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Resiliente, sostenibile e salubre: come immaginare il futuro dopo il COVID19

Ci siamo svegliati e in un giorno siamo passati dalla civiltà della mobilità all’obbligo dell’immobilità, dalla presunzione di essere i proprietari del mondo ai timori per la nostra salute e per le nostre finanze, ci siamo scoperti ancora più fragili e abbiamo dovuto sperimentare chiare conseguenze sull'economia, sulle persone e sul nostro modo di vivere.

L’umanità non ha bisogno di uccidersi per soffocamento perché l’ossigeno si esaurisce e perché le alghe marine e le foreste tropicali vengono distrutte, e neppure perché si espone volutamente al pericolo della radioattività: basta che – l’uomo moderno- distrugga tutti i suoi nobili valori umani per andare a fondo!

Vogliamo iniziare queste considerazioni da questa frase estratta dal libro-intervista a Konrad Lorenz, premio Nobel per la medicina nel 1973, di Kurt Mundl, pubblicato nel 1988, per iniziare ad esaminare quale può essere una nuova visione del società e del ruolo di tutti i vari soggetti che la compongono, in particolare immagino il ruolo delle imprese nel contesto specifico della sicurezza a 360°.

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Per creare una società ResilienteSostenibile e Salubre

Per creare una società Resiliente, Sostenibile e Salubre, saranno necessarie scelte importanti,  un nuovo percorso che qualche mese fa non immaginavamo neanche, perché è ormai chiaro in modo evidente a tutti che persone sane in luoghi sani equivalgono a un'economia sana.

Della necessità di rigenerare l’ambiente in cui viviamo ne eravamo a perfetta conoscenza, ma la recente pandemia ci ha toccato ancora più da vicino. Ci siamo svegliati e in un giorno siamo passati dalla civiltà della mobilità all’obbligo dell’immobilità, dalla presunzione di essere i proprietari del mondo ai timori per la nostra salute e per le nostre finanze, ci siamo scoperti ancora più fragili e abbiamo dovuto sperimentare chiare conseguenze sull'economia, sulle persone e sul nostro modo di vivere.

Nonostante tutto stiamo reagendo, abbiamo trovato il modo di rafforzare i nostri legami, abbiamo appreso dai nostri figli ad adattarci ad un mondo sempre più digitale e, mentre le città di tutto il mondo stanno lavorando per appiattire la curva dei contagi e tornare a una qualche forma di normalità, abbiamo compreso che il mondo in cui stiamo tornando potrebbe assomigliare sempre meno a quello che ci siamo lasciati alle spalle. In breve, ciò che sta accadendo ci sfiderà in modi nuovi e in precedenza impensabili, essere resilienti - sia nel mondo degli affari che nella vita - richiederà ad ogni settore e individuo di adattarsi con ritmi e modalità che non avremmo mai pensato possibili.

Ma non basta, il dolore provato nel mondo con oltre cinquecentomila morti potrebbe essere dimenticato facendoci tornare come e peggio di prima, per questo motivo vogliamo  approfondire e riflettere assieme per diffondere una cultura civica che guardi al futuro.

 

I disastri ambientali costati oltre 450 miliardi di euro

I cambiamenti climatici e i disastri (naturali e non) generano situazioni di crisi che, in relazione alla loro portata, implicano notevoli sforzi statali per il loro contrasto in quanto gli effetti si riverberano sulla salute umana, sull’economia e sugli ecosistemi.

Ad esempio, stime dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) rendono conto dell’incremento previsto per i disastri naturali direttamente connessi con i cambiamenti climatici in atto, sia in termini di frequenza sia in termini di gravità degli effetti, con perdite economiche che potrebbero attestarsi a livelli nettamente superiori rispetto a quelli registrati dal 1980 al 2018 e pari a oltre 450 miliardi di euro (stima nei 33 paesi AEA).

A tale proposito, l’AEA ha presentato una relazione all’interno della quale ha manifestato l’esigenza di rafforzare ulteriormente la lotta ai cambiamenti climatici mediante un’integrazione delle strategie e piani nazionali di adattamento agli stessi con quelle di riduzione del rischio di catastrofi. Tutto ciò potrebbe essere concretizzato attraverso nuovi modelli di governance del cambiamento climatico caratterizzati da un collegamento tra il livello nazionale e quello locale e da modalità intersettoriale su scala europea. Una cooperazione più forte a livello di politiche di prevenzione dei rischi di catastrofi naturali, una maggiore coerenza degli interventi e l’utilizzo di metodi innovativi rappresentano strumenti essenziali per ridurre l’impatto dei fenomeni atmosferici e climatici (alluvioni, ondate di caldo, piogge torrenziali, straripamento di corsi d’acqua, tempeste di vento, frane, siccità, incendi boschivi, valanghe, mareggiate) e migliorarne la gestione. Trattasi non solo di politiche di pianificazione del territorio e di prevenzione del rischio, ma anche misure tecniche, modelli assicurativi e finanziamenti a lungo termine. L’attuazione concreta di questi strumenti e l’esecuzione in maniera efficiente genereranno, previsionalmente, notevoli vantaggi a livello di costi nonché di benefici.

 

Misure di prevenzione per limitare il rischio di crisi

Come linea generale strategica, le situazioni di crisi devono essere contrastate con strumenti “ex ante” (misure di prevenzione). Il rischio residuo che ne deriva, invece, deve essere mitigato con strumenti “ex post” (misure di protezione). Più ancora, vale la pena ricordare che quanto sta accadendo ci insegna che problemi complessi non possono più essere approcciati con soluzioni parziali e ciò impone di prevedere soluzioni integrate, sia per quanto attiene ad aspetti tecnici e prestazionali, sia per quanto attiene gli aspetti sociali, per i quali l’estrema connettività dei territori e delle relazioni – anche e soprattutto quelle di natura economica – spostano le criticità dal piano locale a quello globale e mai come in questo periodo ne siamo stati tanto consapevoli.

Il quadro metodologico delineato, che identifica precise gerarchie fra le misure, ha come obiettivo quello di stimolare la costruzione ed il rafforzamento di società resilienti, sostenibili e sane. 

Per plasmare un ambiente costruito migliore, va certamente ben conosciuto il concetto di sostenibilità, che nella definizione proposta nel rapporto “Our Common Future”, pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, viene definita come “uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. Dunque, nella corretta accezione contiene i tre aspetti principali: economica, ambientale, sociale.

Una forte propensione a procedere in tale direzione è riconoscibile anche nei recenti dettami UE che, tramite il Green Deal prevederanno ingenti investimenti, per i quali servirà agire sulla rigenerazione a livello di città ma anche a livello di aree interne del Paese, ma soprattutto, servirà rendicontare all’Europa gli effetti degli interventi con strumenti di valutazione quantitativa e prestazionale internazionalmente riconosciuti. È questo per l’edilizia il caso dei protocolli energetico-ambientali rating system.

Anche in Italia la applicazione dei protocolli energetico-ambientali per l'edilizia sostenibile si è già imposta almeno nelle principali opere private oltre che nella normativa inerente gli acquisti verdi della pubblica amministrazione (Green Public Procurement), potendo in tal modo considerare l'intero ciclo di vita della costruzione e dell’urbanizzazione in conformità al recente reporting system europeo per l’edilizia denominato LEVEL(s) ed emanato dalla DG Ambiente UE. 

 

Il concetto di Resilienza

Riteniamo altresì necessario introdurre il concetto di Resilienza soprattutto se applicato alla società civile, per il quale è opportuno fare riferimento al quadro di riferimento di Sendai (Sendai framework) in cui la “vision” è totalmente orientata a costruire la resilienza delle nazioni e delle comunità alle catastrofi passando “da una cultura della reazione a una cultura della prevenzione”.

Per “resilienza” si intende la capacità di un sistema di assorbire gli effetti negativi di un fenomeno e riorganizzarsi, così da recuperare tempestivamente le sue funzioni, la sua struttura, le sue relazioni interne ed esterne. La resilienza può essere costruita tramite una efficiente ed efficace azione di prevenzione. Il quadro di riferimento di Sendai, all’interno e trasversalmente ai diversi settori ed ai livelli locali, nazionali, sovranazionali e globali, declina la prevenzione attraverso quattro pilastri (o priorità).

Per quanto attiene al tema della salubrità, vari sono gli spunti che ci inducono a vederlo come un ambito necessario, ben prima della attuale crisi pandemica, da circa dieci anni l’organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto l’inquinamento dell’aria come il “fattore di rischio maggiore” delle malattie non trasmissibili (NDC) considerate all’origine del 70% dei decessi in tutto il mondo. 

Uno studio italiano del 2016 ha mostrato che l’incidenza delle malattie respiratorie, proprio in virtù della pessima qualità ambientale interna degli edifici e del fatto che passiamo oltre il 90% del nostro tempo in ambienti confinati, è più che raddoppiata in 25 anni (dal 1985 al 2011): Attacchi d’asma +110%; Rinite allergica +130%; Espettorato frequente +118%; Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) +220%. Se tutto ciò non bastasse, l’attuale pandemia ha fornito un ulteriore perentorio minuto.  

Tutto ciò ci insegna in modo concreto come gli obiettivi di Resilienza, sostenibilità e salubrità siano da affrontare in modo integrato e inscindibile: “healthy people in healthy places equals a healthy economy”, ed è proprio di un approccio integrato ed una visione di lungo periodo ciò di cui abbiamo bisogno se vogliamo ripartire in modo concreto ed efficace 

Non possiamo che incamminarci su questo sentiero, ascoltando le tante esortazioni esplicite. Vale ricordarne alcune, iniziando dai più famosi: l’Enciclica a Laudato si’ di Papa Francesco; le recenti scelte della Banca Europea degli Investimenti; ma non dimenticandoci di alcuni ulteriori, forse più tecnici ma non meno importanti, il riferimento è ai modelli economici di “directed technological change” (sviluppo tecnologico 'direzionato', American Economic Review 2012, 102(1): 131-166) sviluppati da due degli economisti più prestigiosi dei nostri giorni, Daron Acemoglu e Philippe Aghion, secondo i quali con incentivi, tasse e sussidi a investimenti e ricerca green si può raggiungere l’obiettivo dello sviluppo sostenibile e che i ritardi nell’intraprendere questa direzione renderanno peggiore la performance futura delle economie.

Dobbiamo incamminarci su questo sentiero con una strategia chiara che, mettendo la persona al centro ed in equilibrio con l’eco sistema in cui vive, sia capace di generatività e ricchezza di senso del vivere. 

 

Una strategia per il post Covid

Una strategia che pensiamo si possa fondare su alcuni pilastri.

  • Pilastro 1: Creare un quadro conoscitivo dei rischi funzionale alla formulazione di politiche. Conoscere i rischi e le cause che li generano è alla base della formulazione di efficaci politiche di prevenzione. La comprensione di un fenomeno implica una fase preliminare di raccolta periodica, analisi, elaborazione e uso dei dati che lo descrivono, attraverso metodologie scientifiche e tecnologie sempre più all’avanguardia. Occorre, inoltre, sviluppare campagne efficaci per aumentare la consapevolezza e l’educazione pubblica sui disastri naturali e i loro potenziali effetti negativi. L’informazione geolocalizzata dei rischi deve essere aggiornata periodicamente e diffusa tempestivamente all’opinione pubblica e alle comunità più vulnerabili. Serve, inoltre, un continuo scambio di informazioni tra i Paesi, proprio perché i disastri naturali rappresentano un problema internazionale. Per cui, ad esempio, un Paese che di recente è stato vittima di un disastro naturale si trova nelle condizioni migliori per poter aiutare un altro Paese dove è stata prevista la possibilità che si verifichi il medesimo disastro.  Le organizzazioni internazionali svolgono l’importante ruolo di attivazione di uno scambio internazionale di esperienze. Alcuni dei principali protagonisti in questo ambito sono il UNOCHA (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affaires) che è la parte del Segretariato delle Nazioni Unite incaricata di riunire gli attori umanitari per garantire una risposta coerente alle emergenze; l’UNDP (United Nation Development Programme) che opera per sradicare la povertà proteggendo il pianeta, aiuta i Paesi a sviluppare politiche forti, competenze, partnership e istituzioni che possano sostenere i loro progressi; le ONG (organizzazioni non governative) e le organizzazioni regionali.
  • Pilastro 2: Potenziare la governance del rischio di disastri ai fini della gestione. La governance del rischio di disastri a tutti i livelli (all-of-society approach) è fondamentale per garantire una efficace ed efficiente prevenzione e gestione del rischio stesso. Servono piani opportuni, competenze adeguate, indicazioni efficaci, collaborazione e coordinamento all’interno e trasversalmente ai diversi settori. Le normative nazionali e locali devono essere costantemente migliorate, coordinate e indirizzate a guidare il settore pubblico e privato nella definizione di incentivi da destinare alla realizzazione di servizi e infrastrutture e al finanziamento di attività sostenute dai singoli, dalle famiglie, dalle comunità e dai soggetti economici. È necessario, dunque, un coordinamento internazionale.
  • Pilastro 3: Investire nella prevenzione dei rischi di disastri ai fini della resilienza. Il terzo pilastro si concentra sulla promozione di investimenti dell’UE destinati non solo alla conoscenza dei rischi, ma anche alla formulazione e all’implementazione di piani e di strategie volte a ridurre il verificarsi dei disastri in ogni settore.  Tali investimenti permettono di migliorare la resilienza economica, sociale, sanitaria e culturale dei Paesi e delle loro risorse (naturali e antropiche), delle comunità che li abitano e dell’ambiente in generale. Al fine della costruzione della resilienza, ad esempio, nella pianificazione urbana e nell’individuazione di zone sicure per l’insediamento umano, deve essere considerato il rischio di possibili effetti negativi derivanti dal verificarsi di fenomeni naturali estremi. Bisogna, altresì, assicurarsi che tale insediamento umano e le attività economiche ivi stabilite non vadano poi ad alternare i normali equilibri degli ecosistemi, ponendosi come fattori di generazione di ulteriori disastri naturali. Per garantire ad un sistema una maggiore capacità di assorbimento dei danni, occorre altresì investire nello sviluppo e nell’adozione di nuove tecnologie per le costruzioni edili e prevedere opportuni programmi di sussistenza per le famiglie. Elementi estremamente vulnerabili ai tornado sono, ad esempio, strutture leggere e abitazioni in legno, costruzioni informali e insediamenti di capanne, tetti e rivestimenti, alberi, ringhiere, segnali, pali telegrafici, cavi sospesi. Per assicurare la resilienza si possono sostituire tali elementi con strutture capaci di resistere all’impatto dei venti e progettare criteri per l’edilizia che contemplino la pressione del vento.
  • Pilastro 4: Aumentare la preparazione alle catastrofi per una risposta efficace e per realizzare pratiche di “Build-Back-Better” nelle fasi di recupero, ripristino e ricostruzione. Come analizzato, i disastri naturali sono in continuo aumento e sempre maggiore è il numero di persone e beni esposti agli effetti distruttivi di tali disastri. Le esperienze passate e gli scenari futuri non rosei fanno avvertire sempre più il bisogno di impiegare un numero maggiore di risorse nella preparazione della risposta agli eventi. Occorre, quindi, garantire che tutte le risorse siano attivate nei tempi, luoghi e modalità idonei per fornire un soccorso efficace a tutti i livelli. L’analisi degli eventi calamitosi più gravi ha messo in evidenza come le fasi di recupero, ripristino e ricostruzione, solo se adeguatamente pianificate prima che l’evento si verifichi, rappresentano un’opportunità per “ricostruire meglio”.  È necessario investire, sviluppare e implementare sistemi di previsione e di allerta precoce, multirischio e multi-settore, nonché organizzare prove di evacuazione e addestramento periodiche, così da assicurare una rapida dislocazione delle comunità colpite. Occorre accumulare scorte di cibo, medicinali e altri beni di prima necessità e rafforzare i meccanismi internazionali, come la “International Recovery Platform”, per la condivisione di esperienze e insegnamenti tra gli Stati. Gli Stati devono incoraggiare la partecipazione della società civile e delle organizzazioni di volontariato, del mondo accademico e degli enti di ricerca, nonché coinvolgere il mondo produttivo, le associazioni professionali e le istituzioni finanziatrici del settore privato; devono, infine, spingere i media ad assumere un ruolo attivo nella diffusione di informazione e nel far percepire i rischi dei disastri naturali come un valore pubblico.  Un Paese resiliente è quindi un paese che non pone rimedi estemporanei ai disastri naturali, ma, invece, trova un modo per potersi adattare ad essi. Il programma “100 Resilient Cities”, sviluppato e finanziato inizialmente dalla Rockefeller Foundation, aiuta le città del mondo ad intraprendere la strada verso la resilienza, così da fronteggiare le molteplici problematiche ambientali (da cui scaturiscono poi problematiche sociali ed economiche) che stanno bussando alle nostre porte.

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100 Resilient Cities logo, courtesy Rockefeller Foundation

Creare un nuovo modo di vivere e abitare

Seguendo quanto in precedenza delineato si deve aggiungere un’altra riflessione, che ha maggiormente a che vedere con, quello che potremo chiamare:

  • Pilastro 5: Ripensare e Rigenerare le nostre città, Quartieri, Periferie, creando un nuovo modo di vivere e abitare. Questo Pilastro, sarà una azione fondamentale e integrata con i punti espressi in precedenza. Occorre una grande azione di riqualificazione e rigenerazione dei luoghi dove si vive e lavora, dove ci si istruisce o si fa cultura, favorendo e incentivando tutte le azioni ed opere che garantiscano in tempi certi e con una programmazione pluriennale, la sostenibilità, la sicurezza, la salubrità, dunque un adeguato spazio del vivere, compresa la qualità del verde, della mobilità, e dunque una nuova cultura dell’abitare. Il pilastro 5 è dunque intrinsecamente connaturato allo schema di incentivi che ne deve conseguire, portando quantomeno un duplice vantaggio: ridurre l’impatto ambientale, considerato che la filiera edilizia impatta direttamente su 11 dei 17 obiettivi per il clima delle Nazioni Unite; mobilitare rapidamente l’economia e l’attrattività del Paese per gli investitori nazionali e esteri. Rimane comunque chiaro che tale azione è strettamente collegata a processi di rendicontazione, verifica e certificazione robusti, volti a garantire le prestazioni ambientali previste a dai singoli progetti mediante verifiche e ispezioni anche in fase di cantiere e durante i collaudi delle opere. Strumenti adeguati a tal fine e riconosciuti a livello europeo e internazionale ne abbiamo, si tratta solo di rapplicarli. Nello specifico si fa riferimento ai Criteri Ambientali Minimi per l’edilizia del Ministero dell’ambiente, applicabili alle opere pubbliche e, nel settore privato i protocolli energetico-ambientali (rating system) nazionali e internazionali, strumenti che in modo pragmatico e concreto consentendo di aumentare la trasparenza dei processi di appalto e diminuire i fenomeni di corruttela, grazie anche alle verifiche di conformità operate da organismi terzi, dunque indipendenti da tutti gli attori del processo, siano essi progettisti imprese, collaudatori o altri.

Una parte importante di Paese che più rapidamente  può perseguire elevati obiettivi di resilienza, sostenibilità e salubrità come modello, l’Italia lo ha già: sono le nostre Aree Interne, i nostri Borghi

 

I Borghi del nostro Paese. 

Si questo è un’altro punto sul quale occorre investire del nuovo vivere e lavorare e per una nuova cultura dell’abitare. Invertire la tendenza che ha comportato negli anni all’abbandono o comunque allo spopolamento di luoghi pieni di cultura, tesori naturali, riappropriandoci di condizioni di vivere e lavorare che sembrano lontani, ma che possono essere vicini attraverso l’implementazione digitale e la mobilità sostenibile e dolce tra Città Metropolitane e quelle che potremmo definire Micropolitane.

Fondamentale per questo programma, è il ruolo delle imprese che debbono scommettere in un lavoro più qualificato e giusto, che valorizzi realmente le risorse umane e dunque i vantaggi che si possono creare in queste nuove realtà. Non serve poi andare tanto lontano per trovare modelli positivi di questo genere, anche in Italia ne esistono e sono di grande successo.

Su questo programma e schema generale la Politica ed il sistema delle imprese Italiane, in primis quelle appartenenti alle filiere dell’abitare e della sicurezza, possono dare  un contributo fondamentale, in quanto proprietarie del “lavoro” e delle “tecnologie innovative”. Sono sempre di più i gruppi industriali grandi ma anche medi e piccoli, hanno intrapreso della sostenibilità.

 

Questo vale in tutti i settori produttivi del Paese.

Vale però la pena di rimarcare che i singoli attori economici da soli tutto ciò non lo potranno attuare. in tale senso diventa fondamentale un programma politico integrato ambizioso e lungimirante, un nuovo patto sociale che sappia cogliere le sfide che la nuova Governance Europea si è posta per il prossimi 7 anni, ed inoltre da subito con i programmi di “Ricostruzione”, previsti con il fondo Next Generation UE”.

Proprio per l’attuazione di questo piano Europeo ogni Paese dovrà presentare “un piano nazionale di ripresa e resilienza”. Come si può ben capire , l’occasione è unica e dobbiamo coglierla consapevoli che chiedere i fondi assegnati all’Italia ci porrà non poche responsabilità, tra le quali, da un lato la necessità di obbiettivi chiari e realizzabili, dall’altro lato sistemi di rendicontazione robusti, internazionalmente validati e agganciati, ad esempio per il settore edilizia, al recente reporting system europeo voluto dalla DG Environment EU denominato LEVEL(s).

La debolezza con la quale molti Paesi, hanno affrontato l’emergenza COVID-19, Stati Uniti, Russia ed Inghilterra per primi, può diventare la forza di un’Europa ricca di conoscenze e di sapere e padrona della bellezza unica al mondo che è la nostra cultura.

Dobbiamo saperla usare, se non vogliamo tornare nell’oblio, concentrando gli sforzi per ottenere un ambiente costruito più resiliente, sostenibile e salubre, capace di valorizzare e di riportare in primo piano i tratti distintivi della nostra cultura del buon vivere