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Infrastrutture sostenibili: il problema è quello di “fare il progetto giusto", non solo il progetto bene

La grande opportunità della Next Generation Eu, con la sua stretta correlazione con il Green Deal, esige una visione del tutto nuova che sappia porre al centro di una chiara e concreta strategia strumenti in grado di raggiungere gli obiettivi che l’Europa ci chiede: mettere al centro dello sviluppo economico e sociale sostenibilità e resilienza. E’ in questo scenario che un peso non secondario lo riveste un piano infrastrutturale coerente e che sappia individuare le priorità coniugando sostenibilità, resilienza, maggiore ricchezza e maggiore benessere.

Ne parliamo con Lorenzo Orsenigo, Presidente dell’Associazione Infrastrutture Sostenibili (AIS), che si è costituita da pochi mesi con il fine di contribuire a raggiungere questi obiettivi, mettendo a disposizione e a valore competenze tecniche e tecnologiche, metodologie e strumenti in grado di sostenere e coadiuvare le scelte politiche.

 

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La sfida delle infrastrutture sostenibili

Inizierei chiedendole quali siano secondo lei i capisaldi per il nostro Paese di una transizione green di successo.

Dobbiamo innanzi tutto intenderci su quale sia il significato di “transizione green”. Se intendiamo mettere al centro la salvaguardia dell’ambiente è indubbio che il passaggio non è semplice. È vero che c’è sempre più attenzione, soprattutto da parte delle nuove generazioni, alla tutela della natura e agli aspetti dell’ecologia, ma oggi ciò che condiziona le scelte dei governi e delle imprese sono un insieme di convenienze e di interessi che non sempre coincidono con i nuovi obiettivi della transizione green.  Tutti noi siamo coscienti che dobbiamo “lasciare ai nostri figli un ambiente migliore di come l’abbiamo trovato” e che “il mancato rispetto dell’ambiente può mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza umana”. Frasi che leggiamo spesso sui giornali e ascoltiamo un po’ ovunque, ma che alla fine non riescono a cambiare radicalmente i nostri comportamenti. E allora che fare per accelerare questa transizione? C’è, a mio avviso, un solo modo: il “green” deve identificarsi con il “business”. Ovvero deve diventare profittevole fare scelte coerenti con il rispetto dell’ambiente e viceversa diventare oneroso mantenere un atteggiamento opposto. È un discorso molto pragmatico.

Sviluppare leggi che prevedano obblighi per il mercato solitamente funziona poco e crea diseconomie. Le difficoltà di implementazione dei CAM per l’edilizia sono sotto gli occhi di tutti.

Bisogna invece individuare e favorire modelli di business virtuosi, che diano degli effettivi vantaggi economici oltre che ambientali, incentivandone l’utilizzo, anche con sovvenzioni o sgravi fiscali. Un meccanismo che come già avvenuto in passato consentirebbe di avere per il Sistema Italia un computo complessivo vantaggioso. Quello che è certo è che il provvedimento di incentivazione deve prevedere un controllo rigoroso del risultato, misurato e con una evidenza oggettiva del suo raggiungimento. La certificazione di terza parte indipendente può giocare un ruolo fondamentale in questa logica. Insomma l’ambiente può essere un importante asset per lo sviluppo, purché lo si utilizzi in modo rispettoso ed etico.

 

Green & business: un abbinamento vincente

Mi sembra di capire che sia necessario un approccio diverso da quello finora dominante e che nel scegliere un modello di sviluppo basato sulla sostenibilità si debba valorizzare una logica di business intesa come il fattore decisivo nel poter raggiungere gli obiettivi di una forte riduzione degli impatti sull’ambiente, ad iniziare dalla riduzione della CO2, così come una accelerazione dei processi di economia circolare …. 

La riduzione delle emissioni di CO2 è uno degli aspetti importanti per la conservazione dell’ambiente, anche se ovviamente non è il solo.

Su questo fronte si può fare molto ed esistono anche gli strumenti per implementare corrette politiche di incentivazione. Partiamo ad esempio dai prodotti. Molto spesso si fa l’errore di pensare che un prodotto sia più green di un altro, solamente basandosi su delle percezioni. Un materiale che, a prima vista potrebbe sembrare più sostenibile rispetto ad un altro, magari non lo è perché viene da lontano e quindi la fase di trasporto incide molto, in termini di inquinamento, rispetto ad un altro materiale che può essere prodotto in loco.

Per avere una valutazione corretta ed oggettiva è necessario sviluppare uno studio di analisi del ciclo di vita ovvero di LCA, Life Cycle Assessment. Questa metodologia offre la possibiltà di analizzare tutto il processo di produzione, utilizzo e dismissione del prodotto e molto spesso offre dei riscontri che consentono di ottimizzare anche il costo di realizzazione del prodotto stesso. Lo studio LCA permette poi di realizzare la Dichiarazione Ambientale di Prodotto, nota come EPD, che è una carta d’identità del prodotto sugli impatti ambientali legati a tutto il suo ciclo di vita, verificata e garantita da una valutazione di terza parte indipendente. L’EPD oggi permette di accedere a nuovi mercati, oltre a rispettare i requisiti di legge come i CAM.

Nel settore delle costruzioni, per esempio, gli edifici o le infrastrutture che utilizzando sistemi di rating per attestarne la sostenibilità, valorizzano e premiano i materiali dotati di EPD.

Se poi dai prodotti pensiamo ai sistemi che sono necessari alla transizione green, si apre uno scenario indescrivibile di opportunità di crescita e di investimenti produttivi. Basti pensare a tutto quello che comporta la decarbonizzazione con l’implementazione dei sistemi di alimentazione e di mobilità elettrica o a idrogeno. E anche su questo fronte ci sono strumenti e metodi per misurare il quantum di riduzione di emissioni di CO2. La certificazione della Carbon Footprint, ovvero delle emissioni di anidride carbonica, si applica a prodotti, organizzazioni, sistemi complessi e anche a servizi. Ecco allora che decidere di puntare su un piano GreenTransition 4.0 è oggi possibile, potendo contare su misure oggettive di “guadagno ambientale”. 

 

Conoscere gli impatti ambientali dei prodotti per fare la scelta giusta 

In quest’ottica come si colloca il tema dell’infrastrutturazione, che resta uno dei fattori principali del gap del nostro Paese rispetto agli altri maggiori Paesi europei, che pesa in misura rilevante sul piano delle potenzialità competitive del nostro sistema economico e che oggi richiede un cambio di passo nella direzione della sostenibilità?

Il gap infrastrutturale dell’Italia rispetto agli altri paesi europei è ormai noto ai più. Per recuperare competitività dobbiamo investire sulle infrastrutture e molti investitori stranieri guardano all’Italia proprio come occasione per generare profitti. È però evidente che questo sviluppo infrastrutturale, per poter essere finanziato, deve essere di qualità, ovvero deve essere realizzato con i migliori standard disponibili sul mercato, non solo da un punto di vista tecnologico e progettuale, ma anche con particolare attenzione agli aspetti di sostenibilità, che oltre all’attenzione all’ambiente richiedono una particolare considerazione degli aspetti sociali ed economici.

L’infrastruttura impatta sulla comunità e la sua “accoglienza sociale” è fondamentale per il suo utilizzo produttivo e per la generazione di valore.

Considerare aspetti come gli impatti sulla qualità della vita dei cittadini, la generazione di occupazione, la valorizzazione degli aspetti culturali e caratterizzanti la comunità, sono elementi ormai imprescindibili per garantire il successo di un investimento infrastrutturale. Anche in questo caso, come in precedenza quando parlavamo dei prodotti e sistemi, si pone il problema di “misurare” la sostenibilità di un’infrastruttura. Se non forniamo riscontri oggettivi, per esempio utilizzando dei sistemi di rating disponibili sul mercato, rischiamo di fare del greenwashing e di non dare delle garanzie certe ai cittadini e agli investitori sulla reale sostenibilità dell’opera. Del resto questa pratica è già abbastanza usuale nel settore degli edifici: se ci sono investimenti di pregio, oggi si richiede l’applicazione di protocolli di sostenibilità come Leed o Breeam. Anche nel settore delle infrastrutture esistono sistemi di rating analoghi, come ad esempio il protocollo Envision che è già stato applicato in diverse opere in Italia.

 

E’ fondamentale misurare la sostenibilità delle infrastrutture 

Guardando al piano europeo della NGEU come si dovrebbe operare e quali sono gli elementi imprescindibili per poter parlare di una infrastruttura sostenibile?

Come detto poc’anzi, se vogliamo offrire un riscontro oggettivo alla Commissione Europea che mette a disposizione fondi consistenti per lo sviluppo di infrastrutture sostenibili con il piano Next Generation EU, non possiamo prescindere dall’applicare un protocollo riconosciuto di sostenibilità che, attraverso una certificazione di terza parte, attesti inequivocabilmente il raggiungimento dell’obiettivo.

Egualmente se vogliamo davvero realizzare e gestire un’infrastruttura con criteri di sostenibilità dobbiamo parallelamente accelerare la transizione digitale

Se pensiamo a tutto il ciclo di vita di una infrastruttura è essenziale disporre di un suo modello digitale, partendo dalla fase di progettazione utilizzando il Building Information Modeling, ossia il BIM. Oltre ad essere utile nella fase iniziale di concepimento, per esempio per affrontare lo stakeholder engagement, diventa poi fondamentale nella fase di gestione. Tutta la fase di manutenzione, soprattutto di tipo predittivo, può essere facilmente programmata ed eseguita se si ha a disposizione un modello digitale dell’infrastruttura (Digital Twin) che permette di monitorarne i parametri, simulare gli interventi, addestrare il personale per le fasi di manutenzione. I dati raccolti dalla sensoristica possono anche essere analizzati da algoritmi supportati da Intelligenza Artificiale e fornire indicazioni predittive sul comportamento dell’opera e sulle sue prestazioni attuali e future. Oggi queste tecnologie sono disponibili e possono essere utilizzate: molto spesso manca la coscienza dei possibili loro impieghi.

 

Integrare transizione green e transizione digitale

Troppo spesso le infrastrutture vengono viste come una ferita. Nella maggior parte dei casi per il loro rilevante impatto sul territorio e sulle comunità locali si determinano resistenze e opposizioni, spesso a causa di una scarsa capacità di evidenziare e trasmettere, anche con dati e informazioni trasparenti e oggettive, i potenziali vantaggi non soltanto economici ma anche sul piano sociale e di una crescita per quegli stessi territori. Come un’associazione come la vostra affronta questo tema e con quali strumenti è oggi possibile cambiare le cose?

Come sottolineavo precedentemente la realizzazione di una infrastruttura impatta in maniera decisa sul territorio e sulle comunità che vi vivono. Ne consegue che, se nel caso della realizzazione di un edificio sostenibile ci poniamo il problema di fare il “progetto bene”, nel caso di una infrastruttura dobbiamo porci il problema di “fare il progetto giusto. L’approccio è completamente diverso.

Bisogna partire dai bisogni della collettività e del territorio e condividere con loro le scelte progettuali. È abitudine che i tecnici elaborino il progetto e poi cerchino di convincere la cittadinanza che quello è il progetto migliore. Non è così. Bisogna proporre e offrire soluzioni, ma predisporsi poi ad “ascoltare” e, se necessario, essere disposti a cambiare. E’ questo l’atteggiamento giusto che bisogna adottare se si vuole realizzare un reale dibattito pubblico. E nei protocolli di sostenibilità delle infrastrutture sono identificati i temi e gli aspetti che devono essere presi in considerazione dal team di progetto per affrontare con metodo lo stakeholder engagement. Abbiamo alcuni esempi virtuosi che possono essere raccontati e che dimostrano che queste metodologie sono efficaci, oltre che per evitare gli effetti “No Tav” o “No Tap”, anche per coinvolgere le comunità locali che possono portare benefici alla realizzazione dell’opera. Un esempio su tutti è quanto è stato fatto nella progettazione della linea AV-AC Napoli – Bari, che tra l’altro ha ottenuto la certificazione Envision con il Livello Platinum.