Edilizia
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Normalità e derogabilità delle distanze tra fabbricati dopo Sblocca Cantieri e Semplificazioni: il punto

A valle delle un po’ convulse, radicali e non sempre congruenti modifiche apportate alle norme sulle distanze tra fabbricati nell’arco di soli due anni per opera dei dd.ll. 18 aprile 2019, n. 32, e 16 luglio 2020, n. 76 (cosiddetti “Sblocca Cantieri” e Semplificazione”, convertiti rispettivamente nelle leggi 14 giugno 2019, n. 55 e 11 settembre 2020, n. 120) facciamo il punto della situazione riportando in un quadro sinottico lo stato attuale delle norme raffrontandolo con quello previgente.

Al solo scopo di orientarne l’applicazione e di poterne confrontare l’efficacia.

Un esercizio di valutazione critica che appare utile per verificare se abbiamo davvero raggiunto l’obiettivo che le modifiche normative si erano riproposte, prima di procedere eventualmente oltre.

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Abbiamo esaminato in un precedente commento (“Demo-ricostruzioni: rose e spine”) le innovazioni del comma 1-ter dell’articolo 2-bis apportate dalla recente legge n. 120/2020 che ha radicalmente modificato il regime delle distanze in caso di demo-ricostruzione.

Questo intervento del Legislatore altro non è che l’ultimo tentativo – in ordine di tempo – di intervenire sulla norma dell’articolo 9 del d.m. 1444/68 in materia di distanza tra fabbricati per “ammorbidirne” le prescrizioni che (a parere di tutti) stanno limitando gli interventi sugli edifici esistenti compresi quelli incentivati con i vari “bonus” fiscali messi in campo per la ripresa dell’edilizia.


L’attenzione del Legislatore è stata rivolta all’edilizia diretta

Il Legislatore si è occupato (e preoccupato) soprattutto dell’incidenza di queste norme sull’edilizia diretta (quella attuata nel tempo con licenza/concessione ed ora con permesso/s.c.i.a., c.i.l.a.) che ha inteso favorire/velocizzare ponendo invece minore attenzione agli interventi realizzabili con piani urbanistici attuativi che, invece, consentivano già ampie possibilità di deroga (controllata) previste dal Legislatore fin dal 1968 e che ben potevano essere utilizzate per by-passare la rigidità della norma.

Soprattutto negli interventi di rigenerazione urbana.

Sulla pianificazione attuativa invece il Legislatore ha dettato di recente norme che (a nostro avviso) non sono particolarmente efficaci (e, sicuramente non semplificatrici) o, in altri casi, mentre rivedeva le norme per l’edilizia diretta ha comunque indotto ricadute (sempre a nostro avviso) inopportunamente limitatrici.

Il quadro normativo attuale – che esce dalle rielaborazioni di questi ultimi due anni (dallo “Sblocca Cantieri” al “Semplificazioni”) – non è peraltro tutto leggibile nel modificato testo del D.P.R 380/01 per cui merita un quadro riassuntivo di sintesi che proviamo a fare di seguito ripartendolo per aree di intervento (zone omogenee, con qualche aggiunta dovuta proprio all’ultimo provvedimento di legge n. 120/2020).

Lo faremo facendolo precedere da un breve riassunto esplicativo dell’evoluzione che ha portato al risultato attuale per meglio comprendere non solo dove siamo, ma anche (e soprattutto) da dove veniamo.

 

Dalla norma statale del 1968…

La norma dell’articolo 9 del d.m. 1444/68 che disponeva (e dispone) le distanze minime tra fabbricati è stata da sempre poco amata e mal sopportata dagli urbanisti e dalle pubbliche amministrazioni, ma essendo diventata nel tempo “principio inderogabile” dell’ordinamento, il Legislatore statale – non sentendosela di aggredirla direttamente – ha pensato di passare palla alle regioni attribuendo loro l’eventuale iniziativa di bypassarla invocando il principio di legislazione concorrente. (v. “Le distanze dell’articolo 9 del DM 1444/68: la metamorfosi di una norma”).

 

… al 2013 con l’attribuzione di facoltà derogatorie alle regioni

Per questo nel 2013 ha introdotto nel DPR 380/01 l’articolo 2-bis titolato appunto “Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati”.

Le regioni più intraprendenti si sono effettivamente avventurate a proporre legislazioni regionali derogatorie, incorrendo immediatamente nelle reprimenda della Corte Costituzionale che ha richiamato i Legislatori regionali al rispetto dei “principi”, dichiarando illegittimi tutti i provvedimenti legislativi che – in buona sostanza – generalizzavano la possibilità di derogare al d.m., richiamando che proprio il testo dell’articolo 2-bis invocato dalle regioni quale fonte normativa in base alla quale avevano legiferato testualmente, limitava la possibilità di deroga solo “nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.

Se il limite della derogabilità era così ricondotto a “specifiche aree territoriali in effetti non ci sarebbe neppure stato bisogno di una norma ad hoc (né statale, né regionale) perché già l’articolo 9 del citato decreto ministeriale (al secondo periodo del terzo comma) prevedeva la possibilità di deroga alle distanze all’interno di una pianificazione attuativa comunale.

 

Fin dal 1968 esisteva la possibilità di deroga con piano particolareggiato senza necessità di leggi regionali

In altri termini il rigore dei dieci metri minimi imposti nelle zone B, C e D (ed anche gli eventuali incrementi dei commi 2 e 3) valevole per l’edilizia diretta (con licenza/concessione/ permesso) poteva essere superato con una progettazione urbanistica di piano particolareggiato comunale.

Dunque la tanto temuta norma era pacificamente by-passabile; bastava passare dal progetto edilizio a quello urbanistico.

Così stando le cose l’articolo 2-bis costituiva un’inutile appesantimento perché introduceva la necessità che a monte vi fosse una legislazione regionale che invece l’articolo 9, comma 3 secondo periodo del d.m. non richiedeva.

 

Dall’attribuzione della facoltà di deroga regionale all’interpretazione autentica nazionale

Poiché però la maggioranza degli interventi erano (o ancora sono) di edilizia diretta in zone già edificate il Legislatore (forse più sensibile alle sollecitazioni individuali che ai metodi della pianificazione) ha ritenuto utile “liberalizzare” l’edilizia diretta togliendo per legge il vincolo della maggiorazione delle distanze oltre i dieci metri in zona “B” in caso di maggiori altezze o di interposizione di strade, motivandolo con l’obiettivo di “favorire la rigenerazione urbana”.

Non ha avuto però il coraggio di modificare la norma (che è principio statale inderogabile): e allora ha usato il metodo della “interpretazione autentica”. E lo ha fatto all’articolo 5, comma 1, lett. b-bis) del cosiddetto decreto-legge “Sblocca Cantieri” (poi convertito in legge n. 55/2019).

Metodo legittimo, certo, ma forse poco opportuno per le conseguenze di retroattività che comporta e di cui abbiamo ampiamente detto in precedenti commenti (v. “Distanze tra costruzioni ex articolo 9 DM 1444/68 e articolo 5 dello Sblocca Cantieri: effetti collaterali”).

 

Le ricadute in zona B (forse) positive per interventi diretti, le conseguenze (certamente negative) per le possibilità di deroga nei piani particolareggiati

Allora

  • sarà anche vero che da sempre (visto che lo dice un’“interpretazione autentica”) in zona “B” vale sempre e solo la distanza inderogabile dei dieci metri e che non si possono applicare maggiorazioni e
  • sarà anche vero che questo avrà forse favorito (o starà favorendo) interventi edilizi “diretti”,
  • ma è contestualmente vero che - per effetto di questa interpretazione autentica, diametralmente opposta a quella fin qui data da dottrina e giurisprudenza - le possibilità di deroga sono consentite solo in zona “C” e non anche in zona “B”.

E questo non so se è un buon risultato e forse non è neppure quel che si voleva.

È anzi probabile che un Legislatore frettoloso (visto che opera sempre in modo affannoso con decreti-legge) non se ne sia neppure accorto.

In sostanza in zona “B” non vi sono più le maggiorazioni ai dieci metri per interventi edilizi diretti, ma non c’è più possibilità di deroga ai dieci metri con piani particolareggiati. A meno che, in base all’articolo 2-bis, la regione non provveda a consentirlo con legge specifica.

Abbiamo favorito l’edilizia individuale sacrificando ben più ampie possibilità di intervento e di deroga della pianificazione attuativa non più esercitabile senza previa legge regionale da approvarsi a norma dell’articolo 2-bis.

L’interpretazione autentica che abbiamo or ora commentata non modifica il DPR 380/01 (non si ritrova nel suo testo) e quindi si legge solo nell’articolo 5, comma 1, lett. b-bis della legge n. 55/2019.

 

Le modifiche testuali al DPR 380/01 (nulla di operativo, solo rinvio alle regioni)

Quel che si legge invece nel testo del DPR 380/01 ad opera della legge n. 55/2019 è l’aggiunta dei commi 1-bis e 1-ter all’articolo 2-bis.

Il comma 1-bis dice che disposizioni del comma 1 “sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorioche in realtà è una sorta di motivazione/dichiarazione di intenti poco significativa sul piano operativo se non che precisa/estende la derogabilità per legge regionale ai “limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati (in aggiunta a quanto detto al comma 1 che più genericamente afferma che “possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi” che parrebbe riferito alle sole aree a standards).

Con ciò aumentando lo strabismo tra testo e titolo che continua disporre solo limitatamente alle “Deroghe in materia di limiti e di distanza tra fabbricati”(v. “Distanze degli edifici e dintorni nella legge sblocca-cantieri”).

 

Il quadro attuale

Questo è un quadro riassuntivo con l’unico scopo di orientare alla norma applicabile zona per zona; le criticità applicative le abbiamo esposte in precedenti commenti.

L’obiettivo è sempre stato quello della “semplificazione” per favorire la “rigenerazione urbana”.

Se l’obiettivo sia stato raggiunto o meno lo lasciamo valutare ai lettori.

 


Norme applicabili

(ieri = ante l. 120/2020 – oggi = post l. 120/2020)

in zona “A”

  • ieri: conservazione delle distanze preesistenti (salvo superfetazioni) in caso di risanamento conservativo e ristrutturazioni (d.m 1444/68, art. 9 co.1, punto 1);

  • oggi: divieto di demo-ricostruzione (in cui sono oggi ricomprese anche le ristrutturazioni conservative) in assenza di piano particolareggiato (e così anche nelle zone “assimilate” ?) (DPR 380/01, art. 2-bis, co. 1-ter attuale).


in “zona “B” e nelle altre zone (“D”, “E”, “F”)

  • ieri:
    • per nuove costruzioni: distanze di dieci metri maggiorate in caso di altezze maggiori di dieci metri o interposizione di strade (d.m 1444/68, art. 9 co.1, punto 2, co. 2 e co. 3 primo periodo);
    • per demo-ricostruzione: distanze preesistenti (con conservazione di volume, sedime e altezza) (DPR 380/01, art. 2-bis, co 1-ter ante l. 120/2020);
    • possibilità di deroga con piani particolareggiati redatti dal comune (d.m. 1444/68, art. 9, co. 3 secondo periodo).

  • oggi:
    • per nuove costruzioni: distanza di dieci metri sempre (senza maggiorazioni); possibilità di deroga solo se disposto con legge regionale per ambiti definiti (d.m 1444/68, art. 9, come interpretato da art. 55 l. 55/2019);
    • per demo-ricostruzioni: distanze preesistenti (con possibilità di incrementi volumetrici fuori sagoma e in altezza solo per incentivi premiali conservazione di volume, sedime e altezza) solo se vi è impossibilità di adeguamento; diversamente necessità di adeguamento (o miglioramento?) alle norme vigenti (DPR 380/01, art. 2-bis, co. 1-ter dopo l. 120/2020).


in zona “C”:

  • ieri:
    • per nuove costruzioni: dieci metri con maggiorazione per altezze maggiori di dieci metri o interprosizione di strade (d.m. 1444/68, art. 9, co. 2 e co. 3 primo periodo);
    • per demo-ricostruzione: distanze preesistenti (con conservazione di volume, sedime e altezza) (DPR 380/01, art. 2-bis, co 1-ter ante l.120/2020);
    • possibilità di deroga con piani particolareggiati redatti dal comune (d.m. 1444/68, art. 9, co. 3 secondo periodo).

  • oggi:
    • per nuove costruzioni: dieci metri con maggiorazione per altezze maggiori di dieci metri o interprosizione di strade (d.m. 1444/68, art. 9, co. 2 e co. 3 primo periodo);
    • per demo-ricostruzioni: distanze preesistenti (con possibilità di incrementi volumetrici fuori sagoma e in altezza solo per incentivi premiali conservazione di volume, sedime e altezza) solo se vi è impossibilità di adeguamento; diversamente necessità di adeguamento (o miglioramento ?) alle norme vigenti (DPR 380/01, art. 2-bis, co. 1-ter dopo l. 120/2020);
    • possibilità di deroga con piani particolareggiati redatti dal comune (d.m. 1444/68, art. 9, co. 3 secondo periodo).

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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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L'edilizia ricomprende tutte quelle attività finalizzate a realizzare, trasformare o demolire un edificio. Essa rappresenta sicuramente uno dei...

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