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Pensieri «Disordinati» sulla Digital & Social Economy in the Built Environment

Una riflessione di Angelo Ciribini

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Il ruolo dell'Ambiente Costruito nella Digital & Social Economy

Digital & Social Economy in the Built Environment è il tema a cui mi sto dedicando principalmente, tema che sta emergendo con chiarezza in molti ambiti differenti.

È chiaro, infatti, che le economie capitaliste occidentali, sulla base di una nozione di sostenibilità che presenta numerose implicazioni sociali (si pensi all'inclusione), oltre che ambientali (la decarbonizzazione, in primo luogo), abilitate da processi governati da dati numerici, si stiano sempre più orientando verso questo scenario, nel quale l'ambiente costruito, l'espressione con cui si ridefinisce il settore tradizionale della costruzione e dell'immobiliare, nella sua accezione allargata, è destinato a giocare un ruolo cruciale, non solo, come vedremo, per le sue attuali implicazioni di contribuzione negativa.

Milano, del resto, nella sua straordinaria affermazione sul proscenio nazionale all'interno della competizione internazionale tra agglomerati urbani, proprio su questi due aspetti appare, ad esempio, soffrire alcune criticità non irrilevanti.

Per questa ragione, l'ambiente costruito può essere forse la nuova chiave di lettura con cui interpretare il cambio di paradigma che potrebbe caratterizzare il nostro settore, così come sta avvenendo per altri comparti, sia pure con notevole lentezza, poiché la sostenibilità mette in discussione per il mercato, in parte, la natura dei benefici ottenibili e l'identità dei loro destinatari, tra la proprietà delle società e il loro azionariato.

La centralità delle istanze circolari, ambientali e sociali, che palesemente è comune a molti settori, vede, pertanto il settore della costruzione e dell'immobiliare come luogo privilegiato e decisivo, tanto che i Social Impact, nelle esperienze più avanzate, sembrano essere l'oggetto degli Outcome-Based Contract.

L'interrogativo primario, o uno dei principali, che riguarda oggi il nostro settore concerne la valutazione dell'influenza che su di esso possa avere la digitalizzazione, alla luce di questo orizzonte caratterizzato, tra gli altri, dal cambiamento climatico come icona delle categorie della collaborazione e della condivisione, che, non per nulla, nominalmente, figurano, con significati peculiari, anche nel «BIM».

In realtà, se si guarda sia ai suoi usi sociali sia a quello produttivi, la digitalizzazione, anzitutto, ha permesso una sempre crescente e immediata connessione delle persone, attive sui Social Network e dotate di Mobile Device, tra loro e di esse con altre entità.

D'altra parte, si tratta delle stesse persone, identificabili e tracciabili nelle piattaforme digitali, che occupano gli edifici destinati alla residenza e al lavoro e che utilizzano le infrastrutture della mobilità e della fornitura, cosicché si prospetta un contesto che dovrà divenire sempre più interoperabile e sincronizzato tra la dimensione del Social, quella del Geospatial e quella del Built Asset, poiché i cespiti immobiliari e infrastrutturali saranno sempre più in grado di «dialogare» con i Social Network e con gli esseri umani che li frequentano nella duplice dimensione fisica e digitale, nella loro residenzialità così come nella propria mobilità: fisica, sociale, anagrafica.

Valore dell'ambiente costruito consiste nella generazione di valore

Negli auspici, sotto questo punto di vista, le piattaforme digitali dovrebbero incentivare gli impatti sociali positivi, propri del collettivismo, favorendo l'economia collaborativa.

Questa è la versione, per così dire, apollinea della digitalizzazione della società e dell'economia che sarebbe del tutto coerente o complementare con le questioni evocate dal Green Deal, nella direzione di generare valore dall'ambiente costruito, invece che solo di estrarne dai social media, configurando nuovi modelli organizzativi.

Si potrebbe dire, dunque, che il valore dell'ambiente costruito consista nella generazione di valore, per gli individui e per la collettività, nel senso che la traslazione della dimensione virtuale nel mondo reale ne attenui i risvolti negativi.

Al tempo stesso, le modalità con cui tali relazioni nello spazio digitale dei network, in attesa di quello fisico dei distretti urbani e delle reti infrastrutturali interconnesse, si instaurano divengono sempre più tracciabili, cosicché del comportamento e della prestazione di ciascuna persona e di ogni entità sia possibile trarne un profilo dettagliato, attraverso il quale, a partire dalla comunicazione pubblicitaria, sia immaginabile esercitare una previsione e, ancor meglio, o peggio, un condizionamento.

È questa, secondo l'interpretazione della digitalizzazione che ne enfatizza la natura ambigua, la cosiddetta economia della sorveglianza che, comunque, essendo caratterizzata da piattaforme digitali di disintermediazione, sconvolge gli assetti consolidati dei mercati, tende a creare monopolî ed oligopolî, precarizza le condizioni di lavoro.

Ciò che più conta per i nostri scopi si deve, però, al fatto che le piattaforme digitali, fondate sugli effetti estensivi provocati dalle reti che esse costituiscono, stiano dando origine a paradigmi legati alla piattaformizzazione dei settori economici, oggetto di adozione anche per la produzione, la commercializzazione e la logistica anche nel nostro settore, così come in molti altri che offrono e scambiano entità tangibili, non solo prodotti immateriali, culturali, finanziari o di altra natura.

L'insorgere di piattaforme digitali, sia pure eterogenee, sta, dunque, supportando la produzione di dati, nelle forme proprie della digitalizzazione, che è, infatti, aumentata esponenzialmente negli ultimi anni, anche nel settore della costruzione e dell'immobiliare, facendo sì che sorgesse l'esigenza di sfruttarne il più possibile le potenzialità.

Ciò riguarda, in particolare, i dati non strutturati e, al limite, i dati semi strutturati.

La preoccupazione di perseguire tale finalità è palese da parte dei produttori di componenti e di sistemi edili e impiantistici, e delle loro associazioni a livello comunitario e continentale, produttori tesi a riconfigurare le catene di forniture.

Tale intenzione è comune ad altri comparti, che paiono avere già trovato il modo di conseguirla.

Il che dovrebbe suggerire la necessità di accostare alla istituzione di piattaforme digitali pubbliche e istituzionali, politiche o strategie industriali consapevoli della posta in gioco, cioè la rivisitazione del settore e del mercato, non già semplicemente il suo consolidamento nelle vesti attuali.

Leggi anche: La Questione (Politica) della Piattaforma Digitale: Quali Framework?

Nella realtà, tuttavia, allo stato attuale, mi pare che la aspirazione incentrata sulle web ontology and semantics coesista con quella, con essa non proprio convergente, di trovare convenzioni consensuali che permettano di originare prevalentemente dati strutturati.

Le norme EN ISO 23386 ed EN ISO 23387, come indicato anche dai contenuti della iniziativa denominata DSCiBE, e lo CE Smart Marking, ne costituiscono la chiave di volta, non dimenticando che nei repertori dei prodotti, dei componenti e dei sistemi per l'edilizia (residenziale) figureranno sempre oggetti sensorizzati nonché gadget mobili, dagli elettrodomestici agli assistenti vocali, regolati da Data Dictionary e dai loro gestori.

Analogo, correlato, intento traspare dalla rivisitazione della nozione di ambiente di condivisione dei dati (CDE o AcDat), dispositivo che connoterà sempre più organizzazioni e commesse come ecosistema digitale: di collaborazione e ... di sorveglianza.

Questa tematica, in effetti, non è circoscritta a questi ambiti, ma rivela forse un confronto generazionale o, comunque, un passaggio trasformativo rilevante.

Dalla vecchia «WBS» al nuovo «CDE»: gli sviluppi della digitalizzazione negli ultimi 15 anni

Se volessimo, in effetti, scrivere degli ultimi dieci o venti anni, ovvero più correttamente, a proposito degli ultimi tre lustri, sulla digitalizzazione del settore, senza preoccupazione di sorta sul rigore di ciò che argomentiamo, potremmo, anzitutto, provare a ricordare, dal punto di vista disciplinare della Produzione Edilizia, come gli argomenti trainanti, sotto il profilo dei processi, potessero essere ascrivibili al Quality Management e al Project Management o, in maniera più circoscritta, alla verifica e validazione dei progetti oppure alle tecniche reticolari di programmazione probabilistica.

In definitiva, essi si riferivano al sostrato culturale che era proprio della prima generazione della cultura industriale nel settore, risalente ai Gloriosi Trenta, contaminata dalla crisi del determinismo e dall'avanzata della complessità.

I temi legati al digitale erano assai marginali, tendenzialmente legati al «CAD» e a una serie di strumenti «informatici» dedicati, ad esempio, alla preventivazione o alla programmazione dei lavori.

D'altra parte, l'introduzione in termini diffusi del web risale ai primi anni del nuovo secolo, la fondazione di Google al 1998, la comparsa dell'iPhone al 2007, la nascita di Facebook al 2004, e così via.

Questo sforzo riflessivo, intenzionalmente privo di sistematicità, aiuta, però, forse a comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando, nella misura in cui, almeno in Italia, sino al 2007 il mercato della costruzione abbia vissuto probabilmente il suo periodo migliore.

Nei primi anni Duemila, d'altronde, il «BIM» iniziava a essere riconoscibile in quanto tale, ma non si può certo affermare che, nel nostro Paese, esso godesse di grande popolarità.

A che cosa serve questo esercizio, affetto, peraltro, da una memoria labile, la mia, che stenta ad attribuire la necessaria profondità agli avvenimenti?

A cercare di comprendere quali siano stati, in fondo, i temi invarianti, giunti sino ai nostri giorni, e in che cosa davvero possiamo dirci differenti da allora.

Per prima cosa, argomenti come la gestione della commessa e della qualità, due temi interconnessi, il primo, più recentemente riconosciuto, in un modo più rigoroso o meno (più frequentemente), l'altro, da tempo risolto nella più grande banalizzazione, dimostrano come l'istanza, insoddisfatta, di razionalizzare e di ottimizzare i processi provenga da lontano e sia rimasta tale.

Incoerenze, non conformità, ritardi, sprechi, estracosti, sono tutti aspetti critici a quel tempo ben presenti che si immaginava, e si immagina, di poter affrontare attraverso la formalizzazione di sistemi integrati, previsionali, predittivi, regolatori, basati su monitoraggi, controlli e visite ispettive.

In quel mondo, che è ancora, in gran parte, il nostro universo concettuale, i procedimenti analogici erano preponderanti e l'obiettivo di correggere e di rettificare le problematiche appariva come estremamente improbo, in presenza, peraltro, di un settore che non conosceva, originariamente, la parola «crisi» e nel quale i termini «innovazione» e «trasformazione» non erano così necessitati.

Da un punto di vista fattuale, sarebbe assurdo negare che, proprio dalla seconda metà degli Anni Duemila, il mercato abbia subito una profonda rivisitazione negli oggetti della propria offerta, ma anche nella identità di molti dei protagonisti societari del tempo e nell'anagrafe dei loro titolari, come testimoniano le «classifiche».

Eppure, forte è la sensazione che la transizione, nel settore, si desideri che non abbia mai conclusione, sperando che le scelte non si debbano operare, ipostatizzando passato e futuro in una attesa, in un vuoto, programmaticamente senza fine.

La transizione, nel caso migliore, relativa al settore, si spera che si imponga da sola conducendo a esiti per cui i beneficiari e i penalizzati non debbano attribuirsi responsabilità per l'accaduto.

È come se non si volesse pagare un prezzo ulteriore alla crescita, oltre a quello già dato in pegno alla recessione.

In che cosa, perciò, realmente, gli apparati mentali, i modi di pensare, oltreché le prassi, dei soggetti sono autenticamente mutati?

Certo le tecnologie digitali, forti e deboli, pur passibili di notevoli sviluppi, sono straordinariamente mutate, consentendo, nei casi migliori, di ottenere grandi risultati, o comunque, esiti in precedenza impensabili.

Esse, soprattutto, ci hanno costretto a erigere un corpus metodologico imponente, anche se talora confuso o contraddittorio, oltre a un gergo altamente specialistico, talvolta incomprensibile.

Iniziamo, in effetti, ora a trarre i primi vantaggi da una gestione digitale, nel senso contemporaneo, dei documenti e, accanto al BIM, letterariamente, altri acronimi o parole usiamo senza eccessiva preoccupazione: Additive Manufacturing, AI, Alliancing, AR, Automation, Big Data, BI, Blockchain, Collaborative, Cognitive, Cobot, DL, Digital Twin, Generative, ML, Neuroscience, IoT, Responsive, Robotics e molti, troppi, altri.

In ogni momento, qualsiasi terminologia inedita desta un minimo stupore, per essere rapidamente assimilata.

Dalla vecchia «WBS» al nuovo «CDE» tutto è menzionato con disinvoltura, tutto, in fondo, sembra essere ormai accaduto, ormai saturato.

Di là di una adozione e applicazione, tendenzialmente elitaria delle best practice, se si guarda ai valori assoluti del mercato, quanto veramente abbiamo preso congedo dall'analogicità e dal documento?

Credo piuttosto poco: la qual cosa non deve scandalizzare, anzi, risulta affatto normale e comprensibile.

Ci dobbiamo, però, interrogare sull'opportunità di consumare troppo frettolosamente nozioni e fenomeni che, in realtà, posseggono implicazioni profonde, promettono realmente cambi di paradigma, salti epistemologici, innovazioni radicali, rivolgimenti identitari.

La centralità della digitalizzazione e del dato induce a ritenere che la mia generazione, la generazione di coloro che hanno salutato con entusiasmo il suo avvento e che ne hanno propiziato la popolarità, non possa, infine, detenerne le chiavi.

Non lo possa, nel nostro settore, anagraficamente, ma forse neppure culturalmente.

Ciò che abbiamo scoperchiato è un vaso che non ci appartiene, ma che possiamo solo continuare ad aprire e a indagare, ovvero a sperimentare.

A dispetto del fatto che molti approcci e molte tecnologie nell'ambito dell'ingegneria dell'informazione e della comunicazione siano, nelle ricerche di base e nelle tecnologie sul terreno, già molto oltre il nostro pensiero disciplinare, rigido e strutturato, non sarà un esercizio facile per molti della mia generazione (non per tutti) rifuggire da questi schematismi e da queste tassonomie, per quanto si possano menzionare, ad esempio, le relazioni, le ontologie e le semantiche.

Non sono nemmeno sicuro che l'emulazione di settori «duri» come è naturalmente il nostro, quali quelli relativi all'Autoveicolo oppure all'Aerospazio sia convincente e proficua.

Ritengo, però, che, se anche ci astraessimo un poco dalla digitalizzazione, ma lo stesso varrebbe per tutto quello che abbia a che fare colla circolarità, colla efficienza energetica, colla resilienza, con la sostenibilità, col cambiamento climatico, colla decarbonizzazione, coll'innovazione e l'impatto sociale, con il LCA, se cercassimo di ignorarne l'esistenza, se tentassimo di ritornare ai primi Anni del nuovo millennio, ciò che balzerebbe all'attenzione sarebbe una traslazione, uno slittamento, sia pure embrionale, verso nozioni, di per sé «immateriali», che attengono inizialmente alla prestazionalità dei cespiti, ma che pertengono sempre più alla centralità dell'utente.

Nei casi eccellenti di Green&Digital molto si realizza e si gestisce meglio di un tempo, pur appartenendo a quel momento storico, ma, in alcuni casi, iniziamo a capire che questa nuova dimensione dell'ambiente costruito, abilitata da tutte le categorie enumerate, sia davvero un'altra cosa.

Nel continuum tra ecosistema digitale e mondo reale, tra realtà materiale e immateriale, tra prodotto e servizio, tra detenzione e consumo, tra norma e comportamento, risiede forse la svolta vera e propria.

Molto si è detto, infatti, sulle soluzioni puntuali, dalla strada ad assetto variabile all'edificio a struttura dinamica, sottolineando gli aspetti eclatanti di temi parziali, ma laddove, come rammentato ripetutamente, si metta a fuoco un quadro complessivo, impostato su esperienze e relazioni dei cittadini/utenti contrattualmente definibili, il fine ultimo di un edificio o di una infrastruttura sembra assai lontano da quello attuale.

Non è facile credere che questa prospettiva possa avverarsi.

Comprenderla, formalizzarla e promuoverla sarà l'ultimo lascito, e l'ultimo sforzo, della mia generazione.