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I costi sostenuti per i professionisti troppo cari sono indeducibili

Cassazione: le società non possono dedurre i costi sostenuti per i professionisti se sono troppo alti e soprattutto ben al di sopra dei massimi tariffari

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Un'azienda o una società che, a parere dell'Agenzia delle Entrate, ha sostenuto spese troppo alte per pagare un professionista, non può dedurre i costi sostenuti.

La portata dell'ordinanza n.3414/2020 dello scorso 12 febbraio della Corte di Cassazione ha portata generale e piuttosto importante, visto che nel caso specifico il professionista fa anche parte della compagine sociale della SRL stessa. Si parla, quindi, di congruità delle spese: è tale, per la Corte suprema, il rapporto tra lo specifico atto d'acquisto di un diritto o una utilità con la decurtazione.

Il ricorso

La società denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo d'appello relativo alla violazione degli artt. 13 e 19 del dpr 633/1972 per non aver il Fisco riconosciuto la detraibilità dell'Iva sul compenso professionale riconosciuto al professionista (nel caso di specie, un ragioniere) sul presupposto della non congruità dei corrispettivi, in lesione del principio di neutralità dell'imposta. 

L'antieconomocità della parcella professionale

Nell'ambito delle imposte sui redditi, spiega la Cassazione, la valutazione di antieconomicità - ossia dell'evidente incongruità dell'operazione - legittima e fonda il potere dell'Amministrazione finanziaria di accertamento ex art. 39, primo comma, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973 (v. Cass. n. 9084 del 07/04/2017; Cass. n. 26036 del 30/12/2015), in base al principio secondo cui chiunque svolga un'attività economica dovrebbe, secondo l'id quod plerumque accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti, sicché le condotte improntate all'eccessività di componenti negativi o all'immotivata compressione di componenti positivi di reddito sono rivelatrici di un occultamento di capacità contributiva e la spesa, in realtà, non trova giustificazione nell'esercizio dell'attività d'impresa.

Ne deriva che è configurabile un nesso tra i due giudizi su un piano strettamente probatorio: la dimostrata sproporzione assume valore sintomatico, di indice rivelatore, in ordine al fatto che il rapporto in cui il costo si inserisce è diverso ed estraneo all'attività d'impresa, ossia che l'atto, in realtà, non è correlato alla produzione ma assolve ad altre finalità e, pertanto, il requisito dell'inerenza è inesistente. 

Per questo, la motivazione resa dalla CTR Milano è dunque corretta dal momento che i giudici non si sono limitati a valutare l'incongruità dell'operazione, ma, con accertamento in fatto, ha apprezzato che essa era macroscopicamente antieconomica partendo dall'incasso percepito dalla vendita del complesso immobiliare, euro 5.528.088,25, sono stati detratti i costi sostenuti per l'operazione ... pari a complessivi euro 4.324.280,27, nonché il compenso versato al...(come detto, euro 1.168.000). La differenza ottenuta di euro 35.807,98 è effettivamente irrisoria se confrontato con l'intera operazione immobiliare ed appare palesemente antieconomica»).

Non solo: la CTR ha anche considerato, per comparazione, i corrispettivi che sarebbero spettati se fosse stata applicata la tariffa professionale che sarebbe ammontata, con applicazione dei massimi tariffari, «a 84.329,00, oltre Iva», in modo da sottolineare che «è evidente il divario, ingiustificabile con quanto pattuito fra le parti».

Resta la problematica, in ogni caso, inerente al fatto che, per svariate professioni, come ad esempio quelle tecniche, non esiste più una tariffa, ma solo dei parametri.

Ma la conclusione può avere un'interesse di carattere generale in quanto, in conclusione, «l'operazione economica ... di fatto non ha portato alcun beneficio alla società», da cui la fondatezza della ripresa per carenza di inerenza del compenso, che, nella sua concreta determinazione, era evidentemente diretto, invece, a realizzare «una distribuzione indiretta di utili» allo stesso professionista quale «socio e amministratore della società» (tra l'altro "a ristretta base familiare"). 

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