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Scuola: task force al lavoro per la riapertura, entro luglio il documento completo con il piano di riforma

L'architetto Giulio Ceppi, componente del gruppo di esperti scelti dalla ministra Azzolina, racconta come sta lavorando la task force, non solo per riaprire le scuole in sicurezza, ma anche per mettere a punto un piano di riforma profondo del sistema scolastico.

 

L'architetto Giulio Ceppi, componente del Gruppo di esperti scelti dalla ministra all'Istruzione Lucia Azzolina, racconta come sta lavorando la task force nominata per riaprire le scuole a settembre in sicurezza.

Oltre alla riorganizzazione e la ricerca di nuovi spazi "urbani", tra le priorità elencate dal docente del Politecnico di Milano, rientrano la verifica degli impianti di climatizzazione, l’adeguamento dei presidi sanitari e l'utilizzo di cortili e aree interne agli edifici. 

Non solo, il gruppo di esperti sta lavorando a un più ampio piano di riforma del sistema scolastico che non si basi solo su una risposta passiva all’emergenza, ma che punti anche su figure innovative come l'architetto-tutor.

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Riapertura scuole: cosa cambierà?

Arch. Ceppi, com'è organizzata la task force ministeriale di cui fa parte e coordinata dal Professor Patrizio Bianchi? 

«È composta da 18 esperti, divisi in due sottocommissioni: la prima, chiamata “Operation”, lavora sul breve periodo in vista della riapertura delle scuole a settembre mentre la seconda, di cui faccio parte, chiamata “Vision”, è impegnata a individuare soluzioni per un programma di riforma a lungo termine. L’obiettivo non è rispondere solo alle necessità imposte dall’emergenza coronavirus ma anche fornire risposte che evitino che un domani tutto questo si possa ripetere. Vogliamo evitare che qualora si presentassero nuovamente delle difficoltà, la scuola sia impreparata. Stiamo portando avanti numerose audizioni per ascoltare, tra gli altri, le associazioni di categoria, l’Unicef, Legambiente, fino ai i rappresentanti delle categorie più deboli: vogliamo capire davvero quali siano i desiderata e le richieste. Sappiamo che riformare la scuola è un processo di anni, per non dire decenni ma l’importante è avere una visione di lungo raggio e capire che questa crisi servirà ad accelerare la trasformazione dell’attuale sistema».

Quando consegnerete il report ha alla ministra Azzolina?

«La task force lavorerà fino a luglio. Abbiamo 90 giorni da quando siamo ci siamo insediati, consegneremo entro 10 giorni un primo documento che è quello legato all'emergenza. Entro luglio ne consegneremo un secondo più completo che permetta una riforma della scuola più in profondità che non si basi solo su una risposta passiva all’emergenza».

Aule raddoppiate, virtuali, palestre, cortili, patti di comunità: le soluzioni al vaglio degli esperti

Quali soluzioni state individuando? Cambierà l’architettura delle classi? Si farà lezione in spazi altri della città? Si useranno ambienti didattici come corridoi o mense da adeguare? 

«Certamente sì. Lo spazio è fatto di tempo e di come lo si usa. Ora dobbiamo ripensare la scuola in modo diverso sia per il calendario sia per il numero di studenti che per i luoghi. Questi ultimi, in parte, sono fisici e, quindi, le aule raddoppieranno di fatto, perché gli studenti saranno la metà a causa del social distancing. Però, avremo anche delle aule virtuali perché useremo la didattica a distanza. Si aggiungeranno spazi da ricercare anche all'interno delle scuole: le mense, le palestre, i cortili... dovranno trasformarsi per consentire di svolgere in sicurezza altri tipi di attività. Infine, il gruppo di lavoro sta proponendo quelli che abbiamo definito "patti di comunità"».

Cosa sono i patti di comunità?

«Accordi con soggetti terzi come il Demanio per utilizzare spazi inutilizzati in prossimità delle scuole, come a esempio le caserme, seguendo una logica di vicinanza e comodità. Poi stiamo cercando di capire come è possibile svolgere attività dai contenuti innovativi perché sarebbe riduttivo andare in una caserma per svolgere lo stesso tipo di lezione di matematica che potrei fare a casa o a scuola. Ovviamente, per fare questo, il corpo docente dovrà trasformarsi e crescere. Inglobare delle nuove professionalità e saper attrarre giovani che così saranno più interessati perché sono nativi digitali. Quindi, il vero problema non è tirar su una parete di cartongesso. Per questo, abbiamo fatto anche un’audizione con l’Ance e con i miei colleghi: non si può continuare a ragionare in modo frammentato, perché l'architettura non è una questione di muri ma è abitabilità, qualità degli spazi e di come questi vengono usati, soprattutto, per quanto riguarda la scuola».

La task force sta tracciando delle linee guida univoche?

«Dobbiamo smetterla di pensare che debba essere lo Stato a indicare ieraticamente come si deve intervenire perché la scuola italiana è troppo diversificata. In Italia abbiamo oltre 42.000 edifici scolastici, fasce climatiche totalmente differenziate, situazioni di grande fragilità territoriale e di eccellenza mondiale. Abbiamo scuole disperse sui bricchi alpini e, invece, aree metropolitane dense. Non è possibile credere che ci sia una soluzione che funzioni per tutti e, per questo, stiamo definendo obiettivi, criteri e linee guida. A esempio, introdurre nuove tecnologie, nuovi materiali sia per edifici ex-novo sia per interventi di riqualificazione leggera ma anche creare un abaco che cambi l'attrattività dell’edilizia scolastica. Anche le logiche degli appalti devono essere trasformate. Il Paese non può lavorare con la logica del ribasso. Questo modus operandi ci ha portato a un disastro edile diffuso: non solo nella scuola ma in tutto il territorio. Non può vincere chi fa pagare meno perché lo sappiamo che è una forma suicida».

I nuovi criteri per l'edilizia scolastica e la figura dell'architetto-tutor

E quindi come bisognerebbe operare?

«Bisognerebbe introdurre nuovi criteri che sono quelli dell'economia circolare, della sostenibilità e del benessere ambientale. Temi che aiutino a formulare delle proposte in cui il prezzo conta ma non deve essere la variabile primaria. I fondi dedicati alla scuola sono elevatissimi, bisogna solo partecipare ai bandi. Responsabilità e personalizzazione devono diventare un fattore importante. I presidi devono andare a cercarsi i bandi europei perché non è che arriva lo Stato con il sacchetto di monete d’oro zecchino come nella favola di Pinocchio. I soldi sono nei bandi comunitari, bisogna mettersi intorno a un tavolo e stilare progetti per ottenerli: è inutile parlare male dello Stato e dell'Europa se non si è capaci di ottenere milioni di euro disponibili. Anche gli architetti e i professionisti possono fare la loro parte. A Torino, a esempio, hanno creato la figura di architetto-tutor».

Chi sono gli architetti-tutor? Se ne può avere uno per ogni scuola?

«Attraverso bandi e concorsi si potrebbero selezionare dei professionisti anche giovani che, per un periodo definito di tempo, seguano una determinata scuola non solo dal punto di vista delle funzionalità edilizie. L’architetto-tutor può sensibilizzare al bello, all’arte, all’ambiente…., senza diventare un docente ma una presenza continua. Una figura, insomma, che coadiuva i professori e arricchisce l’identità della scuola che, ripeto, non è solo fatta di muri ma soprattutto dalla comunità. I dirigenti e i presidi però si devono responsabilizzare perché non c'è una soluzione adatta per tutti. Bisogna imparare a prendere le decisioni con gli strumenti della contemporaneità, senza aspettare che sia lo Stato a dire cosa fare».

Riapertura scuole: gli interventi prioritari

In questi mesi si interverrà per rendere più efficienti dal punto di vista energetico gli edifici scolastici?

«In vista della riapertura di settembre è importante che si lavori alla qualità dell'aria e alla ventilazione. Poi il nostro patrimonio scolastico è estremante variegato: ci sono edifici degli anni ’70 che performano peggio di alcuni costruiti negli anni ’30. Non si può dire che serva per tutti il cappotto o i serramenti. Alla fine, lo stanziamento dello Stato va diviso per 42.000 edifici e così si fa presto a capire quanti soldi possano arrivare a ogni singola scuola. Detto questo, l’aspetto energetico è sicuramente importante ma non lo risolveremo tutto ora perché c'è un patrimonio che è fatiscente e va rinnovato o, in alcuni casi, bisognerà avere il coraggio di abbattere e ricostruire».

Nell’immediato quindi cosa si farà?

«Ci sono tanti aspetti da tenere in considerazione, quello energetico è importante, ma in questo momento la priorità è di natura biologica e logistica. Tra i temi che stiamo considerando c’è quello della verifica dell'impianto del ricambio dell’aria, della tenuta dei serramenti e poi l’adeguamento dei bagni, presidi sanitari più accessibili ed efficienti. Poi c’è il tema del distanziamento e per questo stiamo ricercando nuovi accessi per evitare assembramenti durante l’ingresso e l’uscita dalle scuole».

Se la didattica a distanza continuerà, le scuole saranno dotate di infrastrutture per renderle più tecnologiche e connesse, magari con il Wi-Fi in ogni aula? Avete pensato anche a questo?

«Sì, c’è uno stanziamento importante. Ciò che abbiamo vissuto non si deve più riproporre in futuro: dobbiamo rendere la scuola più flessibile, resiliente e capace di usare il digitale e il remoto in una maniera integrata. Questo non significa sostituire la lezione frontale ma fare attività più sofisticate, quali alfabetizzazione digitale, convergenza con la televisione e lavoro in gruppi. Per farlo, però, occorre attrezzarsi sul piano infrastrutturale e potenziare gli spazi all'interno della scuola così da avere esperienze immersive. Bisogna dotarsi di Fab Lab (piccole officine con servizi di fabbricazione digitale) perché il digitale, oggi, è un modo di vivere, è una forma di alfabetizzazione che va ben oltre un semplice smartphone, ma su questo va fatto un grande passo con investimenti importanti. Ovviamente anche i docenti devono aggiornarsi: abbiamo la classe docente più vecchia d’Europa, non lo dico per pregiudizio ma su questo bisogna migliorare».

Deroghe e strumenti operativi più veloci: le indicazioni per gli interventi sugli edifici scolastici

E creare un modello unico di scuola ideale per accelerare gli appalti?

«No, il concetto di scuola ideale è un errore perché in Italia non c’è la possibilità di replicare per tutti un modello unico. Vanno definiti dei principi, degli obiettivi e dei criteri qualitativi. Per esempio, per rifare un cavalcavia di solito impieghiamo 15 anni e, invece, abbiamo dimostrato che siamo capaci di velocizzare i processi quando necessario: il nuovo Viadotto sul Polcevera di Genova, è stato progettato (da Renzo Piano) e realizzato in un anno solo. L’emergenza deve essere un fattore di capacità trasformatrice e accelerazione dei processi. Nelle indicazioni che stiamo dando c'è un grosso richiamo alle deroghe e a una serie di strumenti operativi molto veloci che fluidifichino i processi. Le scuole sono comunali, provinciali, regionali, statali e spesso ci si trova incartati dentro una serie di passaggi burocratici micidiali che poi implicano Soprintendenze e altri soggetti. Bisogna agire con la modalità della Conferenza dei servizi, con gli avvisi, con una serie di pratiche rapide che permettano di risolvere i problemi entro settembre altrimenti arriviamo a settembre del 2022».

Dal suo punto di vista è meglio quindi riqualificare le nostre scuole o abbattere e ricostruire dove è possibile?

«Dipende: paradossalmente ci sono degli edifici degli anni ‘30 che sono stati realizzati con criteri di qualità costruttiva maggiore rispetto a quelli degli anni ’50-‘60 con una flessibilità d'uso maggiore di altre scuole dove si era pensato a dei modelli più liberi. Bisognerà imparare a co-progettare e co-gestire. Non dobbiamo continuare a pensare che sia una Legge che risolverà il nostro futuro perché siamo in un’emergenza e ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. A esempio ho parlato con l’assessore della Val d'Aosta che ha delle scuole-modello e ha delle classi composte da quattro bambini mentre in commissione abbiamo ascoltato un preside di Palermo che ha raccontato come nella sua scuola non ci sia il riscaldamento. Come si possono trattare allo stesso modo con una soluzione unica? In 100 anni abbiamo accumulato una stratificazione di situazioni diverse e adesso dobbiamo districarci. Le parole chiave devono essere consapevolezza e concertazione: i presidi dovranno caricarsi di responsabilità, in maniera condivisa e partecipata». 

La scuola del futuro? Versatile, ibrida, digitale e analogica

Lei come architetto come vede la scuola del futuro?

«Flessibile, ibrida (digitale e analogica insieme), “porosa”, cioè capace di dialogare con il contesto usando i muri comei filtri capaci di assorbire il territorio. A esempio, una scuola potrà connettersi (anche) con una classe dall’altra parte del mondo per fare didattica perché già sui banchi bisogna imparare a essere cittadini del mondo. Per questo gli edifici devono essere sostenibili, flessibili, leggeri e permettere diverse funzioni al loro interno. Così come noi abbiamo imparato a riorganizzare le nostre case e il nostro modo di vivere in questi ultimi mesi, la scuola deve diventare più versatile negli spazi ma anche nei tempi e nelle modalità. La parola chiave deve essere “multi”: multisensoriale, multimediale, multimodale e multiculturale. La scuola si deve aprire, senza ovviamente perdersi. Io penso che l'intelligenza sia nei sistemi aperti ma regolamentati: non è chiudendosi che si produce qualità, ma è aprendosi con consapevolezza».