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Testo Unico Edilizia: l'uso temporaneo e difforme non può essere "rigenerante"

Un commento di Dalprato: una recente norma introdotta come modifica del testo unico dell'edilizia in vigore (Art. 23-quater) rischia di creare un'aberrazione, la rigenerazione urbana provvisoria

Dall’Edilizia uno schiaffo all’Urbanistica

Tra le innovazioni (o per dir meglio, le sorprese) delle modifiche apportate al Testo unico dell’Edilizia vigente dalla recente legge n. 120/2020 di conversione del decreto-legge Semplificazioni n. 76 dello scorso luglio è stato introdotto in extremis una norma di contenuto “urbanistico” che di fatto consente di bypassare le procedure urbanistiche per operazioni complesse, quali la rigenerazione urbana, il recupero di aree dismesse e degradate … che richiedono invece specifica e interprofessionale progettualità, 

L’Autore ne esamina in modo critico le disposizioni che per la loro intrinseca contraddizione rischiano di essere di difficile e controversa applicazione, di dubbia efficacia e scarsa trasparenza.


Il commento tecnico di Ermete Dalprato riprende una recente norma introdotta come modifica del testo unico dell'edilizia in vigore (Art. 23-quater) evidenziandone i limiti e pericoli. Considerato che questa norma è poi ripresa dalla bozza del nuovo testo unico delle costruzioni, è quanto mai di attuale attualità un'analisi che non riguarda solo il presente, ma anche il futuro della regolamentazione urbanistica.

Andrea Dari 


I precedenti

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A dire il vero che il Testo unico dell’Edilizia si sia anche in precedenza allargato (per così dire) nel campo urbanistico non è una novità: lo ha fatto fin dagli esordi con l’articolo 9, quando si è occupato di riportare la norma dell’edificabilità in assenza di strumentazione urbanistica (compito dell’edilizia è stabilire “come” costruire; “quanto” costruire è compito dell’urbanistica) o all’articolo 30 in merito alle lottizzazioni abusive, che però ha effetti diretti sulla repressione di attività illecite e, dunque, può essere motivato da ragioni di interesse generale e finalizzato ad un corretto uso del territorio.

In assenza di una legge urbanistica organica si può giustificare.

Questa volta però ha esagerato, sia nel contenuto che nel modo, perché lo ha fatto in un provvedimento di conversione di un decreto-legge dettato da ragioni d’urgenza e finalizzato dichiaratamente alla semplificazione. Est modus in rebus!

Ci riferiamo all’articolo numero 23-quater dell’attuale Testo Unico dell’Edilizia (l’ennesima integrazione del DPR380/01), frutto dell’integrazione dovuta alla lettera “m-bis” introdotta dopo il comma 1, lettera m) dell’articolo 10 del decreto legge n. 76 del 16 luglio 2020 in sede di conversione con legge n. 120 dell’11 settembre 2020.

Dunque frutto di una modifica della modifica dell’ultim’ora; un passeggero buttato su un treno in corsa all’ultimo momento: una seconda scelta in sostanza.

Devastante, anche se il titolo è apparentemente innocente: “usi temporanei”; cosa vuoi che incida un “uso temporaneo” ?


Gli Art. 23-quater. Usi temporanei

(articolo introdotto dall'art. 10, comma 1, lettera m-bis), della legge n. 120 del 2020)

1. Allo scopo di attivare processi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e favorire, nel contempo, lo sviluppo di iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale, il comune può consentire l’utilizzazione temporanea di edifici ed aree per usi diversi da quelli previsti dal vigente strumento urbanistico.

2. L’uso temporaneo può riguardare immobili legittimamente esistenti ed aree sia di proprietà privata che di proprietà pubblica, purché si tratti di iniziative di rilevante interesse pubblico o generale correlate agli obiettivi urbanistici, socio-economici ed ambientali indicati al comma 1.

3. L’uso temporaneo è disciplinato da un’apposita convenzione che regola:

a) la durata dell’uso temporaneo e le eventuali modalità di proroga;

b) le modalità di utilizzo temporaneo degli immobili e delle aree;

c) le modalità, i costi, gli oneri e le tempistiche per il ripristino una volta giunti alla scadenza della convenzione;

d) le garanzie e le penali per eventuali inadempimenti agli obblighi convenzionali.

4. La stipula della convenzione costituisce titolo per l’uso temporaneo e per l’esecuzione di eventuali interventi di adeguamento che si rendano necessari per esigenze di accessibilità, di sicurezza negli ambienti di lavoro e di tutela della salute, da attuare comunque con modalità reversibili, secondo quanto stabilito dalla convenzione medesima.

5. L’uso temporaneo non comporta il mutamento della destinazione d’uso dei suoli e delle unità immobiliari interessate.

6. Laddove si tratti di immobili o aree di proprietà pubblica il soggetto gestore è individuato mediante procedure di evidenza pubblica; in tali casi la convenzione specifica le cause di decadenza dall’assegnazione per gravi motivi.

7. Il consiglio comunale individua i criteri e gli indirizzi per l’attuazione delle disposizioni del presente articolo da parte della giunta comunale. In assenza di tale atto consiliare lo schema di convenzione che regola l’uso temporaneo è approvato con deliberazione del consiglio comunale.

8. Le leggi regionali possono dettare disposizioni di maggior dettaglio, anche in ragione di specificità territoriali o di esigenze contingenti a livello locale»;


La difficile individuazione della temporaneità

E invece no; chi ha anche modesta esperienza di vita amministrativa sa benissimo che non c’è nulla di più permanente di ciò che nasce temporaneo e dovrebbe saperlo anche il Legislatore del Testo Unico se è vero (com’è vero) che proprio di opere temporanee si è dovuto occupare nella prima stesura del DPR 380/01 quando aveva brillantemente risolto il problema vincolandone la permanenza all’esigenza temporanea (articolo 3, lett. e.5 ). (Di questo abbiamo già parlato – v. articoli “Opere Temporanee - conformi o compatibili del 21.11.2019).

Poi si è accorto che così facendo qualcuno giocava su periodi troppo lunghi di temporaneità (evidentemente artificiosi) e, col d.lgs. 222/2016, è intervenuto ponendo un termine fisso (di 90 giorni). (Anche di questo abbiamo già detto: v. articolo “Temporaneo e permanente - una differenza concettuale tradotta in numero” del 03.12.2019).

Poi qualcuno ha evidentemente ritenuto che il termine fosse troppo stretto e proprio nel decreto-legge n. 76/2020 (convertito nella legge n. 120/2020 di cui qui commentiamo l’aggiunta dell’articolo 23-quater) è ri-intervenuto ampliando il termine a 180 giorni. Un continuo ripensamento.

Le opere temporanee paiono innocenti, invece sono perverse perché poi si affezionano, si fanno voler bene e non vogliono più andar via. Mettono radici, scalpitano e tendono a diventare stabili invocando l’affidamento, l’assuefazione, il consolidato storico e … la difficoltà di estirparle.

Quando parla di una singola opera il Testo Unico dell’Edilizia sta nel suo e cioè parla di edilizia, ma quando all’articolo 24-ter parla di “edifici ed aree (cioè un insieme di edifici ed anche aree inedificate) esce dal seminato e invade il campo della pianificazione che, a rigore, non avrebbe titolo a calpestare.

Sì, proprio a calpestare, perché gli interventi di cui tratta - pur qualificati “temporanei” - non hanno termini di legge della loro permanenza (che sono rinviati ai comuni) e (se l’esperienza non inganna) si candidano a diventare stabili e di competenza di una materia più complessa che si chiama “urbanistica”. Diventeranno “elementi urbanistici” senza che nessuno se ne sia accorto.

D’altra parte è ben consapevole Lui stesso (il Testo Unico) del fatto che sta dando disposizioni urbanistiche, perché al comma uno si sbraccia a dire che lo fa per “attivare processi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi ….” (e chi più ne ha più ne metta) come se la pluralità (direi l’onnicomprensività) dei fini potesse ex sé legittimare il suo sconfinamento.

A parte considerazioni di forma - che qualcuno potrà anche considerare noiosi estetismi, ma che ritengo siano invece aspetti di competenza (nel senso di competenza tecnica e non di competenza formale-amministrativa) – aderiamo pure al principio che “il fine giustifica i mezzi” e (anche se i mezzi non paiono né giusti, né adeguati) parliamo dei “fini”.

Andiamo con ordine.

Cosa sono gli usi e a cosa stiamo derogando

La norma (comma 5) si premura di dire che “l’uso temporaneo non comporta il mutamento della destinazione d’uso dei suoli e delle unità immobiliari interessate”.

La distinzione tra uso e destinazione d’uso è sottile e oggetto di disquisizioni in dottrina e prassi cui hanno fatto seguito interventi legislativi e giurisprudenziali per definirne limiti, modalità (con o senza opere), atti abilitativi.

Per cui non entreremo oltre nel merito in questa sede se non per dire, in soldoni, che l’uso prevalente definisce la destinazione d’uso urbanisticamente rilevante cui sono connessi gli standards. La pianificazione però, (in funzione di come ha previsto gli standards) può consentire di affiancare alla destinazione prevalente anche destinazioni accessorie (generalmente solo quelle funzionali alla prevalente).

Se gli interventi sono davvero circoscritti nel tempo… nello spazio, cioè ad un periodo breve e ad ambiti limitati (e non a pezzi di città) siamo ancora nel campo edilizio. Ed infatti se si tratta di singoli manufatti temporanei già c’è l’articolo 3, lett. e5) e l’articolo 6; se si va oltre (nel tempo e nello spazio) si incide sugli standards e quindi sulla competenza urbanistica.

Il discrimine tra edilizia e urbanistica sta nell’estensione spaziale e in quella temporale

Qui il limite spaziale lo abbiamo già superato in premessa visto che riguarda più “immobili e spazi urbani dismessi” e potremmo fermarci qui; ma il limite temporale non è certo breve (come vedremo) per cui si tratta di un “cambio di destinazione d’uso con opere” sotto mentite spoglie.

Una dubbia temporaneità, non certo breve  

Infatti gli Usi disciplinati dall’articolo 24-quater sono già in partenza temporanei per modo di dire, visto che la loro durata non è definita (non hanno un termine massimo) ed è a libera discrezione dei comuni quando formalizzeranno la convenzione d’uso per “consentire l’utilizzazione temporanea di edifici ed aree per usi diversi da quelli previsti dal vigente strumento urbanistico” (comma 1) …… con anche possibilità di proroga (articolo 3, lett.a) !

Ancora non siamo partiti e già parliamo di “possibile proroga”.

Usi diversi con opere … 

La prevista convenzione che dovrà disciplinare gli “usi diversi” a norma del comma 4 costituisce poi “titolo per l’uso temporaneo e per l’esecuzione di eventuali interventi di adeguamento che si rendano necessari per esigenze di accessibilità, di sicurezza negli ambienti di lavoro e di tutela della salute, …”

Sapevo che il titolo per chiedere un permesso di costruire è (da sempre) un diritto reale (ex articolo 11, comma 1), mentre qui si attribuisce solo un diritto d’uso e dunque saranno ammesse opere soggette a sola s.c.i.a. (?) perché sennò violeremmo un principio cardine della materia edilizia fin qui indiscusso.

Così come è indiscusso che le opere soggette a permesso sono permanenti e non soggette neppure a revoca. O vogliamo violare anche questo principio cardine e prevedere opere con permessi a scadenza ? scadenza soggetta poi a “possibilità di proroga” ….

… e con rimessione in pristino … (dopo l’ammortamento però)

Le opere dovranno essere poco invasive visto che devono essere opere “reversibili” come vorrebbe il comma 4 (il condizionale è d’obbligo) e la convenzione deve prevederele modalità, i costi, gli oneri e le tempistiche per il ripristino” alla scadenza dell’uso permesso con le connesse “garanzie e penali” per inadempimento. 

A parte la considerazione che nella mia esperienza amministrativa ho visto poche “rimessioni in pristino al termine dell’uso” (ma questo potrebbe apparire un processo alle intenzioni che dipende evidentemente dalla mia limitata esperienza ...), va da sé che la durata dell’uso (la temporaneità) sarà connessa non tanto al tempo necessario all’espletamento della funzione, ma anche (o, forse, ancor più) ai tempi di ammortamento dei costi previsti per l’allestimento, per la rimozione e per le garanzie prestate.

Se l’operatore è privato non vorrà certo operare in perdita: né se interviene su beni pubblici (comma 6), né su sue proprietà (comma 2).

La finalità (ovvero l’obiettivo) …

Il tutto finalizzato, ripetiamolo perché aiuta, ad “attivare processi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione”.

Ora, personalmente, non riesco a concepire come si possa rigenerare, riqualificare e valorizzare pezzi di città con interventi provvisori e marginali, a meno di non voler credere all’incipit del comma appena citato che dice in effetti: “attivare”, e basta, poi rimessione in pristino.

In buona sostanza solo una spintarella, poi, una volta attivata, la cosa va da sola; una sorta di motorino di avviamento che poi spegniamo. Anzi togliamo proprio. Perché è un intervento temporaneo, come se fosse un sussidio a un’impresa.

La motivazione è generica e la metodologia contraddittoria

Sempre al comma 2 troviamo la motivazione per attivare la convenzione dell’uso: che deve stare nell’interesse pubblico e generale … (ci mancherebbe); ma l’urbanistica di per sé persegue l’interesse pubblico e collettivo) e infatti …. 

…. a quanto dicono i commi 2 e 3 quell’“interesse pubblico o generale” da perseguire deve essere “correlato agli obiettivi urbanistici, socio-economici ed ambientali” e per raggiungerlo …. operiamo però con “usi diversi da quelli previsti dal vigente strumento urbanistico”. Sono parole testuali. Non ho aggiunto nulla di mio. 

Imbarazzante e contraddittorio, come se la strumentazione urbanistica attuale perseguisse obiettivi diversi, incongrui e non più attuali: se così è cambiamoli subito!

Un capolavoro di bizantinismo e di contraddizione. E poi si dice la burocrazia …..

Che io ricordi – dal vecchio e superato nozionismo scolastico – gli obiettivi socio-economici e ambientali di pubblico interesse sono la mission (oggi si dice così) dell’urbanistica e parrebbe poco logico poterli perseguire in violazione delle prescrizioni urbanistiche.

Già, dimenticavo, c’è l’urgenza …

È una scorciatoia, meglio, un’elusione della pianificazione

Allora non nascondiamoci dietro ad un dito: nella migliore delle ipotesi è una scorciatoia per fare urbanistica senza seguire le regole dell’urbanistica; se qualcuno volesse pensar male (non certo io) potrebbe anche esser presa per mancanza di una strategia…. per cui si procede con l’occasionalità, se non con l’improvvisazione.

Ma la rigenerazione urbana non può diventare l’ombrello sotto cui far convergere e motivare ogni e qualsiasi intervento di deregolamentazione (né la pandemia la foglia di fico per giustificarlo). 

La rigenerazione urbana, la riqualificazione, il recupero e la valorizzazione di spazi urbani (costruiti o no) sono un tema serio che esige strategie complesse e integrate, in una parola, progettualità (anche fisica, disegno), se non della città intera, almeno di aree significative capaci davvero di incidere nel raggiungimento dell’obiettivo.

E non la casualità e la parcellizzazione degli interventi, perché qui la somma non fa il totale.

Questo però rappresenta oggi l’articolo 23-quater: l’elusione delle procedure urbanistiche, la negazione della pianificazione.

Gabellata come intervento edilizio, o poco più.

E negazione anche della partecipazione (che per l’urbanistica è prassi) visto che non figura mai l’obbligo della pubblicizzazione e della condivisione delle scelte. 

Dice: “sì ma le procedure sono lente e qui ci sta l’urgenza …”. Già, dimenticavo.

Ma le procedure chi la ha definite? Non sarà che la complessità delle procedure “a regime” sono l’alibi per poi sistematicamente eluderle?

Resterà norma a regime? cosa prevede il nuovo testo unico ?

Anche perché questa norma - nata come urgente in epoca di pandemia e, dunque, necessariamente passata come transitoria - si candida a diventare permanente (quando si dice la temporaneità …) e, a quanto ne so, ad essere recepita tal quale nel Nuovo Testo Unico in elaborazione. Dunque da modalità eccezionale di bypasse della strumentazione urbanistica, diventerà una tecnica permanente per eluderla. Un’elusione di legge legalizzata.


Abbiamo avuto l'ultima revisione della bozza del nuovo testo unico dell'edilizia, o Costruzioni visto il probabile ampliamento. Si tratta ancora di documenti che seppur in fase avanzata sono da considerarsi "di studio". E con l'obiettivo di contribuire alla realizzazione del miglior testo possibile, avviamo un percorso editoriale di riflessioni tecniche a cura di esperti del settore. Segnalo che il 4 dicembre il CENSU ha organizzato un evento su questi temi dal titolo "DECRETO SEMPLIFICAZIONI E DPR 380/2001". Certo è che considerata la vetustà del DPR 380, è necessario concludere il prima possibile la pubblicazione del nuovo testo.

Andrea Dari, Editore INGENIO


Qui sta il fascino trasgressivo di questa normativa che, non ho dubbi, non mancherà di avere apprezzamento e applicazione, perché piacciono i provvedimenti in cui è la legge stessa a consentire la sua disapplicazione. 

Ma invece di fare leggi di semplificazione di leggi complicate, lasciandole però in vita, non sarebbe meglio fare leggi semplici fin dall’inizio? meno speco di energie e più operatività.

Semplificare dovrebbe voler dire rendere semplice ciò che abbiamo artificiosamente reso complicato, non rendere semplicistico ciò che per sua natura è complesso.

E l’urbanistica è materia complessa non banalizzabile.

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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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