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Condono: i paletti del 20% tra ampliamento volumetrico, costruzione originaria, volume virtuale

Consiglio di Stato: "la natura eccezionale e di stretta interpretazione della normativa sul condono tale da escluderne l’applicabilità in termini estensivi determina l’applicazione del parametro più rigido della singola unità immobiliare per l’individuazione del limite di ampliamento percentuale"

Ampliamento volumetrico e limite del 20%

Tra condono edilizio e ampliamento volumetrico non sono mai 'storie serene'. Quasi sempre c'è incompatibilità, e le sentenze sull'argomento fioccano: la recente n. 4017/2021 del Consiglio di Stato, però, va a toccare alcuni aspetti molto particolari, anche in riferimento alle 'differenze' tra normativa nazionale e regionale.

Nel caso di specie, veniva impugnato un permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune ai sensi dell’art. 32 del DL 269/2003 nonché ai sensi dell’art. 2 della L.R. Lombardia n. 31/2004.

Il ricorrente deduceva sotto diversi profili censure di violazione di legge e/o eccesso di potere, tra cui, in particolare, l’erronea applicazione delle disposizioni in materia edilizia sopra citate, per avere l’ampliamento sanato superato il limite massimo del 20% della volumetria originaria ovvero dei 500 mc.

 

Il limite tassativo e il terzo condono edilizio

Il TAR Lombardia, previa verificazione, accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento di sanatoria e la correlata certificazione di abitabilità/agibilità rilasciati dagli Uffici competenti del Comune, ritenendo che la volumetria originaria rispetto alla quale vada calcolato il limite del 20% individuato dalla legge regionale di riferimento sarebbe quella del singolo appartamento oggetto di ampliamento.

Da qui, si arrivava al Consiglio di Stato per ribaltare ancora la 'frittata'.

Palazzo Spada da ragione al TAR e 'contro' al Comune, che ha dedotto due motivi di diritto concernenti la violazione ed erronea interpretazione dell’art. 2 co. 1 L.R. Lombardia n. 31/04 e la carenza di adeguata motivazione. Secondo il Comune il TAR, senza fornire idonea ed esaustiva motivazione, avrebbe disatteso il senso letterale della norma – art. 2 – della legge regionale.

Il testo normativo farebbe infatti chiaramente riferimento alla volumetria della “costruzione originaria” e non dell’appartamento oggetto dei lavori. A riprova della volontà del legislatore regionale di parametrarsi sulla volumetria dell’intero edificio condominiale si porrebbe la scelta lessicale adottata nell’intero corpo dell’articolo in esame in cui, ove si è inteso fare riferimento alla “singola unità immobiliare” lo si è fatto espressamente come avviene per i commi 2 e 3 che vietano la sanatoria per mutamenti di destinazione d’uso superiori a 500 mc.

Detta opzione ermeneutica del resto sarebbe ulteriormente corroborata da precedenti giurisprudenziali del medesimo TAR e poi confermati dal Consiglio di Stato. La sentenza del giudice di prime cure risulterebbe dunque affetta da erroneità e carenza motivazionale nella parte in cui ha omesso di accertare la legittimità del permesso in sanatoria rilasciato dal Comune di Milano benché l’incremento volumetrico apportato dalle opere abusive realizzate risultasse pari al 6,46% della costruzione originaria e in termini assoluti a 345,60 mc e dunque, rispettoso dei parametri indicati dall’art. 2 della legge regionale.

Anche l'appellante, facendo leva su altre questioni, porta la controversia all’interpretazione delle disposizioni in materia edilizia della legge regionale della Lombardia che sulla falsariga di quella nazionale, disciplina il procedimento di sanatoria relativa al cosiddetto “terzo condono”.

Condono, ampliamento volumetrico, costruzione originaria, volume virtuale: i paletti del 20%

La costruzione originaria

In particolare, il punto controverso riguarda il significato da attribuire al concetto di “costruzione originaria” rispetto al quale va valutato il limite dimensionale del venti per cento di aumento volumetrico.

Il Tar ha ritenuto che detta locuzione vada interpretata come singola unità immobiliare su cui viene posto in essere l’intervento abusivo e non anche in relazione all’intero edificio.

La valutazione del primo giudice è condivisa da Palazzo Spada, che ricorda in merito principi già enunciati, cioè la “natura eccezionale e di stretta interpretazione della normativa sul condono tale da escluderne l’applicabilità in termini estensivi determina l’applicazione del parametro più rigido della singola unità immobiliare per l’individuazione del limite di ampliamento percentuale.

Tale interpretazione restrittiva è anche giustificata dalle conseguenze distoniche cui porterebbe la contrapposta opzione ermeneutica che ancora il limite al parametro dell’intero edificio in cui è ricompresa la singola abitazione (cfr, tra le altre, C.d.S., Sez. VI, n. 6042 del 2013 e n. 4322 del 2017).

La stessa giurisprudenza ha chiarito che il parametro percentuale e quello della volumetria complessiva dell'incremento non sono alternativi tra loro, ma devono essere considerati in modo cumulativo.

La formulazione letterale delle norme non contraddice tale esito interpretativo, tenuto conto della diversa finalità dei due limiti: quello percentuale, volto a consentire la sanatoria di ampliamenti proporzionati al volume originario, e quello volumetrico a fissare un tetto massimo nei casi di grandi volumi di partenza.

Se si accedesse alla interpretazione propugnata dall'appellante si giungerebbe, infatti, alla conclusione di dover considerare condonabili ampliamenti molto rilevanti in caso di complessi immobiliari particolarmente estesi (nei quali in ipotesi sarebbe rispettato il limite percentuale), e per di più si potrebbe ingenerare una disparità di trattamento tra i diversi proprietari delle unità immobiliari riconoscendo ad alcuni di essi un diritto al condono dell’abuso edilizio più ampio, anche a parità di estensione delle singole unità immobiliari.

 

Le prove e il volume virtuale

In ultimo il Consiglio di Stato osserva che, come ha evidenziato il consulente di parte, le porzioni di unità immobiliare condonate non costituiscono un volume nuovo aggiuntivo rispetto a quello esistente e quindi non possono essere applicati acriticamente la definizione di volume ed il relativo metodo di calcolo di cui al regolamento edilizio del Comune.

Occorrerebbe quindi considerare che i locali interessati al condono sono stati ricavati come locali soppalcati o nel sottotetto dell'edificio utilizzando la considerevole altezza complessiva.

Non sarebbe appropriato pertanto l'utilizzo da parte del verificatore del cosiddetto volume "virtuale” in luogo di quello reale: in tal modo, infatti, non si tiene conto del fatto che la superficie oggetto di condono è stata ottenuta principalmente all'interno del fabbricato. L'appellante rileva che riferendosi al volume reale l'incremento determinato dalle opere contestate risulterebbe pari al 17,65% e quindi inferiore al limite di legge.

Viene evidenziato, infine, che anche il conteggio ad opera del verificatore di parti dell'immobile non condonate, ma che sarebbero funzionali all'utilizzo dei nuovi spazi, è stato determinante per il superamento del limite del 20%.

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