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Sanatoria edilizia: chi prova la fine dei lavori? Quando il comune deve fermare la ruspa

Tar Latina: incombe normalmente sul privato l’onere della prova dell’ultimazione di un’opera entro una certa data, al fine di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui non era richiesto un atto di assenso, in quanto realizzata legittimamente senza titolo

Oggi ci occupiamo, prendendo spunto dalla sentenza 194/2020 dello scorso 8 giugno del Tar Latina, di una questione piuttosto 'gettonata' in ambito normativo-urbanistico, ossia quella della ripartizione dell’onere probatorio in materia di abusi edilizi e degli elementi minimi che l’Amministrazione comunale deve comunque accertare al fine di poter disporre la demolizione di un’opera della quale sia controversa l’epoca di realizzazione.

L'onere della prova

In materia urbanistica, ricorda il Tar, incombe normalmente sul privato l’onere della prova dell’ultimazione di un’opera entro una certa data, al fine di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui, come nel caso all’esame, ratione temporis non era richiesto un atto di assenso, in quanto realizzata legittimamente senza titolo, essendo egli l’unico soggetto che ha la disponibilità di documenti e di elementi di prova e che può dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del manufatto (ex multis: Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2020 n. 454; sez. II, 24 luglio 2019 n. 5220; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 3 giugno 2019 n. 2986).

Tale onere probatorio, peraltro, è temperato, secondo ragionevolezza, nel caso in cui il privato porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento ante 1° settembre 1967 elementi non implausibili e, dall’altro, il Comune fornisca elementi incerti, in ordine alla presumibile data di realizzazione dei manufatti ritenuti privi di titolo edilizio – cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3177, per cui comunque “incombe sull’autorità che adotta l’ingiunzione di demolizione l’onere di comprovare in maniera adeguata la propria pretesa demolitoria (soprattutto se […] sia trascorso moltissimo tempo dalla edificazione asseritamente abusiva […])”; v. anche TAR Campania, Napoli, sez. III, 15 gennaio 2013 n. 290.

Se ci sono prove plausibili, la ruspa va fermata

Nel caso di specie, il ricorrente a sostegno della propria versione dei fatti ha addotto molteplici elementi che, pur non offrendo una prova rigorosa di quanto dichiarato sull’epoca di realizzazione dei manufatti, comunque non appaiono nel loro complesso implausibili. In particolare:

  • a) i progetti riguardanti gli edifici insistenti sul terreno di sua proprietà, due dei quali non citati dall’Amministrazione civica nel provvedimento gravato (i.e. quelli del 15 ottobre 1951 e del 28 luglio 1961);
  • b) le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà che fissano al giugno 1966 la data di ultimazione dei manufatti de quibus e che forniscono anche elementi in ordine ai materiali all’epoca utilizzati per realizzarli ed all’uso cui erano stati adibiti;
  • c) la comunicazione di inizio lavori del 4 giugno 2004, riferita all’immobile principale, del quale è stato contestato l’ampliamento, che si riferisce anche alla sostituzione degli infissi originari in legno con dei nuovi in alluminio;
  • d) una consulenza tecnica di parte redatta da un professionista abilitato, la quale conclude nel senso che l’edificio, pur mostrando “segni di ristrutturazione successivi all’impianto originario […] evidenzia un periodo di realizzazione compatibile con quanto […] dichiarato”, che lo colloca in epoca antecedente al 1° settembre 1967, e che “l’attuale consistenza e destinazione d’uso dell’immobile corrisponde a quella contenuta nel titolo di proprietà” vantato dalla ricorrente.

Il Comune, per quanto di sua competenza:

  • a) nell’ordinanza impugnata afferma espressamente che al momento del sopralluogo “il manufatto era ultimato ed utilizzato” e che, quindi, non erano in corso lavori edificatori;
  • b) nella nota richiamata nel provvedimento impugnato da espressamente atto che “non si dispone di elementi oggettivamente validi a stabilire con dovuta precisione l’epoca di realizzazione degli edifici ad uso residenziale”.

Siamo, quindi, all'incertezza in merito all’epoca di costruzione dei manufatti contestati. In questo caso come si sbroglia la matassa? Il Tar sostiene che l’Amministrazione, prima di ingiungere il ripristino dello stato dei luoghi, avrebbe dovuto espletare più puntuali ed approfonditi accertamenti, in assenza dei quali si profilano un difetto di istruttoria e un vizio motivazione.

Infatti, il mancato riferimento alla data di realizzazione degli abusi rifluisce nell’omissione di un “dato che incide in modo rilevante sotto il profilo della normativa applicabile e, quindi, della categoria edilizia nell’ambito della quale devono essere sussunte le opere contestate. Si consideri, al riguardo, che, fermo restando il principio, […] secondo il quale l’onere di provare l’effettiva data di realizzazione delle opere normalmente incombe sul privato che intende applicare la normativa vigente nel tempo a sé più favorevole, occorre considerare che il Comune deve chiarire, nel provvedimento con il quale qualifica l’abuso, la data degli interventi contestati, oppure, anche sotto il profilo temporale, la specifica normativa che intende applicare” (TAR Liguria, sez. I, 29 maggio 2019 n. 497).

In definitiva, i motivi di ricorso sono fondati.

LA SENTENZA INTEGRALE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF


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