Il Consiglio di Stato si esprime, in una recente sentenza, su autorizzazione sismica e titolo in DIA/SCIA, ristrutturazione senza totale demolizione, sopraelevazione
Prestare molta attenzione alla sentenza 491 del 15 gennaio 2021 delv Consiglio di Stato, perché affronta una serie allargata di questioni rilevanti in materia urbanistico-edilizia, anche per quanto concerne le regole sismiche. Non solo: alla fine della 'fiera', Palazzo Spada esprime un parere di segno opposto a quanto fatto nella pronuncia 7151/2019.
Ma andiamo per ordine.
Secondo la relazione allegata alla denuncia d’inizio attività, le opere in contestazione, che avrebbero integrato un intervento di ristrutturazione edilizia conforme al Piano di recupero comunale, avrebbero dovuto comportare, col rifacimento dei solai, l’innalzamento di quota dell’unico piano originario (alto in origine metri 2,40 ÷ 2,45) ed il recupero del vano sottotetto, in precedenza accessibile solo mediante una botola, munendolo di scala interna e di finestrini per la sua aero-illuminazione, al fine di destinarlo ad “annesso non residenziale” per lavanderia e stenditoio e soffitta/deposito.
Il TAR per la Basilicata ha analiticamente esaminato e respinto, nel merito, i sette motivi di doglianza articolati dalla ricorrente che, tra l'altro, riguardavano:
Sulla scorta di quanto previsto dagli artt. 3 e 10, comma 1 lettera c), del dpr 380/2001, nel testo vigente al momento della presentazione della DIA (che oggi sarebbe SCIA) per l’intervento per cui è causa, la giurisprudenza ha individuato due ipotesi di ristrutturazione edilizia: la ristrutturazione edilizia cd. “conservativa”, che poteva comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifica della sagoma, e la ristrutturazione edilizia cd. “ricostruttiva”, attuata mediante demolizione, anche parziale, e ricostruzione, che doveva rispettare il volume e la sagoma dell’edificio preesistente (configurandosi, in difetto, una nuova costruzione), sicché la ristrutturazione edilizia senza demolizione e ricostruzione non doveva necessariamente rispettare l’originaria sagoma e volume del fabbricato, essendo ammessi l’inserimento di nuovi volumi o modifiche della sagoma tali da portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente (ex ceteris, C.d.S., sez. II, 29 gennaio 2020, n. 742; anche la giurisprudenza penale ha riconosciuto che volumetria e sagoma dovessero rimanere identiche soltanto nei casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione, non ponendosi come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportassero la previa demolizione: ex aliis, Cass. pen., sez. III 17 febbraio 2010, n. 16393).
Nel caso in esame l’intervento edilizio non comportava demolizione e ricostruzione del manufatto e poteva, perciò, essere realizzato, a scelta dell’interessato, in seguito a permesso di costruire ovvero previa denunzia di inizio attività.
L'art. 94 del TUE, nel subordinare al rilascio dell’autorizzazione l’inizio dei lavori e non anche il rilascio del titolo edilizio, come è stato correttamente osservato dal TAR, ed avendo, altresì, la Corte costituzionale già chiarito il principio fondamentale affermato in quella disposizione: «nelle zone sismiche, l’autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione condiziona l’effettivo inizio di tutti i lavori, nel senso che in mancanza di essa il soggetto interessato non può intraprendere alcuna opera, pur se in possesso del prescritto titolo abilitativo edilizio» (C. Cost. n. 272 del 2016).
Il che priva di rilievo il lamentato contrasto fra la normativa statale in tema di autorizzazione sismica e quella vigente nella Regione Basilicata, con riferimento al procedimento semplificato previsto da quest’ultima.
Si dibatte sulla pretesa necessità che la controinteressata si premunisse dell’autorizzazione necessaria per la sopraelevazione di un piano negli edifici in muratura in zona sismica ai sensi dell’art. 90 TUE
Non è così per Palazzo Spada.
Per condivisibile giurisprudenza, la sopraelevazione di un piano dell’edificio in muratura, rilevante ai sensi dell’art. 90 cit., consiste nell’innalzamento dell’edificio di un ulteriore piano: la norma «si riferisce non ad un generico aumento di volumetria o alla sopraelevazione anche parziale di un piano …, ma, specificamente, per gli edifici in muratura, “alla sopraelevazione di un piano”, per gli edifici in cemento armato normale e precompresso alla sopraelevazione anche di più piani» (C.d.S., sez. II, n. 742/2020 cit.).
Nel caso in esame, il progetto non prevedeva alcun incremento del numero dei piani, rimasto invariato, ma l’incremento della quota d’imposta in gronda del nuovo tetto, cioè un intervento strutturale non assimilabile al concetto specifico di sopraelevazione assunto dalla disposizione in esame.
Per completezza d’indagine, può osservarsi che l’aggiornamento delle Norme tecniche per le costruzioni (D.M. Infrastrutture e trasporti del 17 gennaio 2018), fornendo elementi utili a illuminare retrospettivamente la questione, chiarisce adesso che «Una variazione dell’altezza dell’edificio dovuta alla realizzazione di cordoli sommitali o a variazioni della copertura che non comportino incrementi di superficie abitabile, non è considerato ampliamento, ai sensi della condizione a) [i.e. sopraelevazione della costruzione]» (art. 8.4.3), laddove nel caso di specie l’incremento di superficie abitabile non è dimostrato, ma semplicemente supposto (il progetto prevedeva che il sottotetto avesse destinazione non residenziale, di semplice annesso per piccola lavanderia e stenditoio con soffitta nella parte più bassa, e l’appellante non ha addotto alcun valido argomento in senso contrario, limitandosi a notare il miglioramento dell’accessibilità e dell’aerazione del vano, senza soffermarsi sulla concreta praticabilità ad uso abitativo, anche alla luce delle sue caratteristiche plano-volumetriche).
La censura è stata respinta dal TAR perché «il progetto esecutivo, presentato dalla controinteressata, prevedeva la realizzazione di un adeguato giunto tecnico, prescritto dall’art. 9, comma 3, L. n. 1684/1962 (implicitamente richiamato dall’art. 84, comma 1, lett. b), DPR n. 380/2001), idoneo a consentire la libera ed indipendente oscillazione dei fabbricati contigui».
E' corretto, perché la censura - evidenzia il Consiglio di Stato - non risulta assistita da dimostrazione alcuna delle asserite condizioni che avrebbero reso necessaria, alla stregua delle disposizioni tecniche richiamate, la previsione di un giunto tecnico o di misure alternative di ripristino della sicurezza sismica, cioè, secondo la prospettazione dell’allora ricorrente, del fatto che la costruzione della controinteressata fosse a contatto diretto coi fabbricati contermini ed anzi ad essi unita strutturalmente («… contiguo ad altri fabbricati e con essi strutturalmente connesso …»), senza, però, formare coi medesimi un’unica unità strutturale («… la copertura di progetto … non forma un corpo unico con le altre porzioni immobiliari adiacenti e sottostanti appartenenti ad altri proprietari …»), tanto da richiedere, in tesi, in ragione e a causa dell’intervento progettato, alternativamente un giunto tecnico separatore ovvero un intervento idoneo ad assicurare la completa solidarietà strutturale degli edifici, facendone una sola unità strutturale (a ciò evidentemente allude la parte col riferimento ad un «intervento congiunto ed armonico con gli altri edifici limitrofi»).
Essa, infatti, è formulata in termini puramente assertivi e non è corroborata da alcuna evidenza documentale, rilievo, pianta, disegno o calcolo, fatte salve talune fotografie, le quali, ivi comprese quelle accluse alla perizia, non consentono di distinguere con chiarezza neppure gli edifici dell’aggregato edilizio.
LA SENTENZA INTEGRALE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF
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