi anni di grande popolarità del BIM a causa dell’abitudine di ricondurre tutto a una gerarchia di cartelle che oggi potrebbe non essere più necessaria, diventando solo un “attributo”, un modo di mostrare ad ogni utente lo stesso oggetto secondo una logica personalizzata.

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Ad oggi, sono poche le piattaforme che vanno in questa direzione. 

Ma c’è un problema… o forse no?

Questo alto grado di granularità e precisione sul singolo dato, risulta per ora perseguibile (quasi) solamente rimanendo all’interno di un unico brand, di un unico set di piattaforme del medesimo produttore, e (quasi) solo quando questi operano in connessione con le applicazioni proprietarie.

Da anni si discute di come il settore delle costruzioni sia chiamato a colmare il gap della collaborazione nei confronti dei processi industriali e manifatturieri.

Nella cultura industriale alcune precise scelte sono state fatte da tempo, basti pensare ai concetti di “qualità totale” e “zero difetti”. 

Ma proprio da queste esperienze possiamo imparare che un eccessivo focalizzarsi sul processo rischia di non tener conto della frammentazione della nostre filiere e delle condizioni al contorno di ogni progetto.

E’ quindi importante concentrare gli sforzi al contenuto e al prodotto finale: un ambiente collaborativo che favorisca lo sforzo collettivo (e l’entusiasmo generato dall’obiettivo) basato sulla condivisione e comprensione dei dati, può essere la vera e propria base per la generazione di una vera qualità.