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La Co-Autorialità del Committente e il Dovere di Autore dell'Architetto

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Uno degli esiti più interessanti emersi dal seminario dedicato al diritto di autore e al BIM che si è tenuto il 21 Gennaio 2020 presso l'Ordine degli Architetti e la Fondazione degli Architetti di Milano riguarda, a prescindere dalla tutela stretta della proprietà intellettuale, la co-autorialità del committente.

La sede del dibattito è apparsa particolarmente idonea, nella misura in cui il mercato professionale a Milano assume sempre più connotazioni internazionali, a iniziare dalla natura degli investitori, aprendo, dunque, alla possibilità di ripensare i modelli organizzativi e magari anche alcuni tratti identitari della professione.

Il tema ha preso, invero, avvio dalla constatazione che molto spesso le richieste della committenza, pubblica e, ancor più privata, sulla digitalizzazione, sul «BIM», fossero quanto mai generiche e indefinite. Il che, in particolare, mette in difficoltà, anzitutto, gli organismi professionali meglio attrezzati in argomento, ma impone un ruolo attivo a livello ordinistico di chiarificazione preventiva, rispetto ai potenziali futuri contenziosi, nei confronti delle (contro) committenti.

Per questa ragione, urgono tavoli territoriali di dialogo tra i principali soggetti coinvolti in causa o, meglio, tra le loro rappresentanze.

Che ciò emerge, in argomento, dalla normativa internazionale e sovranazionale della serie UNI EN ISO 19650 con maggiore originalità è, come noto, nonché come in queste righe spesso trattato, la centralità degli OIR (Organizational Information Requirements) e degli AIR (Asset Information Requirements), documenti che, nella maggior parte dei casi, resteranno riservatamente all'interno del processo committente che, tramite i PIR (Project Information Requirements), giunge, in termini di evidenza esterna o pubblica, agli EIR (Exchange Information Requirements).

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La letteratura e la prassi, specie in riferimento ai primi, sono piuttosto scarse (per i secondi la norma UNI EN ISO 19650-3 fornisce molte delucidazioni), ma è chiaro che il primo obiettivo dei requisiti (non solo informativi) di carattere organizzativo appartiene alla dimensione metaprogettuale che concerne il programma funzionale e spaziale di una struttura professionale di committenza, non solo limitata forzatamente alla specifica commessa, come accade per lo sviluppo immobiliare residenziale e terziario, per le attività produttive, per la sanità, per la grande distribuzione organizzata, per i servizi ricettivi e ristorativi, per i servizi cultuali, e così via.

Co-autorialità del committente nel processo BIM

La prima questione che sorge attiene al grado di dettaglio computazionale e al livello di simulazione che tali requisiti possano raggiungere e con quali modalità digitali possano essere espressi, tanto che verrebbe da immaginarmi livelli di fabbisogno informativo di committenza da dipanarsi lungo l'iter inerente al processo di briefing.

Se, infatti, per alcuni casi, si possono immaginare strutture tabellari analitiche, numeriche e combinatoriali, ad esempio, tramite computational room data sheet, e diagrammi relazionali corrispondenti, associati a dotazioni previste di dispositivi mobili e di dotazioni organiche di risorse umane, sarà, invece, possibile, in altre circostanze, supporre che il committente possa mettere a disposizione dei fornitori dei servizi di progettazione alcune simulazioni dinamiche sofisticate.

Alcune soluzioni generative di distribuzione funzionale spaziale attualmente disponibili sul mercato, pur con molte limitazioni, testimoniano, in effetti, la praticabilità di questa chance.

Tutto ciò, di per se stesso, non è forse una novità assoluta, specialmente nella prima versione descritta, ma è chiaro che, per i committenti più avanzati, si tratta di una formulazione di carattere computazionale molto esigente che permette di instaurare procedure di verifica e di controllo della conformità piuttosto inedite e stringenti.

In particolare, esita lentamente la richiesta da parte del committente, ma, ancor prima, la provvista, di modelli e di strutture di dati.

Ovviamente, è necessario comprendere quale possa essere il grado di generalizzazione di un approccio così particolareggiato, che possa, appunto, presupporre toni di creatività, di ingenio, di originalità, da parte della committenza professionale.

La sequenza classica che conduce dagli OIR ai PIR è, nella sua accezione originaria, piuttosto legata al trasferimento dei requisiti informativi inerenti al programma delle attività che il committente intende espletare attraverso il contenitore, il cespite, peraltro, sempre più sensorizzato e interconnesso.

Di conseguenza, la relazione preferenziale che si instaura riguarda le componenti spaziali più prossime ai componenti, edilizi e impiantistici, tangibili che, a seguito dei Requirements e degli Information Requirements, inizieranno a dare forma spaziale al progetto, spesso vi colato dal costruito.

Il fatto, però, che il metaprogetto e il capitolato informativo discendano da un programma di committenza in grado di simulare più direttamente flussi e comportamenti degli utenti, grazie a strumenti digitali informati da discipline come le neuroscienze o la psicologia cognitiva, impone di domandarsi sino a che punto esse siano formalizzabili, specie in termini numerici, digitali, ovvero sino a che punto esse possano andare oltre tale dimensione e analisi numerica.

Se, infatti, da un lato, la tendenza perseguita pare essere quella di fornire indicazioni computazionali espresse attraverso precisi protocolli, in taluni casi governati attraverso forme di intelligenza artificiale (ad esempio, per quanto riguarda la progettazione sartoriale e adattiva degli spazi di lavoro), sotto un altro profilo, occorre stabilire quanto valide possano essere le metriche che presiedono alla valutazione della relazione e dell'esperienza che, come molti altri temi della era presente, si muovono nell'ambito ambiguo dell'intervallo tra il benessere, la soddisfazione e la produttività dei fruitori, degli occupanti, degli utenti.

Più che decidere, di conseguenza, in quale misura il committente possa essere considerato, anche giuridicamente, co-autore del progetto e dell'opera di architettura (due categorie, del resto, distinguibili), è necessario comprendere quale sia la natura, o meglio, l'oggetto di questa ideazione.

Non è sufficiente, infatti, affermare che debba essere il committente il soggetto centrale della progettazione (in realtà, ciò che potrebbe generare valore dovrebbe essere, piuttosto, la sua dialettica con l'architetto e con i suoi consulenti tecnici), perché l'interrogativo riguarda il ruolo dello spazio come medium tra la concezione dell'edificio (e, al limite, dell'infrastruttura) e quella dei servizi che esso dovrà non più solo «ospitare», bensì anche «veicolare».

Se oggi, come si è evinto dal seminario milanese, per l'architetto, il «BIM» diviene non solo dimensione obbligata (dal mercato assai più che non per la legge), ma pure occasione per far valere la propria natura «collaborativa», nel senso di attore capace delle sintesi, degli olismi, sottesi alla digitalizzazione, la collaborazione appare sempre più declinata in termini di relazione (si pensi al co-housing e al co-working) e di interazione (evidente nell'interazione tra individuo e cespite).

La focalizzazione, perciò, si sposta verso l'essenza delle richieste, assolutamente non solo informative, ma anche contenutistiche, che un committente digitale possa indirizzare ai propri architetti, ai propri fornitori di servizi di architettura (e di ingegneria).

Come già si constata, a titolo esemplificativo, a proposito del requisito relativo alla flessibilità degli spazi, la scommessa riguarderà la transizione dai documenti (il brief e gli exchange information requirements) a strutture e a modelli: di dati, probabilmente, molto più che non di informazioni.

D'altra parte, la eventualità che l'oggetto del disciplinare di incarico possa vertere sempre più frequentemente, computazionalmente, anche sulle prestazioni, individuali e collettive, attese e conseguite, degli utenti nella loro occupancy si verifica allorché la nozione di sostenibilità, oltre al cambiamento climatico si estenda all'innovazione sociale, un tema certo non estraneo alla cultura dell'architetto, rivelando parecchio della multidimensionalità della transizione digitale.

A questo proposito si dovrebbe riconoscere che la «validazione» del progetto assumerebbe la sua forma propria, vale a dire dipendente dalla valutazione post-occupativi del cespite ideato.

L'architetto che oggi, a Milano (si dovrebbe forse dire a «Milano, Italia»), si pone giustamente il problema, nel caso si ritenga attrezzato a rispondere alle richieste del committente «in BIM», di illustrare a quest'ultimo i contenuti di ciò che «sinteticamente» gli stia richiedendo, dovrebbe, tuttavia, pertanto, anche acquisire consapevolezza che questo «formato», a prescindere dalla dimensione e dalla complessità dell'incarico, implicherà un suo coinvolgimento assai duraturo dopo la conclusione dei lavori, nel momento nel quale l'oggetto contrattuale, di fatto parzialmente «imprenditivo», riguarda lo spazio, materiale e immateriale, virtualmente, in parte, reale, della esperienza dell'utente.

Per rispondere di tali obblighi servirà un business model adeguato.