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I gas di combustione generati dagli incendi di rifiuti e la loro tossicità

Si discute della problematica degli incendi di rifiuti con particolare riferimento ai prodotti della combustione, segnatamente i gas, evidenziandone altresì la pericolosità e caratterizzandone l’entità attraverso i fattori di emissione.

Il presente lavoro intende esaminare la problematica degli incendi di rifiuti con particolare riferimento ai prodotti della combustione, segnatamente i gas, evidenziandone altresì la pericolosità e caratterizzandone l’entità attraverso i fattori di emissione. 

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Gli incendi di rifiuti

È noto come il fenomeno degli incendi dei rifiuti sia da sempre molto sentito ed è indubbio che negli ultimi tempi si sia notevolmente diffuso, destando forte preoccupazione nella collettività.

I dati sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali
Si cita, a tal fine, la relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati del 17/1/2018, in cui si è evidenziato che dal 2014 all’agosto del 2017 si sono verificati 261 incendi (di cui 32 in discariche), distribuiti geograficamente per il 47,5% al Nord, il 16,5% al Centro, il 23,7% al Sud e il 12,3% nelle Isole. In pratica, trattasi di un evento ogni tre giorni, con il 2017 che ha fatto registrare il numero più alto di casi, anche se il trend crescente si era manifestato già dal biennio precedente [1]. Inoltre, nel periodo da giugno 2018 a maggio 2019 si sono registrati 262 incendi, ovvero uno ogni tre giorni, di cui 165 presso aree di deposito dei rifiuti [2]. 

In tale ottica, sono stati adottati e diffusi diversi atti normativi quali, ad esempio, la Circolare Ministeriale recante “Linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi” (nota prot. n. 1121 del 21/1/2019 della Direzione Generale per i Rifiuti e l’Inquinamento del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) e la nota del 13/2/2019, a firma congiunta del Capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e del Direttore Generale per i Rifiuti e l’Inquinamento, recante “Disposizioni attuative dell’art.26-bis, inserito dalla legge 1° dicembre 2018, n.132 – prime indicazioni per i gestori degli impianti”.

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Come evincibile dalla relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta, tra gli elementi valutativi che derivano dagli eventi considerati figurano, tra gli altri: “la fragilità degli impianti, spesso non dotati di sistemi adeguati di sorveglianza e controllo; la rarefazione dei controlli sulla gestione che portano a situazioni di sovraccarico degli impianti e quindi di incrementato pericolo di incendio; la possibilità determinata da congiunture nazionali e internazionali, di sovraccarico di materia non gestibile, che quindi dà luogo ad incendi dolosi “liberatori”” [1].

E’ altresì indubbio come il fenomeno in parola non possa non essere comunque collegato all’incremento della produzione dei rifiuti urbani e speciali in Italia, associato magari ad una filiera di trattamento non completa e proporzionata.

I dati di produzione dei rifiuti in Italia

A tal proposito, giova riassumere i risultati dei rapporti dell’ISPRA sui Rifiuti Urbani (edizione 2019) e sui Rifiuti Speciali (edizione 2020).

Dall’esame del Rapporto sui Rifiuti Urbani risulta che la produzione di rifiuti urbani nel 2018 è risultata pari a circa 30,2 milioni di tonnellate, con un aumento del 2% rispetto all’anno precedente, a cui si associa una produzione annuale pro capite di poco inferiore a 500 kg/abitante (2,2% in più rispetto al 2017). L’incremento della produzione complessiva dei rifiuti urbani nel 2018 si registra in tutte  le macroaree geografiche, con maggiore evidenza al Nord [3].
A fronte di tale produzione, si rileva una crescita nel 2018 della percentuale di raccolta differenziata, pari a 58,1% della produzione totale e di 2,6 punti maggiore rispetto al dato del 2017. In relazione alle singole macroaree geografiche, la percentuale di raccolta differenziata più alta si registra al Nord (67,7%), pur dovendosi comunque sottolineare la crescita nel 2018 della percentuale di raccolta differenziata in tutte le macroaree [3].

Per quanto riguarda i rifiuti speciali, la produzione nel 2018 è risultata pari a 143,5 milioni di tonnellate, con un aumento rispetto al 2017 del 3,3%. Cresce sia la produzione di rifiuti non pericolosi (+3,3%) che di rifiuti pericolosi (+3,9%) [4].

Il settore che contribuisce maggiormente alla produzione complessiva di rifiuti speciali è quello delle costruzioni e demolizioni (42,5%). Analizzando le singole categorie, si rileva che il settore delle costruzioni e demolizione si conferma per la maggiore produzione di rifiuti speciali non pericolosi (45,5%), seguito dalle attività di trattamento rifiuti e di risanamento e dal settore manifatturiero, rispettivamente, con il 26% e con il 18,6%; in riferimento invece ai rifiuti speciali pericolosi, si registra una maggiore produzione da parte del settore manifatturiero (37,1%), a cui fanno seguito le attività di trattamento rifiuti e di risanamento (33,7%) e il settore dei servizi, del commercio e dei trasporti (19,8%) [4].

I gas di combustione 

Uno dei principali problemi connessi con gli incendi di rifiuti è la produzione dei gas di combustione, la cui caratterizzazione dipende, come noto, dalla natura del combustibile, oltre che dal tenore di ossigeno e dalla temperatura di combustione. La mortalità che si registra in molteplici eventi di incendio è legata alla esposizione a tali gas, che non di rado risultano altamente tossici. Essendo il rifiuto per natura un materiale abbastanza eterogeneo, costituito sovente da un coacervo di frazioni e/o sostanze molto diversificate e talvolta pericolose, si pone il tema della identificazione dei possibili gas che possono prodursi a seguito di un incendio di rifiuti nonché della valutazione dell’entità degli stessi, anche dal punto di vista della pericolosità.

In generale, dalla combustione dei rifiuti si producono i cosiddetti macroinquinanti (si esprimono di solito in mg/Nm3), quali, ad esempio, particolato, gas acidi, ossidi di azoto e gas incombusti, ed i cosiddetti microinquinanti (si esprimono di solito in μg/Nm3), quali ad esempio i metalli pesanti ed i composti organoclorurati [5].

Tra i gas incombusti figurano alcali, aldeidi, chetoni, ammine e, in particolare, il monossido di carbonio, che si forma nelle reazioni combustione in mancanza di ossigeno sufficiente [5]. E’ un gas tossico che altera la composizione del sangue L’esposizione ad una concentrazione di 1,3% di monossido di carbonio genera istantaneamente incoscienza e addirittura la morte nel breve tempo. Una esposizione ad una concentrazione di 0,15% per 1 ora o di 0,05% per 3 ore può essere letale, mentre una percentuale dello 0,4% è mortale in meno di 1 ora.

Oltre al monossido di carbonio, è verosimile la produzione di acido solfidrico, laddove, in particolare, siano presenti in combustione materiali contenenti zolfo, quali gomme, pelli e lane. L’acido solfidrico è il gas dal classico odore di uova marce che, al crescere della concentrazione, diventa estremamente pericoloso e letale. A concentrazioni superiori a 10 ppm, può causare irritazione agli occhi e/o alle vie respiratorie. A concentrazioni superiori a 100 ppm diviene inodore a causa della paralisi dell'olfatto. A concentrazioni pari o maggiori di 500 ppm provoca danni al sistema nervoso; oltre i 700 ppm determina una morte immediata in tempi rapidi [6].

In presenza di zolfo, oltre all’acido solfidrico è possibile rinvenire l’anidride solforosa, gas irritante e pericoloso per esposizioni di breve durata alla concentrazione di 0,05%.

Laddove siano presenti sostanze contenenti cloro (es. materie plastiche), si può produrre acido cloridrico, gas acido, irritante e dall’odore pungente, che in concentrazioni di 1.500 ppm è letale in pochissimo tempo.

In caso di combustione incompleta di materiali tessili, come seta e lana, e di alcune resine, può formarsi acido cianidrico, che è un gas estremamente tossico, dall’odore di mandorle amare e letale ad una concentrazione di 0,03%. Si soggiunge inoltre che, in presenza di materiali plastici o che contengono cloro, può verificarsi la produzione di fosgene, un gas molto tossico, dall’odore di fieno ammuffito, abbastanza insidioso in quanto i sintomi relativi all’esposizione si manifestano dopo 24-72 ore, con successiva comparsa di edema polmonare, emorragie interne ed insufficienza respiratoria.

Altri composti che possono generarsi in caso di incendio sono gli ossidi di azoto NOx (detti NOx di conversione), in particolare il composto NO2, gas tossico di colore rossastro, irritante, dall’odore pungente e prodotto a seguito della combustione di materiali contenenti azoto quali, ad esempio, nitrocellulosa e nitrati organici. E’ letale in pochissimo tempo in caso di esposizione ad una concentrazione tra lo 0,02% e lo 0,07%.

Inoltre, in presenza di materiali contenenti azoto (lana, seta, materiali acrilici, ecc.), dalla combustione è possibile rilevare la formazione di ammoniaca, noto gas incolore, tossico, irritante, dall’odore pungente, che può provocare gravi danni all’organismo (se non addirittura la morte) in caso di esposizione per mezz’ora alla concentrazione di 0,25%-0,65%.

In relazione ai microinquinanti, la presenza dei metalli è strettamente connessa alla tipologia del rifiuto in combustione. Tra essi risultano di elevata tossicità il cadmio, il piombo, il cromo e il mercurio. I composti organoclorurati sono di natura organica ed estremamene tossici, quali, a titolo esemplificativo, policlorodibenzodiossine (PCDD) e policlorodibenzofurani (PCDF) [5]. 

È appena poi il caso di rammentare che dalla combustione dei rifiuti possono generarsi i cosiddetti “gas serra”, in particolare l’anidride carbonica, il metano ed il protossido di azoto [7].

Infine, non può non essere citato, quale rilevante prodotto dell’incendio, il fumo di combustione, costituito dalla dispersione di particelle solide nel flusso gassoso, che derivano da una combustione incompleta del materiale e da cui dipende il classico colore scuro dei fumi. E’ noto l’effetto irritante del fumo per le vie respiratorie, come pure, in caso di incendio, il relativo impatto negativo sulla respirazione, molto prima del raggiungimento della massima temperatura tollerabile per l’organismo.

Il particolato presente nei fumi, di natura organica, è costituito da particelle con dimensioni variabili, con valori inferiori al micron. Le particelle più pericolose sono quelle con dimensioni inferiori a 10 μm, in quanto inalabili e quindi potenzialmente dannose per l’apparato respiratorio [5].

La valutazione delle emissioni

Per determinare l’emissione di una sorgente è possibile far riferimento al fattore di emissione, che sintetizza l’emissione per unità di attività (ad es. quantità di inquinante emesso per unità di sostanza combusta – ginq/kgcomb). Il fattore di emissione si ricava dalla letteratura tecnico-scientifica di settore o da mirate sperimentazioni, ed è funzione del tipo di utenza, della tipologia di combustibile e del tipo di inquinante. In caso di sorgente fissa ad esempio, la portata massica di inquinante generato (kginq/anno) può essere determinata moltiplicando il fattore di emissione (kginq/tcomb o kginq/kgcomb o ginq/kgcomb) per il consumo annuo di combustibile (kgcomb/anno o tcomb/anno) [8].

Appare quindi evidente come sia opportuno individuare e definire convenientemente i fattori di emissione in caso di incendi di rifiuti, anche al fine di caratterizzare l’impatto ad essi relativo.

Da una analisi della letteratura di settore è possibile rinvenire utili indicazioni in tal senso; ci si soffermerà in particolare sui rifiuti solidi urbani. A tal fine, si farà riferimento ai dati relativi a tale tipologia di rifiuti e alle informazioni associate al fenomeno dell’open burning (“Combustione all’aperto di qualsiasi materiali senza ricorrere ad alcun tipo di sistema di controllo delle emissioni” [9]).

L’Emission Inventory Improvement Program (EIIP) dell’EPA (Environmental Protection Agency) riporta nello studio del 2001 i fattori di emissione in caso di open burning di rifiuti solidi urbani. In particolare, si riportano di seguito i riferimenti per i principali composti (Tabella 1). 

Tabella 1 – Fattori di emissione da open burning di rifiuti urbani (adattata da [10])

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