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I costi della mancata sicurezza

I costi della mancata sicurezza sono quelli derivanti dalla normativa (sanzioni), quelli invisibili e quelli sociali

Le aziende conoscono bene quali siano i costi per la sicurezza. Siamo sicuri che conoscano altrettanto bene quelli derivanti dalla mancata sicurezza?
Di seguito un breve riepilogo di tutti i costi previsti da normativa (sanzioni), quelli invisibili e quelli sociali 

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La sicurezza in cifre: il quadro dell'Inail

A poca distanza dalla pubblicazione della consueta relazione annuale da parte di INAIL, i dati concernenti l'andamento infortunistico e tecnopatico nazionale delineano un quadro che si può definire quantomeno controverso.

I dati INAIL 2018
Nel 2018
, gli infortuni riconosciuti sul lavoro ammontano a poco più di 409'000 (ossia, il 4.3% in meno rispetto al 2017) con un 19% di eventi occorsi "fuori dell'azienda”, vale a dire con un mezzo di trasporto e/o comunque in itinere.
Le malattie professionali denunciate nel medesimo anno sono state all'incirca 59'500, il 2.6% in più rispetto al 2017, con un'attribuzione confermata al 37% e un residuo 3% ancora in fase d'istruttoria[1].

A fronte di questi dati consolidati, tuttavia, le analisi sull'andamento infortunistico nel primo quadrimestre del 2019 già suscitano preoccupazione, con almeno 303 lavoratori deceduti e all'incirca 46'000 feriti in un mese, ossia quasi 5'000 incidenti in più rispetto al 2018. Non stupisce, quindi, che a tutt'oggi vi siano sempre più frequenti richiami all'intervento e che alcuni paragonino la situazione ad una "guerra quotidiana che non accenna a placarsi"[2].

In un quadro così complesso, entro il quale le Istituzioni e le imprese mediano alla ricerca incessante di un equilibrio fra buone prassi spontanee e cogenza, tra esigenze economiche e imperativi di natura etico-sociale, sono in molti ad auspicare l'applicazione di una linea sempre più dura nel perseguire mancanze ed omissioni all'origine di un numero crescente di infortuni.
Se anche un approccio repressivo può essere controproducente in taluni casi, è pur vero che − a distanza di dodici anni dall'approvazione del Testo Unico 81/08 originario − l'esistente schema sanzionatorio e la sua applicazione, pur mitigata dal buonsenso e dall'esperienza degli UPG e delle altri parti coinvolte, si pongono come il principale (se non l'unico) strumento di intervento, sia per efficacia che per utilità sociale.

In altre parole, laddove mancano la sensibilità, la lungimiranza o anche solo la cultura necessarie ad instaurare un comportamento virtuoso all'interno dell'impresa, ecco che la prospettiva di possibili conseguenze pecuniarie e penali aiuta a raggiungere il traguardo di un'osservanza (almeno generale) dei principi a salvaguardia della salute dei lavoratori.

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L'impianto sanzionario del D.Lgs 81/2008

Benché soggetto ad un continuo affinamento, l'impianto sanzionatorio del Testo Unico verte principalmente su ammende pecuniarie (multe) e su conseguenze penali (arresto) che vanno ad interessare le diverse figure dell'impresa in funzione del loro ruolo e del loro coinvolgimento all'interno del Sistema di Prevenzione e Protezione, seguendo − in mancanza di altre evidenze comprovate − un essenziale e logico criterio di competenza che vede nel Datore di Lavoro (DL) il fulcro dell'intera catena di possibili deleghe, obblighi personali e generiche incombenze operative. In breve, essendo il Datore di Lavoro colui che ha maggiore influsso sui processi aziendali e che dispone di tutte le risorse (finanziarie, informative, organizzative) per definirli (o ri-definirli) secondo un corretto equilibrio tra priorità sociali e di mercato, ecco che sempre al DL viene attribuita la maggior responsabilità in caso di mancata tutela della salute dei lavoratori.

Come accennato in precedenza, molto si potrebbe dire pro (o contro) questo criterio di massima, ma rimane il fatto che gli obblighi di Legge richiedono principi applicativi generali e che spetta alla fase di approfondimento istruttorio la successiva raccolta di riscontri legati a casi particolari, possibili eccezioni e deroghe legittime.

In termini generali e a titolo esemplificativo, osserviamo che il Testo Unico sanziona il Datore di Lavoro e la dirigenza [3] con l'arresto per parecchi mesi nonché con consistenti ammende di migliaia di euro:

  • per non aver effettuato la valutazione dei rischi, oppure per averla attuata in modo errato e/o parziale, ovvero per aver commesso errori nella sua gestione e conservazione;
  • per non aver nominato un Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP)[4] oppure − se il DL svolge questa funzione in prima persona [5] − per aver violato gli obblighi correlati al proprio ruolo, ovvero per averlo svolto senza la debita formazione;
  • per non aver garantito ad ogni lavoratore, dirigente e/o preposto una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
  • per non aver preso i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso, di assistenza medica di emergenza e/o di eventuale sorveglianza sanitaria;
  • per aver omesso di organizzare un efficace sistema per la gestione della salute e della sicurezza dei lavoratori, oppure per averlo mal approntato e mal diretto, eventualmente trascurando le proprie funzioni di controllo e di comunicazione, delegate indebitamente ad altri senza averne prima accertato la competenza e/o senza aver fornito loro le indispensabili risorse[6];
  • per non aver debitamente valutato l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d'opera o di somministrazione.

Queste sanzioni si aggravano, arrivando all'arresto da quattro a otto mesi (con ulteriori multe) se la violazione è commessa:

  • in aziende la cui attività ha un importante impatto socio-economico e/o ambientale (es. centrali termoelettriche, fabbriche di esplosivi, polveri e munizioni, industrie con oltre duecento lavoratori, miniere, strutture pubbliche di ricovero e di cura con oltre cinquanta dipendenti ecc.)[7]
  • in aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici derivanti da atmosfere esplosive, agenti cancerogeni mutageni e/o da attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto;
  • in cantieri temporanei e/o mobili caratterizzati dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno;

Altre e pesanti sanzioni [8] coinvolgono, ovviamente, le figure del sistema di prevenzione e protezione che dal DL traggono legittimazione, sino ad arrivare ai lavoratori stessi che si fanno garanti di conservare il proprio diritto-dovere alla sicurezza impegnandosi a non porre a repentaglio se stessi, i propri colleghi e le risorse dell'impresa (compresi i DPI di cui sono affidatari) pena l'arresto fino a un mese e/o l'ammenda pecuniaria.

I costi invisibili

Ai costi diretti − di natura meramente sanzionatoria − legati alla mancata sicurezza, è coerente associare tutta una serie di conseguenze che sono anch'esse caratterizzate da un impatto sul bilancio d'impresa, seppur in modo più o meno indiretto: sono costi "invisibili" perché si possono manifestare in tempi differenti rispetto al singolo evento infortunistico e alle sue eventuali ripercussioni giuridiche, ma gravano comunque sulla gestione[9].

In questo ambito, ecco che rientrano a buon diritto i costi:

  • legati ad un ambiente di lavoro sempre più teso (assenteismo, turnover elevato, personale esperto che ambisce ad un nuovo impiego o al pre-pensionamento, burnout delle risorse soggette a maggior pressione emotiva, conflittualità interna, scioperi, sabotaggio ecc.);
  • richiesti dalla sostituzione temporanea (o definitiva) dei lavoratori infortunati e/o in malattia (es. manodopera sovradimensionata, mancato passaggio di competenze, difficoltà nel trovare nuove risorse con profili idonei, spese di formazione per creare ex-novo i profili mancanti, straordinari ecc.);
  • connessi all'iter giuridico (es. spese legali per contenziosi, permessi a beneficio delle parti coinvolte nelle istruttorie, tempo dedicato ai consulenti del Giudice ecc.);
  • dovuti alla mancata produzione e/o alla fermata degli impianti (es. sequestro giudiziario di locali, macchine e/o prodotti, manutenzione straordinaria, sprechi, perdita di qualità ecc.);
  • imputabili all'aumento dei premi assicurativi e/o al costo del lavoro (es. maggiori indennità di rischio ecc.);
  • stimati per la perdita di immagine aziendale e/o delle sue figure-chiave (es. attrito crescente con la comunità e le famiglie dei lavoratori, perdita d'immagine pubblica, campagne d'odio sui social, cattiva pubblicità sui media ecc.);
  • legati alla perdita di finanziamenti, di opportunità di mercato e/o di partner commerciali (es. investitori che rinunciano a concludere nuovi affari, fornitori che troncano i rapporti, azionisti che chiedono di essere liquidati anzitempo, svalutazione del marchio ecc.).

Il costo sociale

In conclusione − e lasciando da parte per un istante la dimensione puramente tecnico-giuridica fatta di obblighi concreti, di Leggi, di vincoli normativi − ci si ritrova a contemplare un percorso che, troppo spesso, smarrisce la sua snellezza e si arena nel logorante confronto con le necessità pratiche ed economiche dettate dal momento: la quotidiana contingenza, in un susseguirsi di imperativi economici intesi a sostenere l'attività dell'impresa (costi da tagliare, ordini da evadere, stipendi da garantire ecc.). Così facendo, ecco che si finisce gradualmente col porre in ombra le priorità legate alla salute dei lavoratori in un susseguirsi di mille compromessi giudicati di per sé innocui, ma il cui effetto cumulato sul medio-lungo periodo è rimarchevole quanto nocivo. È questo, se vogliamo, il costo più elevato di cui ciascuno di noi si fa carico, in quella che ANMIL definisce una "guerra quotidiana": il costo sociale[10] di non riuscire a contemperare la componente etica e la dignità umana in un contesto, quello del mercato, che tende sovente ad erodere ambedue con rassegnata indifferenza travisata come senso di necessità, se non di malintesa efficienza.

Bibliografia

  • ANMIL, "L'andamento infortunistico non può richiedere cautela, dobbiamo fermare questa strage sul lavoro". Comunicato stampa del 21 maggio 2019;
  • D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 (TU 81/08) e s.m.i. nella revisione periodica ad opera dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro;
  • EU-OSHA, "Il valore della sicurezza e della salute sul lavoro e i costi sociali degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali", 2019;
  • INAIL, "Dati INAIL. Andamento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali". ISSN 2035-5645. Roma: 2020;
  • INAIL, "Relazione Annuale 2018". Roma: 2020. 

  • [1] A tal riguardo, si vedano sia la "Relazione Annuale 2018" che il rapporto INAIL sull'andamento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali (INAIL, 2020. ISSN 2035-5645).
  • [2] Comunicato stampa del 21 maggio 2019. "ANMIL: L'andamento infortunistico non può richiedere cautela, dobbiamo fermare questa strage sul lavoro".
  • [3] D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81 (TU 81/08), Art.55.
  • [4] D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81 (TU 81/08), Art. 17, Comma 1, Lettera b).
  • [5] D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81 (TU 81/08), Art. 34, Comma 2.
  • [6] D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81 (TU 81/08), Art. 18 e segg.
  • [7] D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81 (TU 81/08), Art. 31, Comma 6, Lettere a), b), c), d), f) e g);
  • [8] D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81 (TU 81/08), Art. 56-59.
  • [9] Non è un caso che già nel 2014, INAIL abbia sviluppato il software Co&Si a beneficio delle imprese nell'intento di quantificare anche economicamente il ritorno derivante dall'investimento 
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