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Distanze tra edifici in centro storico per le nuove costruzioni: il limite dei 10 metri può essere derogato

Consiglio di Stato: il decreto ministeriale 1444/1968 ha introdotto il limite dei 10 metri di distanza con esclusivo riferimento alle “altre zone” diverse dal centro storico

Nella recente sentenza 5830/2021 del 9 agosto, Palazzo Spada precisa anche che l'avvento del Piano Casa regionale, con la prevista possibilità di realizzare ampliamenti entro il limite del 35%, non giustifica il ricorso ad una interpretazione analogica che avrebbe l’effetto di precludere, di fatto, l’applicazione di tale disciplina di favore in ampie zone dei territori comunali.


Distanze tra costruzioni: i 10 metri della discordia

Alcuni condomini avevano chiesto al Tar Liguria l'annullamento del permesso rilasciato da un comune a una società immobiliare per un intervento di demolizione e ricostruzione di un fabbricato ai sensi dell’art. 6 l. r. n. 49/09.

A sostegno del ricorso avevano dedotto la violazione delle distanze, la mancata valutazione sulla “coerenza” come richiesto dall’art. 24 delle NTA, il difetto di motivazione e di istruttoria in ordine al conseguente incremento del carico urbanistico, la mancanza di legittimazione della società a causa dell’incidenza su beni condominiali (muro di contenimento).

Il TAR ha ritenuto che l’intervento di demolizione e ricostruzione non fedele di un fabbricato preesistente, ubicato in zona A, deve reputarsi equiparato dall’art. 14 l.r 16/08 alla “nuova costruzione” così da essere tenuto al rispetto dei 10 metri dalle pareti finestrate salvo le deroghe di cui all’ultimo comma dello stesso articolo, nel caso di specie insussistenti. Secondo il TAR, quindi, l’esigenza sottesa alla disciplina sulle distanze, di evitare intercapedini dannose, "non cambia a seconda delle zone" e che non rileva "se le pareti dei due edifici siano esattamente parallele tra di loro ovvero se le stesse siano, e in che misura, oblique".

Il comune ha quindi presentato appello, sulla base di queste motivazioni:

  • il TAR ha erroneamente interpretato la norma di cui all’art. 9 del d.m. 1444/1968 non riguardando essa, contrariamente a quanto opinato in sentenza, le zone A (Centro Storico);
  • l’interpretazione seguita dal TAR è contraria non solo alla lettera della norma, ma anche alla finalità della stessa, che è quella di far prevalere le esigenze di salvaguardia delle caratteristiche urbanistiche dei centri storici imponendo il rispetto delle distanze e delle sagome preesistenti;
  • il TAR non ha considerato che sia la normativa regionale sia la disciplina urbanistica locale prevedevano la possibilità di derogare alla distanza minima di 10 metri con riguardo ai centri storici, anche con riferimento alle nuove costruzioni.

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Distanze e Piano Casa: quali rapporti? Chi prevale?

Il Consiglio di Stato da ragione al comune, ma è interessante approfondire le motivazioni.

Con il primo motivo del ricorso originario, accolto dal giudice di prime cure, si ipotizzava la violazione (anche) dell’art. 6 della legge sul Piano Casa (n. 49/2009), che impone “il rispetto della distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici frontistanti” così implicitamente richiamando la previsione di cui al citato DM tanto che nella stessa domanda di permesso di costruire si attesta il rispetto di tale distanza di 10 metri tra pareti finestrate.

Il comune appellante osserva che la previsione del DM 1444/1968, secondo cui la distanza tra pareti finestrate di edifici frontisti non deve essere inferiore a dieci metri, vale per i “Nuovi fabbricati” in “altre zone, cioè diverse dalla zona A (centro storico), nella quale si trova il fabbricato oggetto della domanda edificatoria, posto che in quest’ultima, dove vige il generale divieto di costruzioni “ex novo”, la norma si limita a prescrivere che la distanza non sia inferiore a quella intercorrente tra volumi edificati preesistenti.

Ed è così: effettivamente il DM, dopo aver disciplinato le “Zone A”, introduce la “distanza minima assoluta di m.10” con esclusivo riferimento alle “altre zone”.

Non è quindi suscettibile di estensione analogica una norma che introduce una limitazione o un divieto quale quella in commento.

Né può dirsi che la disciplina ordinamentale contempla l’esclusione dell’edificabilità di nuove costruzioni in quanto la legge regionale sul Piano Casa non esclude la sua applicazione nelle zone A e, ad opinare in senso conforme all’orientamento del TAR, tale modulo abilitativo non sarebbe suscettibile di applicazione nel centro storico stante l’alta densità edilizia che solitamente connota tali aree.

La mancata previsione della distanza minima in zona A in seno al citato DM non costituisce, quindi, frutto di una dimenticanza del redattore della norma, così da costituire un vuoto normativo colmabile in sede interpretativa, quanto espressione di una sua precisa opzione connessa al fatto che in zona centro storico tendenzialmente non sono consentiti se non interventi sul preesistente.

L’avvento del Piano Casa regionale, con la prevista possibilità di realizzare ampliamenti entro il limite del 35 %, non giustifica il ricorso ad una interpretazione analogica che avrebbe l’effetto di precludere, di fatto, l’applicazione di tale disciplina di favore in ampie zone dei territori comunali.

Stringendo:

  • manca una previsione normativa che stabilisca, per le zone A, la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate, la cui violazione non può quindi essere fondatamente contestata nel caso in esame;
  • l'appello del comune va accolto ove si deduce l’insussistente violazione del DM 1444/1968 non contemplando la previsione sulla distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate, peraltro non evincibile dagli atti di causa, che pertanto il TAR ha ritenuto erroneamente violata.

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