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Miglioramento sismico degli edifici storici: problematiche, criteri progettuali e proposte innovative

Dopo la sintesi delle maggiori problematiche sismiche delle costruzioni storiche, vengono riproposte e riassunte alcune tecniche per il miglioramento sismico come la tecnica del Reticolatus.

Dopo aver sinteticamente ricordato alcune delle maggiori problematiche sismiche delle costruzioni storiche, vengono riproposte e riassunte alcune tecniche per il miglioramento sismico ideate e sperimentate negli ultimi anni da un gruppo di ricerca dell’Università di Perugia: la tecnica del Reticolatus (in questa prima parte dell’articolo), le travi cordolo in muratura armata, le volte tabicade armate e il rinforzo di travi lignee mediante pultrusi, nelle parti successive.


Problematiche sismiche degli edifici storici

In quest’ultimo periodo, “Fratello Terremoto” (espressione coniata dai francescani dopo il sisma del 1997) è stato clemente: nei molti tragici mesi di pandemia si è tenuto in disparte, e così non si sono sommati i lutti e i danni di queste due calamità.

Ma le placche tettoniche non si sono certo fermate, e quindi “Fratello Terremoto” prima o poi, purtroppo, tornerà a farsi vivo.

Come sappiamo, l’unico “vaccino” che può evitare i danni peggiori è una adeguata opera di prevenzione; dobbiamo ricordarcene adesso, in “tempo di pace”, e non quando ci ritroveremo di nuovo nel bel mezzo di una sequenza sismica.

Per quanto riguarda gli edifici ordinari, in questi ultimi anni è stato introdotto uno strumento, il sismabonus (“potenziato” ora con il cosiddetto 110%), la cui filosofia di base è proprio quella della prevenzione: lo Stato investe oggi delle risorse importanti per migliorare degli edifici ordinari (per lo più privati) con lo scopo di evitare di spenderne molte di più domani (anche in termini di vittime) quando quegli edifici verranno colpiti da un sisma.

La filosofia di base è perfetta; le modalità attuative, forse, non altrettanto…. 

Infatti, con il 110% è stato eliminato il condizionamento del contributo ad un sostanziale miglioramento sismico (si hanno le premialità previste dal sismabonus 110% anche se si resta nella stessa classe sismica) e questo potrebbe limitare la reale efficacia (dal punto di vista della prevenzione sismica) di tale provvedimento. Inoltre, le incertezze e le difficoltà burocratico-amministrative che tale procedura sta incontrando hanno sin qui confuso e scoraggiato non pochi operatori.

Se si pensa però a quanto NON è stato fatto nel passato in tema di prevenzione, si deve riconoscere che la direzione è quella giusta, anzi, questa del 110% è un’occasione che soprattutto nei territori a rischio sismico elevato andrebbe assolutamente colta.

In generale, comunque, in tutti quei casi nei quali si adotteranno strategie e metodologie di intervento strutturale concrete ed efficaci si avranno ricadute positive.

Un discorso a parte - e questo è il tema affrontato nel presente contributo – meritano gli interventi sugli edifici storici, che ricadono sotto la stringente competenza delle Soprintendenze.

Per queste costruzioni, alle difficoltà burocratiche-operative prima accennate e alle problematiche legate alle particolari caratteristiche strutturali, si aggiungono quelle connesse alle esigenze della conservazione

D’altra parte, come abbiamo visto anche nei sismi recenti, i soggetti più “fragili”, cioè più a rischio in caso di sisma, sono proprio gli edifici vetusti, nati spesso con gravi carenze strutturali, indeboliti dal tempo e dalle mancate cure. Nei territori sismici sono queste le vittime predestinate e l’unico “vaccino” utile per evitare (o quanto meno limitare) i crolli è costituito da interventi strutturali efficaci, da fare oggi, per prevenire soprattutto i crolli, invece di intervenire domani, a posteriori, quando il disastro è ormai compiuto.

In queste zone ad elevata pericolosità, la scelta tra intervenire e NON intervenire in modo strutturalmente efficace corrisponde, nella sostanza, alla scelta tra la “conservazione in vita” del manufatto e del suo contenuto, e una conservazione “tout court”, che si limita alle attenzioni verso le superfici e verso le manifestazioni di degrado della 'pelle' di tali costruzioni, e lascia la loro sopravvivenza al caso, ovvero alla aleatorietà degli eventi.

Ma non si tratta solo di un problema di conservazione (in vita) del bene; a quanto detto va aggiunto (e certo non è meno importante) il problema della sicurezza delle persone che frequentano ed utilizzano quegli edifici, aspetto troppo spesso dimenticato, o relegato in secondo piano, da chi sottovaluta (o addirittura nega) le problematiche strutturali. Si rimanda, a tale proposito, a (Borri 2015, Borri 2016, Borri 2017).

Troppo spesso chi si occupa della sicurezza strutturale vede mortificate, in sede progettuale ed attuativa, le sue necessità, paradossalmente scambiate per richieste astruse dettate da una eccessiva cautela. Ma se appena si considerasse quanto è accaduto anche negli ultimi sismi (si pensi anche solo al crollo di centinaia e centinaia di edifici di culto, molti dei quali, peraltro, erano stati oggetto di interventi di “restauro conservativo” (Borri et al. 2017)) ci si può accorgere della stringente necessità di riequilibrio tra le esigenze della conservazione e quelle della sicurezza, con approcci che tengano conto di entrambe le aspettative. 

 

Criteri progettuali per mettere in sicurezza gli edifici storici

Quando si interviene negli edifici storici è naturale, oltre che doveroso, il riferimento a requisiti come la reversibilità, la non invasività, la durabilità, la verificabilità e la manutenibilità.

Altrettanto doveroso, sempre ai fini della conservazione, deve essere l’attenzione alla sicurezza strutturale, intendendo qui per sicurezza quella “firmitas” della triade vitruviana, indispensabile per la vita stessa della costruzione. Senza la “firmitas”, peraltro, si perde anche l’“utilitas” (oltre che la “venustas”) della costruzione, perché questa si trasforma in rudere o in un ammasso di macerie, come purtroppo è accaduto innumerevoli volte nel passato.

Limitarsi al cosiddetto “intervento minimo” per gli edifici storici è certamente l’approccio più opportuno: non si può certo pretendere di portare la sicurezza a quei livelli che si richiedono per le costruzioni moderne, e quindi si deve accettare un rischio maggiore.

Questo però deve essere un “rischio ragionato” (per usare un’espressione dell’attuale crisi pandemica) cioè basato su una accurata valutazione della situazione e dei rischi connessi, caso per caso. Il semplice buon senso suggerisce di non assumerci quel “rischio irragionevole” connesso ad una sottovalutazione, o, peggio ancora, alla negazione, di tali rischi.

L’intervento “minimo”, quindi, deve essere quello utile a garantire la conservazione in sicurezza. 

Questo concetto, peraltro, fa parte dei princìpi fondamentali enunciati da un importante documento, di riferimento per il mondo dei Beni Culturali: la CARTA ICOMOS 2003, che, al punto 3.5, chiarisce bene cosa debba intendersi come “intervento minimo”:

Ciascun intervento deve essere calibrato sugli obiettivi di sicurezza, contenendo quindi gli interventi al minimo necessario per assicurare sicurezza e durabilità̀ con il minimo impatto sul valore storico del bene”.

Il “minimo impatto”, come si vede, è coniugato in modo inscindibile con quell’ “assicurare sicurezza e durabilità”. E non può essere che così, perché, come detto più volte anche negli anni passati, non c’è conservazione senza sicurezza (Borri 2019): se la costruzione crolla si perde il bene che si voleva (e si doveva) tutelare e ci restano da conservare solo le sue macerie.

L’altro concetto fondamentale che si vuole ricordare è quello che le NTC 2018, al paragrafo 8.5, chiama “comportamento strutturale atteso”: “Nelle costruzioni esistenti, le situazioni concretamente riscontrabili sono le più diverse ed è quindi impossibile prevedere regole specifiche per tutti i casi. Di conseguenza, il modello per la valutazione della sicurezza dovrà essere definito e giustificato dal progettista, caso per caso, in relazione al comportamento strutturale atteso”.

Oggi, dopo tutte le esperienze dei sismi che sono avvenuti negli ultimi anni, sappiamo la risposta che le varie tipologie costruttive hanno avuto e quindi siamo consapevoli di cosa sia più logico aspettarci se ci troviamo di fronte a casi analoghi.

Ad esempio, nel caso di una muratura di insufficiente qualità meccanica, sappiamo che la risposta probabile ad un sisma di intensità rilevante è la disgregazione muraria (Borri e De Maria 2004), e quindi il crollo “a candela” della costruzione su sé stessa. In questi casi, infatti, i comportamenti meccanici in termini di cinematismi locali o di risposta complessiva sono anticipati dalla decomposizione della massa muraria, rendendo inappropriata qualsiasi analisi a priori basata su modelli meccanici o tensionali.

Peraltro, sempre per questi casi, molte delle tecniche di intervento di rinforzo risultano del tutto inefficaci. 

Propedeutica a qualsiasi ipotesi di intervento è quindi la conoscenza del manufatto e delle sue caratteristiche costruttive e, tra queste, la qualità muraria gioca un ruolo fondamentale nella risposta sismica della costruzione.

L'Indice di Qualità Muraria (IQM)

Si vuole ricordare, a tale proposito, la metodologia di analisi proposta in (Borri e De Maria 2009) ovvero il metodo dell’Indice di Qualità Muraria (IQM) che, basandosi sulla semplice osservazione della muratura, permette di ottenere in un modo semplice ed operativo utili indicazioni, sia sul comportamento sismico atteso per quella tipologia muraria, sia sulle caratteristiche meccaniche che ci si possono attendere da essa.

Il metodo risulta particolarmente adatto per le costruzioni storiche, dove certo non si possono effettuare prove sperimentali invasive, perché si richiede unicamente un esame visivo dei paramenti e della sezione dell’elemento murario, con lo scopo di verificare il grado di rispetto delle regole dell’arte. Sulla base di questi esami visivi si perviene a degli indici numerici (i tre indici IQM) che consentono poi, attraverso opportune curve di correlazione, di ottenere delle stime attendibili dei parametri meccanici della muratura in esame.

Recentemente (Borri e De Maria 2020) si è mostrato come l’uso del metodo IQM possa consentire anche di valutare preventivamente la maggiore o minore propensione della tipologia muraria in esame al fenomeno della disgregazione, evidenziando così quei casi nei quali è opportuna una maggiore attenzione nei confronti di questa problematica.

È adesso disponibile anche una WebApp, al sito www.IQMIndex.com, cui si rimanda anche per il manuale per la compilazione della scheda IQM e per le schede esemplificative. 

 

Proposte di metodologie e soluzioni innovative

Le metodologie di intervento basate sull’utilizzo di nuovi materiali e di tecnologie innovative possono contribuire a conciliare tra di loro le diverse richieste, nella direzione di una conservazione consapevole delle aspettative di sicurezza e, viceversa, di un consolidamento rispettoso delle esigenze della conservazione.

Come anticipato, questo articolo ripropone e riassume alcuni dei contributi che sono stati forniti negli ultimi anni dal gruppo di ricerca dell’Università di Perugia, inseriti proprio nel filone di un consolidamento “consapevole” delle esigenze della conservazione.

Nei sottoparagrafi successivi verranno ricordate (rimandando ai lavori citati di volta in volta per gli eventuali approfondimenti) le metodologie e le soluzioni tecniche di seguito elencate:

  • la tecnica del “Reticolatus”, che consente di migliorare il comportamento meccanico di murature faccia a vista conservandone l’estetica del paramento esterno; 
  • il rinforzo di pilastri murari faccia a vista mediante rinforzi inseriti nei giunti di malta; 
  • le travi cordolo sommitali in muratura di pietrame, indirizzate anche al riuso del materiale esistente;
  • la conservazione ed il rinforzo di volte in folio riempite (utilizzate cioè come orizzontamenti) mediante trasformazione in volte tabicade armate;
  • l’utilizzo di elementi pultrusi per il rinforzo flessionale di travi lignee. 

Data l’ampiezza delle ricerche qui riassunte, questo articolo è stato suddiviso in tre parti. In questa prima parte verranno mostrate la tecnica del Reticolatus ed il rinforzo di pilastri murari faccia a vista; le altre tecniche verranno presentate nelle due parti che verranno pubblicate successivamente.

Il filo comune che lega tutti questi contributi è la ricerca e la sperimentazione di soluzioni che fossero le meno invasive possibile, e quindi proponibili per gli edifici storici, ma, allo stesso tempo, fossero capaci di fornire significativi miglioramenti alla risposta sismica degli elementi strutturali interessati, sia in termini di incrementi di resistenza, sia di limitazione/eliminazione dei meccanismi di collasso.

 

La tecnica del Reticolatus 

La tecnica del Reticolatus, ideata e proposta da uno Spin Off dell’Università di Perugia (Borri et al. 2008a, Borri et al. 2008b, Borri et al. 2009), consente di intervenire su murature storiche con paramento faccia-vista, preservandone l’aspetto.

Tale tecnica consiste nell’inserimento nei giunti di malta, previa una loro scarnitura per una profondità di 40-60 mm (a seconda delle caratteristiche della tipologia muraria su cui si interviene) di una maglia continua realizzata con funi di acciaio inox di piccolo diametro (tipicamente 3 mm). I nodi della maglia sono fissati al paramento murario mediante barre trasversali, anch’esse in acciaio inox, tipicamente in numero di 5/m2, secondo uno schema a quinconce irregolari (figura 1). Le funi metalliche vengono disposte secondo andamenti sub-verticali e sub-orizzontali, a formare maglie approssimativamente quadrate le cui dimensioni, in genere comprese fra i 30 e i 60 cm, dipendono dallo spessore murario (di regola, non devono essere superiori allo spessore della muratura su cui si interviene) e dalla grandezza degli elementi lapidei.

La configurazione dei connettori è stata studiata per trattenere le funi senza però bloccarle, così da poter applicare alla maglia una modesta pretensione che la renda immediatamente “attiva”.

La ristilatura finale mediante malta ricopre completamente sia le funi metalliche, sia le teste delle barre trasversali e permette di conservare la finitura faccia-vista della muratura. 

Schematizzazione del rinforzo con Reticolatus

Figura 1. Schematizzazione del rinforzo con Reticolatus su entrambe le facce della muratura.

Meccanismo di funzionamento del sistema Reticolatus

L’inserimento della maglia di funi di acciaio all’interno dei giunti di malta della muratura da rinforzare consente di creare una sinergia meccanica fra il materiale originario, capace di resistere a compressione, ma non a trazione, e la rete di rinforzo, capace di resistere a trazione, ma non a compressione. Una muratura così armata risponde alle diverse azioni chiamando in causa ciascun componente per le proprie capacità con meccanismi resistenti del tipo “tirante-puntone”. 

Quando un maschio murario rinforzato con Reticolatus è sottoposto ad una azione di taglio, al suo interno si instaurano dei tralicci resistenti in grado di trasmettere la sollecitazione per equilibrio interno, nei quali la compressione è assorbita dalle bielle di muratura contenute nelle maglie, mentre le funi in acciaio nelle due direzioni si fanno carico delle trazioni (figura 2a). L’inserimento della maglia consente inoltre di ostacolare i meccanismi di collasso successivi alla fessurazione e incrementa la capacità della parete di mantenersi integra in campo post-elastico, con un sensibile aumento della duttilità. 

Nel caso di comportamento a pressoflessione per azioni ortogonali al piano della muratura, la muratura rinforzata con il sistema Reticolatus ha un comportamento analogo a quello di una muratura armata tradizionale, in cui la presenza di funi metalliche, resistenti a trazione e collegate alla muratura attraverso le connessioni trasversali, consente di incrementare la resistenza flessionale della parete (figura 2b). 

 

Meccanismo di funzionamento della muratura rinforzata con il sistema Reticolatus

Figura 2. Meccanismo di funzionamento della muratura rinforzata con il sistema Reticolatus per azioni taglianti (a) e per un’azione flettente V ortogonale al piano della muratura (b).

 

Campi di applicazione e tipologie 

La tecnica del Reticolatus ha un ampio campo di applicazione, ma sussistono alcune situazioni nelle quali non è possibile adottare questa soluzione (Borri e Sisti 2014). Ad esempio, nei casi in cui i giunti di malta abbiano spessori inferiori a 8 mm, non risulta possibile l’inserimento delle funi per la mancanza dello spazio necessario alla realizzazione dell’intervento. È poi necessario assicurarsi che la malta della muratura sulla quale si interviene consenta una agevole operazione di scarnitura dei giunti; un’elevata tenacità della malta richiederebbe infatti un’azione troppo invasiva sulla muratura per effettuarne la rimozione. In alcuni casi esistono poi dei vincoli di tipo conservativo che ne impediscono la realizzazione, ad esempio quando, in un edificio storico, la Soprintendenza non consenta la rimozione, dalla superficie del paramento, della malta originaria e la ristilatura con una malta nuova.

Un rinforzo realizzato con il Reticolatus può assumere caratteristiche diverse, a seconda del tipo di muro da rinforzare (faccia-vista su entrambi i lati o faccia-vista solo su uno di essi), per tipologia di connettore trasversale adottato, per modalità operative ed in base alle dimensioni degli elementi lapidei che costituiscono la muratura. 

Quando entrambe le facce sono (e devo restare) faccia-vista e le dimensioni degli elementi lapidei sono medio-grandi, non si potranno utilizzare connettori passanti, ovvero a tutto spessore. 

Per ciascuna delle facce si opera come di seguito descritto. I perfori, realizzati operando nei giunti di malta, verranno iniettati con malta antiritiro e si inseriranno dei connettori di lunghezza pari a circa 2/3 dello spessore murario (Figura 3) costituiti da una barra filettata in acciaio inox, tipicamente del diametro di 8 mm. All’estremità della barra verranno montati dei rostri reggicavo e un dado; una volta fatti passare i cavi all’interno dei rostri, verranno serrati i dadi, facendo entrare il nodo della maglia all’interno dello spessore e portando così ad un modesto tensionamento delle funi. 

Se la muratura da rinforzare è caratterizzata da pietre di piccole dimensioni e, come nel caso precedente, si è in presenza di un muro faccia-vista su entrambi i lati, sarà possibile effettuare perfori passanti e adottare connettori che attraversano l’intero spessore. Una delle estremità del connettore è sagomata ad anello e l’altra è filettata, con i rostri reggicavo ed i dadi di serraggio (figura 4). Verranno prima passate le funi metalliche sulla faccia dove i connettori hanno gli anelli e poi, tirando la barra dal lato opposto della muratura, si realizzerà un loro leggero tensionamento. Dopo aver inserito le funi anche sulla faccia con i rostri reggicavo, verranno serrati i dadi.

Nonostante il sistema Reticolatus sia stato concepito per murature di conci irregolari con finitura faccia-vista, è possibile utilizzare questa tecnica anche su murature regolari. In questo caso si disporranno delle funi nei ricorsi orizzontali di malta (tipicamente ogni tre ricorsi) che possono essere collegate fra loro da coppie di funi verticali (figura 5) disposte a una distanza funzione dello spessore murario e del tipo di tessitura. In corrispondenza delle intersezioni fra i rinforzi verticali e quelli orizzontali si inseriranno dei connettori trasversali aventi caratteristiche analoghe a quelli precedentemente descritti.

 

Schematizzazione del rinforzo con Reticolatus applicato su entrambe le facce di una muratura

Figura 3. Schematizzazione del rinforzo con Reticolatus applicato su entrambe le facce di una muratura con elementi in pietrame di grandi dimensioni.

rinforzo simmetrico con Reticolatus a murature con elementi lapidei di piccole dimensioni.

 

Figura 4. Connettore trasversale passante (a) e fasi realizzative (b) e (c) del rinforzo simmetrico con Reticolatus a murature con elementi lapidei di piccole dimensioni.

Reticolatus applicato a murature regolari

Figura 5. Reticolatus applicato a murature regolari: con funi solo orizzontali (sinistra) o con funi sia orizzontali che verticali (destra).

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All'interno, l'articolo continua con la trattazione dei seguenti argomenti:

  • Combinazione della tecnica Reticolatus con altre tecniche di rinforzo
  • Valutazioni sperimentali dell’efficacia del Reticolatus
  • Sviluppi futuri del sistema
  • Cerchiatura di elementi murari 

Le ricerche qui riassunte sono state svolte nell’ambito di progetti triennali ReLUIS o di convenzioni di ricerca con Fibre Net SpA. Nei singoli lavori citati sono riportati, caso per caso, i relativi specifici riconoscimenti.


Approfondimento sul sistema RETICOLA di Fibre Net

RETICOLA è il sistema di rinforzo strutturale per il consolidamento delle murature da mantenere faccia a vista, secondo la tecnica Reticolatus™, provvisto di marcatura CE e consiste nella realizzazione della ristilatura armata dei giunti, con trefoli in acciaio inox.

Il collegamento dei trefoli alla muratura viene realizzato mediante connettori trasversali in acciaio inox di diametro e numero previsti dal progetto, disposti secondo uno schema a quinconce regolari. I trefoli metallici vengono debitamente pretensionati. La ristilatura finale di malta, che ricopre completamente sia i trefoli che i connettori, permette di conservare la finitura faccia a vista della muratura.

Il sistema consente di migliorare le resistenze al taglio e alla flessione della muratura, mantenendo l’aspetto estetico originario, particolarmente importante in caso di edifici storici o vincolati.

Ambito di intervento

  • Consolidamento di strutture degradate
  • Miglioramento sismico
  • Presidio antiribaltamento

Caratteristiche

  • Incremento resistenza a compressione
  • Incremento resistenza a taglio
  • Incremento di resistenza a flessione nel piano
  • Incremento di resistenza a flessione ortogonale al piano
  • Collegamento trasversale di paramenti murari scarsamente ammorsati
  • Rinforzo diffuso e omogeneo
  • Elevata resistenza alla corrosione e compatibilità con malte a base di calce
  • Reversibilità e bassa invasività
  • Adatto per interventi su beni storici e vincolati

FIBRE NET: gli specialisti del rinforzo strutturale                         

Idee, passione, esperienza e ingegno italiano in continua evoluzione

La storia di FIBRE NET inizia nel 2001 con una visione: sviluppare  un prodotto non presente sul mercato, una rete  in GFRP: RI-STRUTTURA, la risposta evoluta alla classica rete elettrosaldata che, consente di rispettare la compatibilità muraria soprattutto negli edifici storici. Da allora, forte di un’intensa attività di R&S supportata da Università  e istituti di ricerca, l’azienda ha sviluppato diversi sistemi per il rinforzo strutturale in materiale composito fibro rinforzato, certificati e validati.

FIBRE NET si pone come partner specializzato, in grado di affiancare enti, progettisti ed imprese nelle scelte più opportune, efficaci e sostenibili mirate al consolidamento, al miglioramento e adeguamento strutturale, al mantenimento della durabilità del bene.

L’azienda mette a disposizione dei propri partners laboratori, attrezzature e competenza per l’esecuzione di prove, anche on-site, per la diagnosi delle problematiche,  per la caratterizzazione meccanica e chimica di materiali  e cicli di intervento.

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