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Abusi edilizi, la Corte Costituzionale dice no: le opere fuori legge non si possono mai completare

La Corte Costituzionale boccia la norma della Regione Basilicata che consentiva di portare a termine i lavori a certe condizioni

Gli abusi edilizi non si possono mai completare. Il principio, forte e chiaro, viene ribadito dalla Consulta che, nella recente sentenza 233/2020 depositata il 9 novembre 2020, ha dichiarato anticostituzionale l’art. 47 della legge regionale n.18 della Basilicata (sostitutivo dell'art.5 della legge 19/2017), che interviene in materia di edilizia, disponendo in particolare che il completamento funzionale delle opere edilizie realizzate in assenza o difformità del titolo abilitativo possa essere autorizzato dai Comuni, attraverso i responsabili degli uffici tecnici, anche nel caso di immobili e aree paesaggisticamente tutelate.

Cosa prevedeva la legge della Basilicata

La legge consente il completamento delle opere edilizie allorquando:

  • a) il mancato completamento delle opere costituisca pregiudizio al decoro e/o alla qualità urbana dell’area e il completamento funzionale è oggetto di un apposito progetto sul quale si esprime l’ufficio tecnico comunale;
  • b) sia stato riconosciuto che il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile in quanto la demolizione delle opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo potrebbe pregiudicare strutturalmente la restante parte delle opere esistenti;
  • c) sia stata pagata la relativa sanzione;
  • d) per immobili o aree tutelate paesaggisticamente, le opere non devono costituire elemento retrattore alla corretta fruizione del paesaggio.

Le opere abusive vanno demolite

Ad avviso del Governo, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 31, 33, 34 e 36 del dpr 380/2001 (TU Edilizia), in base ai quali, in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità del titolo edilizio, è sempre prevista la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi, mentre la previsione regionale introdurrebbe nuove ipotesi in cui è possibile sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria, nonché nuove ipotesi di sanatoria diverse da quelle previste dal legislatore statale. 

La Consulta è dello stesso parere: si deve salvaguardare infatti il principio per cui l’opera abusiva debba, di regola, essere demolita e che possa essere conservata in via eccezionale previa deliberazione del consiglio comunale, relativa alla singola opera, che constati l’esistenza di prevalenti interessi pubblici (art. 31, comma 5 TUE).

Anche per le ipotesi di illeciti regolate dagli artt. 33 e 34 del dpr 380/2001, per le quali a certe condizioni è previsto che la misura di ripristino sia sostituita da una sanzione pecuniaria, in ogni caso non è mai consentito il completamento dell’opera abusiva, con il quale gli effetti dell’illecito sarebbero portati a ulteriore compimento.

La Corte Costituzionale osserva infatti che, non diversamente dal previgente art. 5 della legge reg. n. 19 del 2017, anche l’attuale art. 47 della legge reg. n. 11 del 2018 configura il completamento delle opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo quale esito ordinario della realizzazione di tale opera, introducendo una regola del tutto estranea alla normativa statale di principio.

Viene così infatti ad essere invertito «il rapporto fra “regola” (la demolizione) ed “eccezione” (le misure alternative alla demolizione), delineato dal legislatore statale all’art. 31, comma 5, del t.u. edilizia e si contraddice la scelta fondamentale espressa dal medesimo legislatore statale di sanzionare con l’obbligo della rimozione degli interventi abusivi e del ripristino dell’ordinato assetto del territorio le più gravi violazioni della normativa urbanistico-edilizia in ragione della entità del pregiudizio arrecato all’interesse pubblico» (sentenza n. 86 del 2019).

LA SENTENZA INTEGRALE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF

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