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Terrazzo: come progettare la corretta stratigrafia

Dalle problematiche tecniche connesse a questo tipo di soluzione architettonica ai principi di fisica edile per progettare la corretta stratigrafia del terrazzo.

Il terrazzo: bello e problematico

L’architettura storica del centro-sud italiano è da sempre connotata dalle coperture piane e, ancor più, dai terrazzi, quello spazio ad alta vivibilità multi-funzione che può diventare soggiorno estivo, zona giochi, solarium e soprattutto affaccio sul mondo cittadino e sociale. Ah, le terrazze romane…

Il Movimento Moderno ha utilizzato in forma innovativa la copertura piana ed il terrazzo, quali elementi fondanti e complementari alla linearità delle forme orizzontali e coerenti con la morfologia dell’angolo retto.

L’architettura contemporanea ha riscoperto le coperture piane e i terrazzi all’interno delle nuove forme “scatolari” e “a cornice”, nelle quali l’edificio si compone di corpi “scatola” slittati come cassetti rispetto ai corpi adiacenti e sottostanti e di facciate incorniciate da spessi bordi ben evidenziati dei quali la copertura piana rappresenta la parte orizzontale superiore.

La riscoperta dei terrazzi, per molti il sogno nelle lunghe giornate dei lockdown domestici, ha portato anche alla riscoperta delle problematiche tecniche connesse a questo tipo di soluzione architettonica.

Per definizione il terrazzo rappresenta la partizione tecnica che separa l’interno dell’ambiente dall’esterno.

A questa partizione viene richiesto di assolvere a tante e diversificate incombenze

  1. la protezione strutturale dell’ambiente sottostante dai carichi dovuti alla neve e al passaggio delle persone;
  2. l’isolamento termico invernale dell’ambiente sottostante;
  3. la protezione dal surriscaldamento estivo;
  4. la protezione dall’acqua meteorica e dalla neve;
  5. la gestione del vapore che entra o esce dall’ambiente sottostante, al fine di evitare muffa, condensa superficiale e condensa interstiziale;
  6. ermeticità all’aria
  7. e, ultima ma solo nell’accezione di esigenza più recente, la collaborazione alla diminuzione della cosiddetta “isola di calore” che purtroppo ormai caratterizza e penalizza il clima estivo delle nostre città.

La suddivisione in strati funzionali

La tecnica edilizia attuale prevede, in quasi tutti i campi, il ricorso alla tecnologia degli “strati funzionali” nella quale si affida una specifica funzione ad uno specifico strato.

Anche per i terrazzi si può procedere nella medesima maniera. Possiamo così individuare gli “strati” che dovranno soddisfare la “funzione” affidata loro. Possiamo riconoscere, a cominciare dallo strato più basso, cioè a contatto con l’ambiente interno sottostante, i seguenti “strati funzionali”:

  1. elemento di tenuta all’aria
  2. l’elemento portante
  3. l’elemento per formare la pendenza 
  4. l’elemento per la gestione del vapore
  5. l’isolamento termico
  6. l’elemento di tenuta (all’acqua)
  7. elemento di desolidarizzazione
  8. l’elemento di distribuzione dei carichi
  9. elemento di desolidarizzazione 
  10. l’elemento di protezione.
Terrazzo: i principi di fisica edile per progettare la corretta stratigrafia

Peccato che il terrazzo piano... non sia inclinato

Il motivo, peraltro immediatamente comprensibile, per il quale si è adottata storicamente la forma del tetto a falde inclinate, è legata alla facilità e alla rapidità di allontanamento dell’acqua meteorica e della neve, convogliate nei canali di scolo presenti negli elementi del manto di copertura (coppi, tegole…) che proteggono gli strati sottostanti. Si vedono spesso edifici antichi nel quali la copertura è composta esclusivamente da coppi appoggiati alla sottostante orditura in listelli di legno e che in occasione di piogge non lasciano filtrare nessuna goccia d’acqua al di sotto.

In tal modo, e come si è tornati a fare ancora oggi, fra manto di copertura e strati sottostanti si crea una lama d’aria nella quale si instaura una ventilazione forzata causata dall’effetto camino, innescato da un gradiente di pressione o di temperatura fra linea di gronda e colmo, che asciuga l’intradosso dei coppi (particolare da non trascurare) e il pacchetto sottostante. I vantaggi di questa soluzione di copertura inclinata sono dunque molti ed evidenti: non c’è ristagno d’acqua e di neve perché queste vengono allontanate velocemente dalla pendenza (che infatti è bene non sia inferiore al 20%-30%), non occorre prevedere uno strato di impermeabilizzazione e, infine, l’intera stratigrafia è aperta al vapore che può quindi essere facilmente allontanato nella stagione calda e nella stagione fredda.

Un meccanismo perverso

Questi tre vantaggi non arridono invece al terrazzo piano per il quale si innesca invece questo meccanismo che oserei definire perverso: per evitare che l’acqua piovana penetri nella stratigrafia e, da lì, vada a bagnare il soffitto sottostante è necessario prevedere la formazione di uno “strato funzionale”, che abbiamo denominato elemento di tenuta all’acqua, avente cioè proprio la funzione di impermeabilizzazione: cioè di bloccare il movimento verticale dell’acqua. Ma la formazione di questo strato di tenuta all’acqua porta con sé una pesante controindicazione: interrompe il flusso di vapore verticale e questo comporta il rischio della formazione della pericolosa condensa interstiziale.

Riavvolgiamo un attimo il nastro: il meccanismo di trasporto del vapore per diffusione, innescato dalla differenza di temperatura o dal gradiente di umidità assoluta fra l’ambiente interno e l’esterno, determina un movimento del vapore all’interno della stratigrafia del terrazzo con direzione ortogonale alle sue facce e col verso dall’ambiente a temperatura superiore a quello a temperatura inferiore. Per cui in inverno il vapore tende ad uscire dall’ambiente riscaldato e in estate (nei periodi molto caldi) tende ad entrare nell’ambiente interno.

Questo vapore, principalmente quello in uscita, ad un certo punto viene però “bloccato” dalla presenza dello strato di tenuta all’acqua (impermeabilizzazione, che rappresenta una barriera al vapore) e non riuscendo ad uscire all’esterno e quindi ad evaporare, rimane bloccato in quella posizione (al di sotto dello strato di tenuta) e tende a condensare in forma di acqua che quindi bagna gli strati interni della stratigrafia.

Si forma cioè la cosiddetta condensazione interstiziale.

La condensa interstiziale

La condensazione interstiziale è pericolosa e dannosa. Pericolosa perché danneggia gravemente la struttura portante (col disgregante ciclo gelo-disgelo che causa ripetuti aumenti e diminuzione di volume) e può diventare così causa di pericolosi e insospettati cedimenti strutturali, e poi perché modifica (peggiorandoli) tutti i parametri igrotermici dei materiali utilizzati. Un pannello isolante quando si bagna aumenta notevolmente il valore della sua conduttività peggiorando quindi la resistenza termica prevista. 

Per evitare la possibilità di condensa interstiziale bisogna quindi limitare la quantità di vapore (proveniente in inverno dall’ambiente caldo interno) che viene messa in movimento da questo meccanismo di trasporto per diffusione.

Il freno al vapore: occhio al suo corretto uso

Questa è la funzione dello strato denominato elemento per la gestione del vapore. Comunemente per questo strato vengono usati teli chiamati “freno al vapore” che vengono identificati in base al valore del parametro Sd (spessore equivalente d’aria misurato in m) che identifica la sua “forza frenante” relazionandola ai metri equivalenti di aria ferma. 

A questo punto sorge spontanea la prima domanda: quale “freno al vapore” devo usare? Con quale Sd? E subito dopo, giusto il tempo di una rapida meditazione, la seconda: se invece mettessi un alto freno al vapore o meglio una barriera al vapore sarei certo che il vapore non entrerebbe nella stratigrafia e quindi non condenserebbe in prossimità dello strato di tenuta superiore.

La risposta alla seconda domanda, la più insidiosa perché rappresenta una scorciatoia mentale e pratica, è questa: possiamo mettere una barriera al vapore in corrispondenza dello strato di gestione del vapore solo se siamo sicurissimi che gli strati posti fra i due strati (di tenuta e di vapore) non sono minimamente umidi, altrimenti l’umidità intrappolata all’interno potrebbe condensare con le conseguenze viste. Ricordando, comunque, che l’umidità potrebbe anche entrare per un errore di cantiere o per un guasto (esempio una tubazione) all’impianto. La risposta che suggerisco è: non è una buona soluzione perché presenta molte insidie.

La risposta alla prima domanda è invece di merito: la stratigrafia di un terrazzo piano va prima progettata e poi verificata con programmi di verifica termo-igrometrica sia in regime stazionario (detto comunemente Glaser ai sensi della UNI EN ISO 13788) sia in regime dinamico (ai sensi della UNI EN 15026) come ad esempio Wufi Pro o il ProCasaClima Hygrothermal.

Con il calcolo è possibile dimensionare il valore migliore dei parametri in gioco e, a volte, dal calcolo potrebbe anche risultare che, nel proprio specifico caso in studio, si può anche fare a meno proprio dello strato di gestione del vapore!

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