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Le cinque priorità per sviluppare una filiera dell'idrogeno "Made in Italy"

Aurelio Regina, delegato per l’Energia e presidente del Gruppo Tecnico Energia di Confindustria, individua cinque leve prioritarie per realizzare una filiera dell'idrogeno nazionale.

 

Lo scorso settembre, Confindustria ha presentato al Ministero dello Sviluppo economico un Piano d’azione per l’idrogeno che, partendo dall’analisi delle opportunità per l’Italia rispetto agli altri Paesi UE, ha analizzato le principali barriere allo sviluppo di una filiera integrata, anche nell’ottica di trasformare l’Italia in un hub del vettore idrogeno.

Nell’intervista, pubblicata nello speciale ENEA Pianeta Idrogeno, Regina elenca i passi che occorrono per raggiungere tale obiettivo. 

 

Grigio, blu o verde: quale idrogeno?

L'Unione europea considera la produzione di idrogeno tra le tappe indispensabili da raggiungere per il processo di decarbonizzazione.

L'Italia, con il Governo Draghi, ha previsto che quasi 24 miliardi di euro siano destinati all'incremento delle energie rinnovabili, al trasporto locale sostenibile, alla creazione di impianti per lo stoccaggio di energia e allo sviluppo di reti intelligenti per gestire i flussi energetici. 

Di questi 24 miliardi (23,78 per l'esattezza), c'è una quota che servirà a sostenere la transizione all'idrogeno.

La "partita idrogeno" potrà contare su 3,19 miliardi di euro di investimenti per riconvertire i forni elettrici delle imprese energivore, per produrre idrogeno in aree industriali, per attuare progetti sperimentali legati al trasporto stradale o ferroviario e per fare ricerca.

Tuttavia, nonostante l'idrogeno sia l'elemento più abbondante in natura, per averlo bisogna estrarlo dagli elementi in cui si trova: acqua, idrocarburi come il metano, acidi e via dicendo. La maggior parte dell'idrogeno prodotto a livello globale deriva infatti da processi chimici industriali di "stream reforming" che però consumano energia e quindi costano. 

 

Le cinque priorità per sviluppare una filiera dell'idrogeno

 

Oggi nel mondo si producono quasi 80 milioni di tonnellate di idrogeno e la quasi totalità, più del 90 per cento, arriva da combustibili fossili, il cosidetto idrogeno grigio e blu. Nel primo caso, quello grigio, si utilizza principalmente il metano, ma anche il petrolio o il carbone; per produrre il secondo tipo di idrogeno, quello blu, si segue il medesimo processo, ma la CO2 di scarto, quella prodotta per farlo, viene catturata e conservata sottoterra, nei giacimenti esauriti di petrolio e gas. 

Resta l'idrogeno verde, l'unico che potrebbe essere davvero pulito perché si ricava dall'acqua e l'energia per ottenerlo può arrivare da fonti rinnovabili. Tuttavia oggi, per una serie di motivi legati alla mancanza di energia rinnovabile sufficiente, al processo di produzione e ai costi, è solo il 4% di quello prodotto.

Nonostante le attuali difficoltà, c'è grande fiducia verso lo sviluppo di questo vettore, che viene visto come l'energia del domani, uno dei pilastri per un futuro decarbonizzato. Un'attenta stretegia operativa potrebbe portare nei prossimi anni a nuove occupazioni e al rilancio dell'economia: secondo McKinsey 5 milioni di posti di lavoro (di cui 540 mila in Italia per il Forum Ambrosetti), per un volume d'affari mondiale di 11/12 mila miliardi di dollari nel 2050 (come stimato da Bank of America e Goldman&Sachs).

 

Cosa serve fare per rendere l'Italia un hub dell'idrogeno

Per Aurelio Regina, delegato per l’Energia e presidente del Gruppo Tecnico Energia di Confindustria, per fare dell’Italia un "centro" dell’idrogeno occorre una strategia energetica nazionale che superi approcci ideologici basati sui diversi “colori” del vettore, puntando piuttosto sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

Nel dettagli sono cinque le priorità:

  1. supportare la ricerca, attraverso progetti di studio internazionali;
  2. supportare la produzione di idrogeno e suoi derivati, strutturando un sistema che faciliti l’istallazione degli impianti;
  3. sostenerne la domanda, con appositi incentivi alla trasformazione degli impianti;
  4. chiarire gli aspetti normativi e regolatori, snellendo le pratiche autorizzative;
  5. promuovere una cultura dell’idrogeno, presentando in maniera chiara rischi, costi e benefici.

In questo contesto, Confindustria ha presentato un Piano d’azione per l’idrogeno al MiSE, ha aderito, quale prima associazione datoriale italiana, alla European Clean Hydrogen Alliance (ECH2A) e ha raggiunto accordi con ENEA ed altri soggetti rilevanti.

«Vediamo importanti potenziali in questa tecnologia per la decarbonizzazione di settori energivori che oggi utilizzano gas naturale o nella trasformazione della mobilità, in particolare nel trasporto pesante, marittimo o aereo» ha affermato nell'intervista.

Idrogeno ma non solo.

Per Regina «è solo attraverso lo sfruttamento di tutte le opzioni tecnologiche sostenibili, da quelle mature, come le rinnovabili o i sistemi per l’efficienza energetica, a quelle in corso di evoluzione, come l’idrogeno o le tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio che si potrà raggiungere la neutralità carbonica del vecchio continente al 2050”.  Per fare ciò, afferma Regina, “il filo conduttore di tutte le politiche per abilitare la ripartenza, è l’eliminazione dei colli di bottiglia presenti nella burocrazia, pensiamo ad esempio alle pratiche autorizzative insostenibili che, fomentate dal cosiddetto effetto NIMBY (Non In My Back Yard), bloccano l’istallazione di impianti per la generazione di energia pulita”.

A livello di investimenti da mettere in campo per raggiungere i nuovi obiettivi al 2030, Regina evidenzia “stime preliminari portano ad immaginare oltre 500 miliardi di euro addizionali nei prossimi 10 anni”. 

Ma per comprendere il futuro delle ambizioni climatiche nel contesto globale “appuntamenti cruciali saranno però il G20, che si terrà in Italia nel prossimo autunno, e la COP 26, gestita in partnership fra il nostro Paese ed il Regno Unito”, conclude Regina.

 


L'intervista integrale ad Aurelio Regina 


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