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Distanze tra costruzioni: la scala di collegamento esterno tra giardino e primo piano deve rispettare i 10 metri

Tar Milano: è legittimo il provvedimento comunale di annullamento della SCIA per il mancato rispetto delle distanze legali con riguardo alla progettazione di una scala esterna in acciaio, destinata al collegamento tra il giardino e il primo piano dell’immobile e posta a distanza inferiore ai dieci metri prescritti dal D.M. n. 1444/1968, nonché idonea a creare una servitù di veduta non acconsentita dal confinante

Ancora una sentenza sul rispetto dei 10 metri di distanza: ce la 'regala' il Tar Milano (n.472 del 19 febbraio 2021), che in realtà abbraccia diversi aspetti urbanistici di rilievo.

 

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Il caso

L'oggetto del contendere è rappresentato dal provvedimento di annullamento di due segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA). La prima per interventi di risanamento conservativo “pesante”, ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. c) del dpr 380/2001 e del d.lgs. n. 222/2016 aventi ad oggetto:

  • i) il rifacimento della copertura dell’immobile, con smaltimento di lastre in amianto, sostituzione della copertura in legno massiccio con legno lamellare e contestuale adeguamento delle altezze interne dei locali con un innalzamento della copertura pari a 1,37 metri sulla linea di gronda e 0,62 metri sulla linea di colmo;
  • ii) la demolizione e ricostruzione di tavolati interni, ai fini della realizzazione di un nuovo locale igienico, adeguando gli impianti tecnologici;
  • iii) l’installazione di una piattaforma elevatrice esterna di collegamento al fine di migliorare l’accesso al primo piano.

La seconda con contestuale comunicazione di avvio dei lavori, per la sistemazione di alcune opere edilizie aventi ad oggetto:

  • i) la realizzazione di un nuovo lucernaio in copertura nel locale studio e lievi modifiche di quelli esistenti;
  • ii) la realizzazione di un cappotto termico sulla facciata esterna dell’edificio con pannelli di isolamento;
  • iii) la sostituzione della piattaforma elevatrice esterna con una scala autoportante con struttura in ferro.

In particolare, il provvedimento di annullamento evidenzia tre criticità dell’intervento edilizio: 

  • i) l’erronea qualificazione come risanamento conservativo “pesante”, trattandosi, invece, di ristrutturazione edilizia “pesante” ai sensi dell’art. 3 comma l, lettera d), del dpr 380/2001; 
  • ii) il mancato rispetto delle distanze legali con riguardo alla progettazione di una scala esterna in acciaio, destinata al collegamento tra il giardino e il primo piano dell’immobile e posta a distanza inferiore ai dieci metri prescritti dal D.M. n. 1444/1968 dall’immobile, nonché idonea a creare una servitù di veduta non acconsentita sull’immobile confinante;
  • iii) la carenza dell’autorizzazione alla sopraelevazione prescritta dall’art. 90 del dpr 380/2001.

 

Ristrutturazione edilizia pesante

Mentre il progetto delle ricorrenti qualifica l’intervento come risanamento conservativo “pesante” (corrispondente alla definizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), dpr 380/2001), il Comune ritiene che le opere realizzate siano complessivamente da ascrivere ad intervento di ristrutturazione edilizia (“pesante”) ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. d) del dpr 380/2001 e del D.lgs. 222/2016 Tabella A, Sezione II, attività 8. Da ciò giustamente consegue - come correttamente affermato dal comune - la necessità di richiedere un permesso di costruire o una SCIA alternativa a P.d.C., con conseguente inadeguatezza delle SCIA presentate a legittimare gli interventi.

Tutto questo è corretto perché l'intervento in questione, come risultante dalle due successive segnalazioni, consiste nel rifacimento della copertura del primo piano dell’immobile, già abitabile, con sostituzione del legno massiccio con legno lamellare, ed innalzamento della copertura stessa nella misura di 1,37 metri sulla linea di gronda e 0,62 metri sulla linea di colmo.

L’opera oggetto del provvedimento impugnato integra il disposto normativo indicato dal Comune in quanto comporta, in conseguenza dell’innalzamento, l’aumento della volumetria complessiva, da intendersi come somma della superficie totale di ciascun piano per la relativa altezza lorda, nonché inevitabili modifiche al prospetto ed alla sagoma dell’edificio. Né la conclusione muta prendendo come parametro di riferimento la nuova versione dell’art. 10, co. 1, lett. c), del T.U.E. che testualmente ricomprende “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonche' gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. Dalla descrizione dell’intervento operato si evince, infatti, come l’opera sia, comunque, ascrivibile alla categoria della c.d. ristrutturazione pesante con conseguente applicazione della previsione di cui all’art. 23, comma 01, lett. a), del dpr 380/2001.

 

La distanza tra edifici

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. 1444/1968 e dell’art. 86 del Regolamento Edilizio di Milano, operanti in materia di distanze tra edifici.

L’art. 9 del D.M. 1444/1968 fissa la distanza minima tra fabbricati in metri 10, da calcolarsi “tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”. L’art. 86 del Regolamento edilizio del Comune di Milano specifica, altresì, che “negli interventi di nuova costruzione e in tutti i casi in cui si modifichi l’ingombro fisico dei fabbricati è sempre obbligatoria la distanza minima assoluta di almeno m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”.

Secondo le ricorrenti, il Comune avrebbe erroneamente considerato la scala di ferro esterna, prevista dalla variante alla prima SCIA come una costruzione destinata ad inserirsi tra “pareti di edifici antistanti” e, pertanto, progettata in violazione della normativa cogente in materia di distanze legali, in quanto posta a ridosso del confine ovest dell’edificio e a soli 8,50 metri dall’immobile che la fronteggia con parete finestrata.

Niente da fare anche qui, ha ragione il comune.

La giurisprudenza, sia civile che amministrativa, è, infatti, concorde circa l’inclusione anche delle strutture accessorie di un fabbricato, come la scala esterna, pur se scoperta, se ed in quanto presenta i connotati di consistenza e stabilità (Cons. Stato, sez. IV, sent., 4 marzo 2014, n. 1000; Cassazione civile, sez. II, 30 gennaio 2007 n.1966; T.A.R. Basilicata, 7 dicembre 2017, n. 760; Tar Basilicata, 19 settembre 2013 n. 574).

In termini più generali, il Consiglio di Stato, sostiene che “anche ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera” (Consiglio di Stato, sez. IV, 02 marzo 2018, n. 1309).

 

Le distanze tra edifici per le scale: attenzione alle differenze!

Segnaliamo, infine, cosa afferma il Tar Milano in merito alle esigenze che il legislatore ha inteso tutelare con la normativa sulle distanze. Esse non consentono di operare distinzioni fondate sul mero materiale con cui si realizzano le scale dovendosi, al contrario, incentrare l’esame sull’idoneità dell’opera, in ragione delle proprie caratteristiche strutturali, a realizzare indebite intercapedini.

Lo conferma anche la giurisprudenza della Cassazione civile che ritiene immune da vizio di motivazione una sentenza di merito che ha riconosciuto, proprio con riguardo ad una scala in ferro, la sussistenza dei requisiti della consistenza e della stabilità rilevanti ai fini delle distanze (cfr.: Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2013, n. 19142). Né a diversa conclusione può addivenirsi in base al precedente della Sezione citato dalle ricorrenti (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 12 agosto 2016, n. 1606); nel caso ivi esaminato la scala in ferro era per più parte collocata al di sotto del piano di campagna, tanto è vero che, al fine di escluderne la rilevanza in materia di distanze, il Tribunale rileva come non si tratti di manufatto che emerge “in modo sensibile al di sopra del livello del suolo”.

Al contrario, nel caso di specie, il progetto contempla una scala costituita da una struttura in ferro con gradini e pianerottoli in grigliato a maglia larga, destinata a collegare stabilmente il piano terra con il primo piano e, pertanto, indiscutibilmente dotata sia del requisito dell’elevazione sensibile dal suolo, sia della consistenza che della stabilità, con piena corrispondenza alla definizione di costruzione rilevante al fine di verificare il rispetto dell’art. 9 del DM 1444/1968.

LA SENTENZA INTEGRALE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF PREVIA REGISTRAZIONE AL PORTALE

 

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