Consiglio di Stato: apportare modifiche significative ad un’opera edilizia di cui si chiede la sanatoria ex art. 36 TUE è in stridente contrasto con la stessa ratio della norma, che è quella di consentire la conservazione degli immobili interessati da abusi solo formali
Si fa molto presto a dire ristrutturazione edilizia, e anche a chiedere la sanatoria per stravolgimenti completi di edifici diventati, di fatto, nuove costruzioni e non considerabili quali ristrutturazioni.
La sentenza 423 del 13 gennaio 2021, in tal senso, è illuminante perché riepiloga molto bene le differenze tra le due tipologie di interventi, facendoci capire peraltro che le idee non sono, nemmeno per la giustizia amministrativa, sempre così chiare.
Nel caso di specie, si dibatte sul diniego di accertamento di conformità di opere abusive realizzate all'interno di un rustico e sulla conseguente ordinanza di demolizione da parte di un comune, cancellate dal Tar Abruzzo dopo il ricorso del privato, in quanto:
Secondo il comume, il Tar ha errato nel non considerare la reale consistenza dell’intervento, tale da stravolgere la fisionomia del rustico preesistente anche con l’aggiunta di due piani (di cui uno interrato). Nel caso di specie si era passati da un rustico agricolo (con permesso) a una variante soppalcata più piano interrato più portico (con permesso in variante), ad una richiesta di sanatoria - di cui si dibatte, appunto - per ulteriori modifiche apportate all'immobile (lucernari, soppalco plafonato, aperture esterne, portico).
Secondo il comune, insomma, si tratterebbe di un edificio non più riconducibile a quello inizialmente autorizzato, in quanto la concessione edilizia del 2002 consentiva la realizzazione di un manufatto monopiano, quando invece quello oggi esistente è dislocato su più livelli. Le modifiche apportate dal ricorrente dopo la domanda di variante rimasta denegata costituiscono meri ‘palliativi’, non eliminando i due piani in più realizzati, ma soltanto rendendoli inaccessibili e pertanto il manufatto, così come esistente, verrebbe a costituire una nuova costruzione non assentibile, in considerazione della rilevanza ambientale dei luoghi, tutelata dalla variante generale al PRG nell’assegnare all’area destinazione G7.
Per Palazzo Spada, il comune ha ragione: qui siamo di fronte ad una notevole trasformazione dell'assetto edilizio preesistente, tanto che da un volume distribuito su di un unico livello si è pervenuti ad un edificio su tre livelli.
Quando un manufatto viene stravolto nelle sue caratteristiche essenziali, così come autorizzate, l’intervento è da qualificare non di “ristrutturazione” bensì di “nuova costruzione”.
Nel caso di specie, le caratteristiche del manufatto sono completamente diverse da quelle inizialmente assentite già solo per il fatto che, come traspare dai rilievi planimetrici allegati alla domanda di “Rinnovo titolo per completamento”, l’edificio ha una diversa ubicazione (con parziale rototraslazione) rispetto a quella assentita e presenta, oltre a due ulteriori livelli/piani, anche svariate difformità.
A ciò deve aggiungersi una diversa, sia pur ridotta, volumetria, del corpo di fabbrica principale (232 mq lordi – di cui mq. 214 netti – in luogo dei 248 mq assentiti) e l’aumento di quella del portico (mq. 32 in luogo dei 28 assentiti).
Insomma, si è arrivati ad una 'cosa' completamente diversa da quella assentita in precedenza, e pertanto di una nuova costruzione completamente abusiva.
E gli accorgimenti ai quali l’appellato ha fatto ricorso per rendere inaccessibili i due livelli non assentiti sono inefficaci, perché non ne elidono la consistenza fisico-materiale; inoltre apportare modifiche,
peraltro così significative (tali da “isolare” due livelli dell’edificio), ad un’opera edilizia di cui si chiede la sanatoria ex art. 36 TUE é in stridente contrasto con la stessa ratio della norma, che è quella di consentire la conservazione degli immobili interessati da abusi solo formali.
L'art.36 del TUE, peraltro, ci porta a ricordare che:
In definitiva, l’intervento non è comunque assentibile in base all’art. 36 cit., sia perché in contrasto con la disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento (tanto più che lo stesso ricorrente ammette di aver realizzato le opere prima della richiesta di variante e quindi in totale difformità al titolo rilasciato secondo la disciplina urbanistica localmente vigente) sia in relazione alla disciplina “al momento della presentazione della domanda”, appunto perché, destinandola a zona G7, essa riconosce la rilevanza ambientale dei luoghi ed esclude la edificabilità di una nuova costruzione avente la diversa sagoma.
Non essendoci doppia conformità edilizia, non può esserci sanatoria.
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