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L’Industrializzazione Edilizia nel Nuovo Millennio

L’Industrializzazione Edilizia nel Nuovo Millennio tra Tangibilità & intangibilità, Piattaforme e piattaformizzazione, Insurgent & Incumbent Player. Qual è il compito della politica industriale per il settore dell'ambiente costruito?

Il 24 Luglio 1990, trenta anni fa, scompariva a Saronno (Varese) mio padre, Giuseppe Ciribini.

La sua storia accademica, manageriale e politica ha attraversato, a livello nazionale e internazionale, tra cultura professionale e cultura imprenditoriale, tra saperi architettonici e ingegneristici, tra ideazione e produzione, tra Domanda e Offerta, la grande, e tuttora irrisolta, questione industriale nel settore della costruzione e dell’immobiliare che ha connotato tutto il Novecento nella sua veste di prima industrializzazione edilizia.

È, questa, una questione che la digitalizzazione della società e dell’economia ha riproposto in maniera sempre più pressante, poiché essa propone modelli organizzativi, societari e imprenditivi sempre più dinamici e soggetti a evoluzioni rapide.

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Digitalizzazione e Seconda industrializzazione edilizia

Si tratta ora, all’alba del Terzo Decennio del Nuovo Secolo, in un Paese in cui si muovono controversie relative a nazionalizzazioni e a privatizzazioni, tra statalismo e liberalesimo, di comprendere le possibili direzioni che possa intraprendere una seconda industrializzazione edilizia che, in realtà, rifletterebbe un percorso evolutivo del comparto ormai necessitato dalla perdita di attrattività e di produttività, ma, soprattutto, forzato dalla digitalizzazione che tende a sovvertire antichi e consolidati equilibri, maturati nel corso dei cicli edilizi definiti dal CRESME e mai minacciati completamente dalla grande crisi degli scorsi anni, sino all’avvento del nuovo ciclo dell’ambiente costruito.

Proprio l’ambiente costruito, assieme a quello naturale, è, però, l’oggetto di intervento del cosiddetto National Digital Twin britannico, che mira a governare le interazioni tra le entità connesse che si trovano nelle città e nei territori attraverso i modelli e le strutture di dati, obiettivo che, considerando le finalità espresse dal Recovery Fund, o Next Generation EU, dovrebbe essere anche del nostro Paese.

Così come accade ora per le premesse «condizionali» di Next Generation EU, la sensazione è, infatti, che, dopo mille retoriche sul tema, ci si trovi di fronte a un vero spartiacque per la modernizzazione del Paese che, ovviamente, non tiene indenne il comparto.

È chiaro, ad esempio, che le tendenze in atto nel Regno Unito per (re-)introdurre la industrializzazione edilizia attraverso il ricorso a piattaforme fisiche e digitali (per quanto di stampo manifatturiero, come si vedrà, abbastanza tradizionale), vedono al centro della catena del valore un nucleo stabile attorno al quale graviterebbero catene di fornitura molto integrate in quella che è stata definita una stabilità dinamica.

Il che significa che la natura degli ecosistemi di piattaforme sia piuttosto olistica, difficile da regolare paritariamente.

Tale condizione di integrazione, fortemente ispirata all’ingegneria dei sistemi, denominata spesso collaborazione, nasconde, in realtà, una condizione «cooperativa» fortemente regolata in termini non solo tecnologici e organizzativi, ma anche culturali e contrattuali, che tende, in qualche modo, ad assorbire le logiche professionali entro quelle imprenditoriali.

È interessante capire in che misura il branding che potrebbe scaturite dalla «alleanza» tra ideatori ed esecutori in questo ambito «industriale» possa avere successo nel contesto nazionale del settore.

Ciò spiega anche la ragione per cui si potrebbe immaginare la riforma della Amministrazione Pubblica, così urgente nella visione del Consiglio Europeo, nella veste di Domanda Pubblica, come generatrice di una sorta di professione imprenditiva.

Provo qui a immaginare, come fossi il ghost writer che sono stato un tempo, a seguito delle comuni discussioni avvenute allora nelle migliori caffetterie storiche milanesi, che cosa mio padre avrebbe pensato del tempo attuale e di una possibile «svolta nelle costruzioni», per parafrasare il titolo di un celebre saggio di Konrad Wachsmann, con cui egli condivise l’insegnamento di industrializzazione edilizia presso la Hochschule für Gestaltung di Ulm nei tardi Anni Cinquanta.

Tangibilità & intangibilità

È ormai sempre più evidente come, in Italia, si stia formando un pensiero, non un movimento bene inteso, politico incentrato sul rinnovamento digitale della cultura industriale, abilitata dalla digitalizzazione, che tenda a mutare la natura dei fattori produttivi e del lavoro, generando profonde ricadute sociali, a partire da alcuni elementi valoriali ormai affermati in sede comunitaria, tanto da divenire condizionali per i programmi nazionali delle riforme.

In qualche modo, del resto, a causa della pandemìa, la parola «ripresa» o «ricostruzione» assume un rilievo che rimanda al periodo post-bellico.

Al contempo, però, una simile contingenza richiede una visione sistemica che investe anche l’ambiente costruito e il settore della costruzione e dell’immobiliare.

Ciò è palesemente legato alla enorme difficoltà che le classi dirigenti del Paese mostrano nell’avviare le necessarie riforme strutturali connesse al programma di investimenti comunitari denominato Next Generation EU, particolarmente ingenti per l’Italia a seguito dell’accordo raggiunto a Bruxelles, ma, appunto «condizionato» dalla reale capacità del Paese di approntare un piano nazionale delle riforme e del rilancio.

È, perciò, chiaro che un rinnovato protagonismo della classe imprenditoriale non possa non riguardare, come, infatti, sta avvenendo, anche il settore della costruzione e dell’immobiliare, secondo un’ottica che miri a integrare le componenti delle catene di fornitura tra Domanda e Offerta, tra ceti professionali e ceti imprenditoriali, proprio perché una certa qual ristrutturazione degli equilibri nella creazione di valore è indispensabile per un comparto molto provato dalle crisi strutturali dei primi lustri del nuovo secolo.

Occorre, peraltro, sottolineare l’importanza del ruolo del versante dell’Offerta, a fronte di quello, pur non trascurabile, della Domanda.

Sarebbe, infatti, un grave e illusorio errore immaginare che il processo di trasformazione valoriale (sui temi della sostenibilità, della socialità e della circolarità) e strumentale (sul tema della digitalizzazione) possa avvenire unilateralmente, contando su un rinnovato vigore antagonista delle strutture di committenza.

Nei fatti, la crisi socio-economica provocata dall’emergenza pandemica ha, in effetti, funto da acceleratore per una trasformazione digitale che ci si augura essere profonda del tessuto economico e imprenditoriale del Paese, entro, peraltro, un orizzonte in cui emergono forti contrapposizioni, con una visione interventista delle istituzioni statuali che richiama, in maniera controversa, esperienze del passato novecentesco della storia monarchica e repubblicana.

A fronte della Next Generation EU occorre, dunque, comprendere come tale pensiero sull’industrialesimo, che certamente ha un fulcro significativo nella manifattura, possa permeare il settore della costruzione e dell’immobiliare.

Ciò che, non a caso, sta avvenendo è che nell’immaginario riformista del comparto siano, in particolare, gli ambiti dell’aerospazio e dell’autoveicolo, basati su catene di fornitura integrate e su piattaforme condivise, a influenzare le intenzioni dei sostenitori dei cosiddetti Modern Methods of Construction, a loro volta costretti spesso a declinare i principî dell’Off Site Construction al confronto cogli interventi sul costruito che non siano quelli di edilizia di sostituzione, più prossimi alle condizioni di modularità ricorrenti nel passato.

In questo caso, il rischio maggiore che si possa correre è quello di identificare negli aspetti letterali gli elementi passibili di trasposizione, poiché i paragoni con altri settori economici, come pure l’agricoltura, rischiano di rivelarsi fuorvianti.

Non bisogna, infatti, dimenticare che, probabilmente, la ragione del maggiore parziale fallimento della prima industrializzazione edilizia risieda non solo, appunto, nel trasferimento pedissequo della natura del prodotto, ma, anche, nell’aver rigettato una essenza industriale all’interno delle realtà professionali e imprenditoriali considerata, in ultima analisi, estranea.

È proprio, in effetti, la mancata sintesi tra queste culture, più che non la prefabbricazione pesante dei sistemi costruttivi chiusi, ad avere provocato quella inefficienza nei meccanismi di regolazione del mercato che ha condotto alla tanto lamentata improduttività, da cui difficilmente si potrebbe uscire attraverso la riformulazione dei vincoli legislativi.

Di fatto, tuttavia, la cultura della Quarta Rivoluzione Industriale, impostata sul valore del dato e della sua trasmissione, generato in tempo reale e condiviso in remoto, agisce sulla riproducibilità non seriale dei processi, ancor prima che dei componenti (ad esempio, edilizi o impiantistici), come risulta palese nella nozione di autonomazione.

In altre parole, proprio sulla centralità del dato potrebbe giocarsi la partita riformista nel dialogo tra professione e imprenditorialità, tra ideazione e produzione, laddove, in definitiva, il compito della committenza, una «professione imprenditiva» a se stante, è chiamata a raccordare il Briefing alle Operations, in un quadro in cui la gestione patrimoniale immobiliare prevale quale elemento di continuità rispetto ai singoli interventi puntuali.

Si tratta di un primo passaggio che sottolinea la peculiarità di una evoluzione «immateriale», della quale un ulteriore indizio è fornito dalla popolarità crescente di schemi di certificazione come, ad esempio, WELL, oltre ai classici dispositivi di natura energetica e ambientale.

Queste tendenze, rivolte a introdurre la centralità dell’utenza, enfatizzano il ruolo del ciclo di vita che i cespiti, vale a dire i prodotti immobiliari e infrastrutturali, assumono.

Il che indica come la nuova industrializzazione (edilizia o infrastrutturale), investendo, appunto, i processi in termini operativi e non retorici, ragioni in termini reticolari, introducendo una intelligenza, più o meno centralizzata o distribuita, in grado di governare gli scambi e le transazioni commerciali per il tramite degli scambi e delle transazioni a livello informativo.

Questa osservazione spiega bene come tale cultura industriale non possa che cercare di archiviare il documento a favore del dato, tanto sul versante della Domanda quanto su quello dell’Offerta, ormai considerabili come sistemi di sistemi.

Se, pertanto, si adattano al caso specifico le categorie della modularità e della standardizzazione, sia pure mass customized, al processo, prima che al prodotto, si intuisce quanto sottile possa essere  l’essenza di questa trasformazione industriale che, direttamente o indirettamente, entro questa sfera, non si allontana dal bene tangibile.

Nel momento in cui, al contrario, le prestazioni, da essere relative al ciclo di vita del cespite o del contenitore, si focalizzano, nell’interazione, sul ciclo della vita degli utenti, la rilevanza dell’«immaterialità» diviene evidente.

A questo punto, il settore si trova a essere confrontato con l’intangibile.

Non per nulla, le riflessioni precedenti inducono a concentrarsi sempre maggiormente sulle nozioni di piattaforma e di piattaformizzazione, sulle quali probabilmente si gioca la partita fondamentale per il settore.

Piattaforme e piattaformizzazione

L’Industrializzazione edilizia appartiene, di diritto, sia pure in modo controverso, a un periodo della storia del settore della costruzione e dell’immobiliare in Italia che vide la maggiore intensità nel corso dei Gloriosi Trenta (1945-1973), connotando, a livello internazionale, entrambi i versanti della cortina di ferro.

Tale vicenda, sul piano strettamente storiografico, per il Nostro Paese è stata definita, con alcune buone, sia pure non definitive, ragioni, come estemporanea, persino autoreferenziale, in quanto latrice di innovazione radicale, nei confronti di una maturazione industriale del settore assai più incrementale.

L’introduzione della cultura industriale, specie come emulazione delle prassi manifatturiere, è, d’altronde, un tema classico, ormai centenario, mai completamente risolto, che, in precedenza, era stato declinato sotto un profilo più strettamente legato alle tecnologie costruttive, come prefabbricazione, specie in conglomerato cementizio armato e, più raramente, in acciaio, oppure ai modelli organizzativi legati ai grandi programmi di investimento (concernenti, ad esempio, l’edilizia scolastica o quella residenziale), come, appunto, processo.

A questo proposito, è utile domandarsi se gli investimenti di Next Generation EU rivolti, ad esempio, all’edilizia ospedaliera o scolastica saranno attuati attraverso commesse e procedimenti puntuali oppure tramite programmi strutturali e accordi quadro, come, appunto, già accadde.

Ancora una volta, si può intuire quanto i mutamenti industriali siano, dunque, attinenti ai processi organizzativi e contrattuali, non solo tecnologici.

Per certi profili, all’interno di un declino maturato negli Anni Ottanta del secolo scorso, è, infatti, possibile affermare che i processi Industriali(zzati) siano risultati ancor meno efficaci delle tecnologie a essi sottese.

A livello internazionale, oltre che continentale, come già osservato in molteplici occasioni, nell’ultimo lustro, i cosiddetti moderni metodi della costruzione hanno, sorprendentemente goduto di un vasto ritorno di popolarità, all’insegna della trasformazione digitale e delle tecnologie costruttive in legno, vale a dire secondo un’ottica ossimorica, per così dire, di serialità unica, che, giustamente Daniel Hall ha collocato tra mass customization e additive manufacturing, entro una ottica di apertura delle piattaforme sottolineata da Luigi Mosca, e che giace alla base del recente white paper curato da Sumit Oberoi e Daniel Waha: tutti, o quasi, osservatori e studiosi con cui lo scrivente condivide ambiti di riflessione e di confronto, sulla cosiddetta Third Platform.

Alle nostre latitudini, poi, la prospettiva industriale, pregna di integrazione tra funzioni committenti, progettuali e costruttive racchiuse nell’acronimo DfMA (Design for Manufacturing & Assembly), ha iniziato a essere confrontata colle istanze di recupero e di riqualificazione (energetica e sismica), da tempo supportate da politiche di incentivazione fiscale e finanziaria, attualmente evidenziate dai cosiddetti iper o super bonus.

È, inoltre, in atto uno storytelling, a opera di società di consulenza come McKinsey o Roland Berger che, a seguito di un mainstream praticato, in precedenza, anche da Accenture, BCG, Cap Gemini, EY, KPMG, tende a rafforzare l’approccio rivolto alla industrializzazione edilizia, nell’ottica post-pandemica definita come New Normal, nuova normalità.

È interessante osservare, però, sotto questo profilo, che la narrazione proposta, in particolare, da McKinsey, accentui il ruolo della productivization, restando, dunque, legata al retaggio dei Gloriosi Trenta, per quanto i riferimenti possano risultare aggiornati ai fattori summenzionati (non solo la digitalizzazione, ma anche, tra gli altri, la circolarità e la sostenibilità).

Tutto ciò avviene in un contesto di rilancio dell’ingegneria dei sistemi, altro cavallo di battaglia degli Anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, secondo tassonomie precisate dallo stesso Daniel Hall, con riferimento al mercato statunitense, così come da Jennifer Whyte e da altri studiosi, anche per conto del World Economic Forum.

Cercando di recuperare le fila del ragionamento, la posta in gioco risiede nella ridefinizione dei ruoli degli attori e nel riposizionamento degli operatori in catene di valore anch’essi in corso di rivisitazione.

Di ciò, tuttavia, non appare immediatamente il risvolto principale, che è intangibile, essendo basato su norme contemporanee quali le EN ISO 23386 e 23387, nonché su quelle future relative alle ontologie e alle semantiche connesse ai linked data.

Illuminante, a tal proposito, è l’iniziativa che prende il nome di Digital Supply Chain in Built Environment (DSCiBE), tesa a introdurre nel settore logi(sti)che digitalmente abilitate.

È questa una visione condivisa da molte società tecnologiche, specie da quelle meno legate agli aspetti immateriali tipici, invece, di quelle che agiscono nei social network, ma, comunque, alle prime accomunate dalla grande partita relativa ai web service.

Tutto ciò spiega quale sia il significato attribuito alle product platform, di ispirazione manifatturiera, in voga, ad esempio, nel Regno Unito o a Singapore, sostenute vigorosamente dai governi di quei Paesi entro una linea ideale che si diparte dalle politiche industriali dei primi Anni Dieci ispirate al Building Information Modeling di Paul Morrell o dello UK BIM  Task Group e sfociate nel National Digital Twin di Mark Enzer o del CDBB.

Accanto, però, alla productivization, che ambisce a creare un sistema di configuratori generativi che permettano di ottenere soluzioni progettuali e realizzative sartoriali anche in presenza di interventi di riqualificazione energetica e di miglioramento sismico, sta la servitization, il cui fine ultimo è, appunto, quello di considerare i cespiti edilizi e infrastrutturali quali veicoli, mezzi, per erogare servizi alle persone con elevato valore aggiunto e considerevole marginalità.

Per questa ragione, ponendo al centro le Operations, i comportamenti e le esperienze innescano i nuovi organizational & business model che costringeranno gli operatori tradizionali del settore a trovare intese e ibridazioni con le entità che mettono a disposizione i meta-servizi come il cloud computing e che dispongono della capacità di profilare, di tracciare e di connotare gli utenti, i loro sentimenti, le loro emozioni, i loro desideri.

Quello che conta, a partire dalle platform, è l’essenza della platformization, ben spiegata dal digital banking, tesa a raggiungere gli intimi stati d’animo dei potenziali e degli effettivi clienti, per offrire loro prodotti finanziari che penetrino nel vissuto esistenziale.

Insurgent & Incumbent Player

Come è stato evidenziato anche dal webinar promosso da ASSIMPREDIL ANCE e CRESME, dall’ultimo convegno organizzato da DIGITAL&BIM ITALIA a Bologna, e ancor prima, dal Workshop tenutosi al MADE EXPO a Milano, la grande sfida dell’ambiente costruito vede le Technology Company, anzitutto, come fornitori di infrastrutture abilitanti dei web service in cloud, non per nulla uno dei terreni di confronto Principali, assieme al 5G, nel primo tema tra l’Unione Europea e le società tecnologiche.

Da lì partirà la piattaformizzazione vera e propria del settore, grazie a BI (Business Intelligence) e ad AI (Artificial Intelligence), perché la vertenza intercorribile tra soggetti tradizionali e nuovi arrivati investe, in primo luogo, le intelligenze intangibili di sistema, non solo i rapporti negoziali del tangibile.

Bisogna, infatti, ricordare che la posta in gioco finale non consiste esclusivamente nel potenziare le capacità di transazione nell’e-procurement e sui digital marketplace, abilitate da numerosi web service, bensì pure, e soprattutto, nel mitigare i rischi attraverso analitiche predittive che potrebbero selezionare preventivamente e pregiudizialmente i candidati agli scambi.

Interviene, a questo proposito, l’interrogativo fondamentale che riguarda quale differenza, scontata la diversità tra analogico e digitale, vi possa essere, nei fattori specifici, tra la vecchia e la nuova industrializzazione edilizia.

Detto con parole più immediate: quali dovrebbero essere gli elementi causali che indurrebbero davvero il settore a una «svolta» intimamente selettiva e aggregativa che, comunque, riforma a menzionare, ripetitività, modularità, normalizzazione?

Ecco perché, a fronte di un cambio di paradigma, denominato The New Normal, digitally enabled e climate neutral, che, se fosse adottato risulterebbe sconvolgente in termini di aggregazione e di integrazione, serve capire quale possa essere la via migliore per orientare il settore a comprendere e ad adottare le istanze più profonde della Quarta Rivoluzione Industriale.

È chiaro che, per rispondere all’interrogativo, occorre riannodare le fila di una evoluzione incrementale subita o agita dal settore dal 2008 in poi, così come il CRESME l’ha ricostruita, di per sé di non lieve entità.

Il punto, però, è che, nonostante che le caratteristiche della Domanda siano considerevolmente mutate rispetto al recente passato, condizionando pesantemente l’Offerta, quest’ultima, pur mutando, in parte, l’oggetto delle proprie attività, ha, per così dire, differito una serie di questioni (da quella dimensionale a quella identitaria) che il passaggio verso la nuova nozione di ambiente costruito nell’ottica della cultura industriale, attualmente rende ineludibili.

È per questo motivo che, anche limitandosi alla produttivizzazione, cioè alle piattaforme di prodotto che gestiscono le combinatorie tra componentistiche su telai predeterminati, le categorie della collaborazione e dell’integrazione sollecitano le relazioni tra culture professionali e imprenditoriali, oltreché stressano le modalità aggregative tra le micro, le piccole e le medie organizzazioni.

Qualora, poi, si evadesse dalla tangibilità per inoltrarsi nell’intangibilità, la sfida della servitizzazione apparirebbe ancora più impegnativa in termini di riconfigurazione del settore e del mercato corrispondente.

Il che spiega perché le strategie che si riconducono agli investimenti pubblici infrastrutturali riconducibili a a ESM e a RRF, così come le incentivazioni inerenti ai bonus e ai super bonus, richiederebbero oggi, nella prospettiva di Next Generation EU, la definizione e la condivisione tra decisori istituzionali e rappresentanze di una politica industriale articolata su più orizzonti temporali e su molteplici piani relazionali.

Da questo punto di vista, il settore, nel suo complesso, così come sta facendo, in altri contesti, il mondo (conf-)industriale, deve forzatamente guardare a Italia 2030 e a Italia 2050, oltre che al 2021, tenendo, peraltro, in conto che probabilmente potrebbe trovarsi nella positiva condizione di avere sofferto le conseguenze della pandemìa meno di altri e di risultare come uno dei principali destinatari e protagonisti degli investimenti cospicui previsti.

Le grandi sfide per il settore in Next Generation EU staranno, infatti, nella ridefinizione della mobilità, dell’educazione e della assistenza ove i cespiti tangibili divengono strumenti cognitivi e comportamentali. 

Occorre evitare di stilare elenchi di opere convenzionali.

Il grande portato dei collaborative framework, di per se stessi emblematici della crasi tra culture organizzative, giuridiche e tecnologiche, per Next Generation EU consiste nell’assicurare la sintesi e il dialogo flessibili ed evolutivi tra culture professionali e imprenditoriali verso una integrazione che riveli una essenza da autentica Quarta Rivoluzione Industriale.

D’altra parte, se oggi è possibile facilmente dimostrare come la Sanità o la Scuola necessitino di investimenti (pubblici e partenariali), è altrettanto agevole spiegare come non abbia più senso considerare separatamente la (ri)qualificazione degli operatori e dei cespiti attraverso cui essi agiscono.

Il compito della politica industriale per il settore dell'ambiente costruito

I caffé storici di Milano, così come di Torino, si trovano, almeno in parte, ancora nei luoghi originarî, per quanto abbiano smarrito l’aura otto-novecentesca e siano sottoposti a procedure di medicalizzazione, a testimoniare la «concretezza» e la permanenza del costruire, inteso nel senso più comprensivo.

I materiali, i componenti, le attrezzature, i macchinari, così come i saperi dell’ingegneria strutturale ed energetica, si sono straordinariamente evoluti nel corso dei decenni, ma oggi due appaiono i temi cruciali: la «corsa allo spazio» e il «procedere per programmi», due temi, anch’essi, per certi versi, antichi, che ineriscono alla ideazione e alla esecuzione.

Entrambi, in fondo, dipendono dalla centralità a cui sono assurte, grazie alla digitalizzazione, i servizi che generano valore mediante la erogazione/produzione di esperienze.

Se si rivolge lo sguardo al settore dell’autoveicolo, ad esempio, accanto alla integrazione della catena di fornitura e alla innovazione nei sistemi di alimentazione, si nota come, in relazione alle forme di guida autonoma e semi-autonoma, si stia sviluppando una riflessione «spaziale» sull’ecosistema costituito dell’abitacolo, poiché i comportamenti degli individui interconnessi sono soggetto/oggetto dei nuovi business model.

Al contempo, collocare il singolo intervento all’interno di un quadro programmatico di investimenti che metta a sistema diverse tipologie di operatori, per quanto abbia fornito esiti discutibili nel secolo passato, consentirebbe la configurazione di soluzioni diversificate entro contesti unitari che dipendono prevalentemente da variabili tecnico-organizzative e giuridico-contrattuali.

Per queste ragioni, se si guarda a Next Generation EU sotto il profilo della resilienza e della ripresa, sullo sfondo dei grandi temi ambientali e digitali, ripensare le relazioni tra Domanda (Pubblica, in primo luogo) e Offerta vuol dire riconfigurare un sistema di sistemi per davvero, sul serio, non cercare di sostentare, in qualche modo, il lascito del passato, più o meno recente.

È questo il compito di una politica industriale per il settore dell’ambiente costruito, non più rinviabile, che interroghi i soggetti, i loro rapporti, le loro identità, le loro dimensioni, i loro prodotti.

Se si prende per buono il concetto di sistema di sistemi è chiaro, dunque, che occorre ragionare sul riposizionamento degli attori.

Sarebbe facile gioco ripensare ai numerosi volumi su cibernetica e ingegneria dei sistemi che, negli Settanta, giacevano sulla scrivania e nelle librerie di mio padre, così come ad alcuni suoi editoriali profetici di quegli anni su Prefabbricare-Edilizia in Evoluzione, ma il punto è che laddove, come in premessa, si ipotizza che il settore si articoli in sistemi di sistemi o in piattaforme di piattaforme, evocando la BPMN (Business Process Model and Notation) 2.0, è d’uopo chiedersi chi occupi la lane principale.

Più in generale, come detto, riprendendo la nozione, ancora una volta originata nel settore della manifattura, di gemello o di specchio digitale, estendendola, appunto, non solo all’ambiente costruito, ma pure a quello naturale, è possibile comprendere l’entità della sfida che la trasformazione digitale pone.