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Il quadro normativo sull'efficienza energetica: la normativa regionale

Analisi della normativa regionale sulle direttive europee in materia di efficienza energetica nell’edilizia

Le direttive europee in materia di efficienza energetica nell’edilizia e il loro recepimento nel diritto italiano, oltre all’importanza della legislazione regionale. Dopo aver affrontato i temi del diritto europeo e della normativa statale, nella terza e ultima puntata spazio alla normativa regionale.


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La normativa regionale su Efficienza energetica nelle costruzioni

Nel quadro normativo italiano sull’efficienza energetica nel settore immobiliare, un’importanza fondamentale è attribuita alla legislazione regionale.

La giurisprudenza costituzionale, infatti, fa rientrare l’ambito dell’efficienza energetica in generale – e del rendimento energetico degli edifici in particolare – nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», soggetta alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione (cfr. in particolare Corte costituzionale, 23 maggio 2008, n. 168, ma anche 14 ottobre 2005, n. 383 e 28 giugno 2006, n. 246). Come noto, per tale tipologia di materie allo Stato è riservata la fissazione dei principi generali della legislazione, mentre alle Regioni spetta la disciplina di dettaglio.


Articolo 117, comma 3 Costituzione

Governo del Territorio

Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia

«Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.»


Nel contesto degli interventi sugli edifici, ha rilievo anche una seconda materia soggetta a competenza concorrente, ossia il «governo del territorio».

In tale quadro, il riparto delle funzioni legislative e amministrative tra Stato e Regioni in materia di efficienza energetica trova la sua effettiva disciplina in numerose disposizioni legislative di rango statale.

In primis, la già citata legge 10/1991 che prevede all’articolo 5 l’adozione da parte delle Regioni di piani regionali inerenti all’energia, i quali devono individuare soprattutto una strategia relativa agli impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili nel territorio regionale. Il contenuto “tipico” dei piani regionali è stato poi integrato da un Protocollo di intesa della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome del 2001 (il c.d. Protocollo di Torino “per il coordinamento delle politiche finalizzate alla riduzione delle emissioni dei gas-serra nell’atmosfera”) e, in tempi più recenti, dal Dlgs 102/2014: entrambi questi atti hanno attribuito alla pianificazione regionale una competenza più marcatamente incentrata sul miglioramento dell’efficienza energetica dei sistemi energetici regionali.

 


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Oggi i piani regionali, generalmente denominati “Piani energetici e ambientali regionali” ( meglio noti anche Pear) contengono analisi di scenario sulle potenzialità di miglioramento dell’efficienza energetica e, sulla base di queste ultime, definiscono obiettivi di miglioramento dell’efficienza energetica a livello regionale, oltre che di aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (nell’ottica del c.d. burden sharing, cioè della condivisione dei relativi obblighi assunti a livello europeo tra il governo centrale e le regioni). I Pear vengono ricompresi generalmente nei piani territoriali di livello regionale – strumento di pianificazione generale delle regioni – e, per particolari ipotesi (come l’individuazione di aree da destinare a progetti di sviluppo di impianti di teleriscaldamento di rilevanza regionale o, all’opposto, l’individuazione di aree non destinabili a impianti di produzione di energia) possono avere un’incidenza diretta sui livelli di pianificazione subordinati territoriale (a livello di area vasta) e urbanistica (a livello comunale).

L’articolo 5, ultimo comma, della legge 10/1991 prevede, peraltro, anche l’obbligo per i Comuni con popolazione superiore ai cinquantamila abitanti di prevedere uno specifico piano energetico (in particolare, con riferimento all’energia da fonte rinnovabile) nell’ambito dei piani urbanistici comunali.

Come già anticipato sopra, però, il riferimento legislativo fondamentale a livello statale per le “disposizioni quadro” in materia di efficienza energetica è il Dlgs 102/2014, il quale attribuisce esplicitamente ulteriori competenze specifiche alle Regioni.

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Oltre al già visto principio in base al quale le Regioni concorrono al perseguimento degli obiettivi di efficienza energetica assunti dallo Stato italiano in sede europea, si prevede infatti che le Regioni debbano esercitare alcune competenze in materia di cogenerazione e teleriscaldamento/teleraffrescamento efficiente (articolo 10), formazione e informazione dei consumatori (articolo 13), supporto agli enti locali per la predisposizione di contratti di rendimento energetico (articolo 14), e in materia di sanzioni (articolo 16).

Anche il già noto Dlgs 192/2005 contiene disposizioni specifiche sul ruolo e alle funzioni delle Regioni in materia di efficienza energetica nell’edilizia.

In particolare, tale Dlgs contiene un rinvio al livello di governo regionale per l’attuazione dei principi contenuti nel Dlgs (articolo 9), e, soprattutto, un rinvio generale alla normativa regionale per l’attuazione normativa dell’intero testo legislativo (articolo 17), in sostituzione della normativa statale (e ovviamente in conformità ai principi dettati dalla stessa).

La normativa regionale in materia di edifici a energia quasi zero e, in generale, edifici sostenibili sotto il profilo energetico, si basa in gran parte su quest’ultima disposizione: è un esempio delle cd. “clausole di cedevolezza”, secondo cui la normativa statale trova applicazione unicamente finché non viene adottata una corrispondente normativa regionale. Ciò è giustificato dalla necessità di conformarsi agli obblighi di origine europea, evitando procedure di infrazione per il mancato (o inesatto) recepimento della normativa comunitaria: in tal modo lo Stato esercita un potere di sostituzione, anche se in via per così dire “anticipata”, ai sensi dell’articolo 117, comma 5, della Costituzione.


Dlgs 192/2005, Articolo 17 – Clausola di cedevolezza

1. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle regioni e alle province autonome che non abbiano ancora provveduto al recepimento della direttiva 2010/31/Ue, come modificata dalla direttiva 2018/844/UE, fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma. Nel dettare la normativa di attuazione le regioni e le province autonome sono tenute al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo e dei principi fondamentali desumibili dal presente decreto. Sono fatte salve, in ogni caso, le norme di attuazione delle regioni e delle province autonome che, alla data di entrata in vigore della normativa statale di attuazione, abbiano già provveduto al recepimento.


Un esempio in cui la legislazione regionale ha anticipato quella statale nel recepimento delle direttive europee riguarda le “comunità energetiche” citate sopra: la legge regionale 12/2018 del Piemonte le aveva definite come «enti senza finalità di lucro, costituiti al fine di superare l’utilizzo del petrolio e dei suoi derivati, e di agevolare la produzione e lo scambio di energie generate principalmente da fonti rinnovabili, nonché forme di efficientamento e di riduzione dei consumi» (articolo 1). Secondo la legge del Piemonte (che al momento rimane vigente), le comunità energetiche possono essere partecipate da soggetti privati e pubblici e possono essere considerate “produttori” di energia se almeno il 70% della quota di energia annua prodotta è destinato all’autoconsumo dei membri (articolo 2).

Per quanto riguarda invece il ruolo delle funzioni normative e amministrative affidate alle Regioni dal Tu ambiente in materia di gestione rifiuti e acqua di rilevanza per la sostenibilità nel settore edilizio, rinviamo a quanto evidenziato nel paragrafo che precede.

In questa sede ci limitiamo soltanto a segnalare le previsioni dettate dall’articolo 58 bis della Lr 12/2005 di Regione Lombardia (introdotto nel corpo della legge urbanistica regionale dalla Lr 15 marzo 2016, n. 4 e poi modificato dalla Lr 18/2019) e dal suo regolamento attuativo (il regolamento regionale 23 novembre 2017 n. 7).

Nel tentare di rimediare agli allagamenti e alle conseguenti problematiche idrauliche determinate dalle sempre più frequenti e intense precipitazioni meteoriche legate al mutamento climatico, la Regione Lombardia ha introdotto nella sua normativa urbanistica il “principio dell’invarianza idraulica”, secondo cui – in sintesi - i nuovi interventi edilizi e più in generale le nuove trasformazioni del territorio (incluse opere infrastrutturali e realizzazione di parcheggi) non devono determinare, durante gli eventi pluviali, un aumento della portata idrica e dei volumi delle reti di drenaggio urbano e delle reti idrografiche.

A tale fine, vengono individuate dall’articolo 58 bis e dal relativo regolamento attuativo una serie di prescrizioni finalizzate all’introduzione di sistemi di controllo e gestione delle acque pluviali, ove possibile attraverso l’infiltrazione, l’evotraspirazione e il riuso delle acque piovane.

La disciplina richiede ai Comuni – tra l’altro – di adeguare i propri piani di governo del territorio e regolamenti edilizi, introducendo in particolare l’obbligo per tutti coloro i quali intendono porre in essere interventi sottoposti a permesso di costruire (ma anche soggetti a Scia e Cila) di allegare all’atto di avvio del procedimento (o alla presentazione della Scia o Cila) un “progetto di invarianza idraulica e idrologica” firmato da un tecnico abilitato, qualificato e di esperienza nell’esecuzione di stime idrologiche e calcoli idraulici, il cui contenuto è dettagliato dall’articolo10.

Ulteriori adempimenti documentali sono richiesti in sede di presentazione della Scia ai fini dell’agibilità.


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A cura di Michele Rizzo e Marco Fontana

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