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Tra l’Ultimo e il Primo Giorno di Scuola: Orizzonti Vicini e Lontani

Una riflessione di Angelo Ciribini sul tema delle Scuole

A prescindere dal dettaglio che il protocollo ministeriale relativo alla riapertura della scuola conterrà ovvero sia dalle ulteriori indicazioni che il ministero competente vorrà suggerire, di là persino del tema stesso, ormai assurto come centrale nel dibattito mediatico, tra ultimo e primo giorno di scuola, vale la pena di riflettere su alcuni punti di divergenza tra le lodevoli intenzioni e le prassi operative.

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COVID-19: quali conseguenze su bambini e adolescenti ?

Sullo sfondo della questione si staglia, ovviamente, l’interrogativo, non ancora scientificamente risolto (benché indizî in argomento sussistano) sia sulla severità delle conseguenze che la SARS-CoV-2 possa ingenerare sui bambini e sugli adolescenti sia sul loro ruolo nella diffusione del contagio (tanto più che a oggi si segnalano numerosi casi inversi).

Ovviamente, il tema, di per se stesso, incrocia le ragioni sanitarie, le pressioni sociali ed economiche, oltre a una simbologia politica, relativa, appunto, all’ultimo giorno del presente anno scolastico e al primo di quello successivo.

Personalmente, credo sia utile ricordare, peraltro, che la decisione della chiusura, attuatasi in maniera quasi globale a livello planetario, fosse assolutamente giustificata da criteri epidemiologici e che nei Paesi in cui si sia provveduta a una riapertura anticipata rispetto a quella prevista in Italia, essa sia avvenuta in maniera parziale, volontaria, selettiva, nonché attuata tramite una varietà notevole di dispositivi e di disposizioni che forse non tutti avrebbero apprezzato.

D’altra parte, in molte realtà nazionali, di cui alcune federali, le attività formative in presenza non si sono mai interrotte per i figli di genitori impegnati nei servizi essenziali.

Quello che più conta, in questa sede, è, tuttavia, il fatto che gli edifici scolastici e gli spazi aperti corrispondenti, ovvero le componenti dell’ambiente costruito, si trovino al centro di dinamiche relative a flussi e a comportamenti, tanto come modalità diretta di fruizione percettiva e fisica degli attori  quanto come gestione delle condizioni fisico-ambientali dei contenitori: con diverse parole, come igienizzazione, distanziamento e ventilazione.

Su questi fattori si innestano, dunque, non solo i livelli prestazionali propri ai cespiti (tipici della riqualificazione energetica e del miglioramento sismico: da qui a a Settembre rivisitati in maniera soft), ma pure ciò che avviene nello stabile scolastico in sincronia con quanto accade al di fuori di esso: rispetto ai tempi di trasferimento dal domicilio a scuola e di lavoro dei genitori e degli accompagnatori.

 

Scuole, Open Data, Casi Critici

La tematica della riapertura della scuola è, perciò, un cavallo di troia per intuire tendenze più profonde, che implicano, anzitutto, su base territoriale, la verifica della attendibilità delle basi di dati, specie di quelle relative agli open data, disponibili, ai fini della singolarizzazione dei casi, vale a dire, della individuazione dei casi critici entro una strategia complessiva, che lambisce aree aperte e confinate in prossimità, come caserme, musei, teatri, parchi.

Questo aspetto, generalizzando, tocca la domanda inerente alla qualità dei sistemi informativi territoriali di supporto alle decisioni, specie laddove l’orizzonte temporale necessario per gli interventi di adeguamento «comportamentale» sia ristretto.

D’altra parte, mai come oggi, il nesso tra materiale, il cespite fisico, e l’immateriale, l’aspetto occupativo (che diviene anche occupazionale), vale a spiegare una crasi epocale, quel behavioural shift di cui si ragiona per indicare la transizione tra prodotti e servizi in atto nel nostro settore.

Il secondo punto, tuttavia, sotto questa ottica, è che a una impostazione prescrittiva, più rigida, impostata su protocolli sanitari e indicatori dimensionali (superfici minime richieste, entità del distanziamento fisico, soluzioni per la ventilazione degli ambienti confinati, ecc.), di fatto indispensabili per quei Paesi in cui la ripresa sia stata anticipata, si sia, in Italia, contrapposta una versione maggiormente orientata alla prestazionalità, che implichi una forte responsabilizzazione delle dirigenze scolastiche e degli enti locali, in cui soluzioni specifiche logistiche (inerenti, ad esempio, agli orari delle lezioni, delle ricreazioni, dei pasti, e così via, nonché alle disponibilità dell’organico) si ibridano con metodologie didattiche che si vorrebbero post-novecentesche se non, addirittura, post-ottocentesche, a significare che quel retaggio non si sia mai completamente esaurito.

 

Didattica a distanza non è didattica digitale

È palese che questo approccio, formalmente ineccepibile, che traguarda tempi medi e lunghi, si debba confrontare, forse prosaicamente, nel breve termine, con le querelle inerenti alla attribuzione delle responsabilità civili e penali alle dirigenze scolastiche, con il reclutamento del personale docente e tecnico-amministrativo, con le ipotesi di turnazione che si misurano colla crescente ostilità per la didattica a distanza, a sua volta, letteralmente posta in simbiosi con il telelavoro, categorie che, in realtà, hanno poco a che fare sia con la didattica digitale sia con lo smart working.

Ciò che si sta verificando credo sia che, qualora per la prima impostazione valgano le regole riduzioniste, ferree, ma facilmente comprensibili, per quanto parzialmente deresponsabilizzanti, dei protocolli che regolano l’accoglienza a scuola, il trasferimento nei vari spazi, le relazioni tra le persone, per la seconda impostazione, «deroghe» a schemi fissi e immutabili siano legittimate da analisi dei tassi di occupazione, da simulazioni delle dinamiche di interazione ospitate entro modelli informativi da (ri-)configurare al più presto, nell’ottica di una digitalizzazione del patrimonio immobiliare e mobiliare che, una volta sensorizzato e interconnesso, preluda ai cosiddetti gemelli digitali, in grado di co-simulare le prestazioni degli edifici e i comportamenti degli utenti.

Si tratta, ovviamente, di ipotesi e di soluzioni adombrate in diversi atenei, per le quali pure all’Università degli Studi di Brescia si stanno conducendo analisi e si stanno mettendo a punto soluzioni relative a dimostratori rivolti agli asili nido, alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria.

Quale che sia il ruolo dei dispositivi di rilevazione delle condizioni di salute e dei braccialetti elettronici, così come di altre opzioni che prevedano, in termini cognitivi, una maggiore interazione tra parti immobili e mobili, attive e passive, degli edifici scolastici nei confronti dei propri fruitori, si dovrebbero chiaramente interrelare tali dimensioni con le metodologie formative e pedagogiche più avanzate, ma questa eventualità, difficilmente perseguibile di per se stessa nel breve periodo, comporta l’acquisizione della centralità delle Operations, attualmente ampiamente dibattuta nell’ambito degli spazi del lavoro terziario.

Per quanto affermato, la riapertura della scuola offre, in realtà, perciò, l’occasione di comprendere con immediatezza in che misura, allorché dirigenze scolastiche ed enti locali, dibattendosi tra rischi e opportunità (che sempre, peraltro, rientrano nell’ambito di applicazione dei primi), siano chiamati a ragionare congiuntamente sui piani sociali, logistici e gestionali in maniera integrata, a partire da quadri conoscitivi e da sistemi informativi non certo esaustivi.

Si tratta di una scelta, quella di valorizzare gli elementi di specificità dei contesti, che sarà probabilmente supportata da evidenze scientifiche, oggi, peraltro, assenti, sulla attenuata carica virale, oltre che da un desiderio congiunto di associare a nuove caratteristiche dei beni immobiliari inedite forme pedagogiche.

Può darsi, dunque, che il rientro settembrino a scuola sia caratterizzato da scenari di drammatizzazione inferiore alle aspettative, che i celebri quadrati o gli altrettanti famosi sipari in cui ogni bambino si trova in Danimarca come in Francia, in Cina come in Svizzera, non appartengano che a una iconografia di un passato prossimo mai presentificatosi alle nostre latitudini.

Può darsi che tutti gli elementi di separazione e di distanziamento reali, come i pannelli in plexiglass o le segnaletiche, o virtuali, come le barriere digitali e le allerte di prossimità possano, per l’autunno, appartenere alla filmografìa del futuro.

 

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La possibilità di portare le Operations al vertice degli sforzi è, tuttavia, già un lascito fondamentale, ma il rischio di delegarne la gestione oltre una certa misura, unendole ad ambizioni ulteriori, potrebbe comprometterne il valore, qualora alla riapertura si volesse far coincidere un nuovo inizio che, pur essendo negli auspici generali, richiederebbe, però, una visione strategica anche sotto il profilo degli investimenti comunitari legati alla ricostruzione socio-economica.

La realtà è che si vive nel tempo dell’ambiguità, per cui tutto sembra preludere a rivolgimenti straordinari, ma, al contempo, tutto potrebbe richiudersi in un «prima» assai più stringente nei confronti del «dopo».

Dato che, nel prima, sussistevano, tuttavia, per quanto poco realizzate, le premesse di ciò che si desidera per il dopo, occorre comprendere in che modo esse possano essere valorizzate selettivamente, senza avere una eccessiva ambizione di fungere da acceleratore come lo è stata, in molti ambiti, inevitabilmente la sindrome, ma, appunto, con una intelligenza limitata alla intrinseche caratteristiche virali.

Occorre, allora, capire se una riapertura in presenza in condizioni di sicurezza possa avvenire come atto autoreferenziale, senza particolari ripercussioni sul prosieguo, quale atto introduttivo a un processo di revisione graduale oppure, addirittura, quale avvio vero e proprio della trasformazione dell’ambiente formativo.